Di Valerio Romito (RegginaLife.com) – Non ho mai conosciuto mio nonno, scomparso prematuramente qualche anno prima che io nascessi; tuttavia, la morte non gli ha impedito di essere comunque una presenza costante nella mia vita sin da bambino, affascinato dagli sguardi delle innumerevoli foto in bianco e nero sparse tra le mensole di casa di nonna, in cui io e mio fratello trascorrevamo gran parte delle giornate, ma soprattutto dai racconti di vita quotidiana impregnati di aneddoti curiosi, sorprendenti, affascinanti, gran parte dei quali riguardavano la grande, viscerale, quasi infantile passione del nonno per la sua squadra: la Reggina.
Un sentimento così intenso e connaturato da riuscire a condizionare la vita, le abitudini, gli umori di un intero nucleo familiare. Era la Reggio dell’immediato dopoguerra, povera e semidistrutta ma con grande voglia di ripartire, la Reggio del rione ferrovieri e pescatori, in cui gli svaghi erano pochi, semplici e concentrati nei fine settimana, caratterizzati dalle “vasche” sul corso Garibaldi per il resto della famiglia e ovviamente, dall’andare “o campu” per gli uomini: era un calcio primordiale e genuino, giocato su campi polverosi circondati da tribunette di legno a pochi centimetri dalle linee laterali; era la Reggina di Dolfin e Oronzo Pugliese, di Bercarich e di Bumbaca, che si barcamenava tra serie C e IV serie, senza TV né radio, c’era solo il campo e la partita. Ed era proprio il risultato della partita a condizionare le sorti di quel che restava di quelle domeniche pomeriggio, che sarebbero proseguite con un cinema ed una passeggiata condite da vermut e paste secche in caso di vittoria, o chiusi in casa in un clima da convento di clausura, intervallato qua e là da fragorose quanto improvvise malanove, nella malaugurata ipotesi di sconfitta (sul pareggio influivano le circostanze estemporanee). Per non parlare poi degli aspetti folkloristici, di ombrelli rotti in testa a qualcuno (o sulla propria) in tribuna, dove la promiscuità tra tifoserie avversarie costituiva una assoluta normalità, soprattutto in occasione di derby.
E quel risultato della domenica, così influente e decisivo, sarebbe entrato per sempre nella vita di mia nonna che, anche da vedova e pur non avendo mai messo piede in un campo di calcio fino alla sua morte, avvenuta alla soglia dei novant’anni, avrebbe caratterizzato i miei dopopartita con un immancabile (ed implacabile) “chi fici a Reggina?”
Se poi aggiungiamo la componente cromosomica paterna, altrettanto passionale ed intensa anche se iniziata qualche decennio successivo, nonché la circostanza di essere nato e cresciuto a pochi metri dal “Comunale”, si può capire che il patrimonio genetico non poteva riservarmi altro se non infettarmi con questa “malattia”, per la quale, nonostante tutti i momenti di sconforto che, soprattutto ultimamente, provvedono a rovinare, come da tradizione, stavolta i miei di fine settimana e quelli della mia famiglia, avrò comunque sempre gratitudine per loro.
Per la mia generazione la Reggina non può rappresentare semplicemente una squadra di calcio: è storia, è famiglia, è campanile, è vita vissuta; non è razionale ma piuttosto un ossimoro, un sogno ed un incubo, una piacere che disturba, un amore che ti tradisce ma che tu non lascerai mai. Con la Reggina abbiamo vissuto due differenti storie. Una è quella raccontata, di solito con un trasporto ed una dovizia di particolari tale dal renderti partecipe a tal punto da sembrare di averla vissuta: chi di noi non ha mai sentito delle scivolate sulla pozzanghera, che a seconda dei casi variano da 3 a 30, di Persico in Reggina Modena? Chi di noi non ha almeno un parente, un lontano cugino o anche un conoscente che sia andato a Lecco, facendo sorgere un legittimo interrogativo sulla reale capienza dello stadio lariano, che in base alla quantità delle testimonianze sarebbe dovuto essere quantomeno una succursale di San Siro? E che dire sul gossip (allora si sarebbe detto “murmura”) relativo alla vita mondana del giovane Causio, tanto talentuoso quanto esuberante nei confronti di qualche donzella locale, il che avrebbe, pare, generato incontri ravvicinati del terzo tipo col potenziale cornuto di turno, pronto a mettere a rischio la carriera del futuro campione del mondo per salvare l’onore?
L’altra storia è quella vissuta in prima persona, tra Grumo Nevano e lo stadio Olimpico. Ma ne parleremo un’altra volta…
(“Tratto da #lastoriasiamonoi di Reggina Social Club” https://facebook.com/story.php?story_fbid=143016449706024&substory_index=0&id=117068682300801)