Claudio Toscano scrive alle istituzioni calabresi
Venerdì 11 Maggio 2012 09:40
di Claudio Toscano - Esiste un generico diritto all’indignazione? E ammessa la sua esistenza, più come naturale e sanguigno moto di sdegno che come ragionata rivendicazione di una giusta ragione ovvero di un diritto positivo, può questo diritto ergersi contro ogni forma di ipocrisia e di pantomimica pronazione al politically correct style?
In tutta onestà Non lo so.
Tuttavia all’indomani di un grave attacco omofobico che mi ha visto ferito ben tre volte: nel corpo, violato da una brutalità brulicante di cultura sessista e clerico-maschilista, nell’orgoglio e nella dignità di essere umano, avevo imparato la lezione sana e genuina che tutte le istituzioni in primis quelle di Reggio Calabria volessero rivendicare per sé, un quasi imprescindibile diritto al pubblico sdegno, alla riprovazione sociale , alla stigmatizzazione verso ogni forma di violenza e dunque di fascismo inteso come estremistico e integralista rifiuto del diverso fino alla sua epurazione. Le istituzioni sembravano essere ad un passo dal compiere il salto di civiltà che in ogni paese occidentale è ormai non soltanto un diritto ben codificato e stratificato nelle coscienze pubbliche prima ancora che del legislatore, ma soprattutto sembrava che un clima di rinascimento civico avesse davvero trasformato un atto di ferocia illiberale in un momento di autentica riflessione. Si era detto che la diversità è ricchezza, che l’omosessualità non solo non fosse una malattia come qualcuno aveva provvidamente tentato d’insegnarmi ma soprattutto e innanzitutto potesse rappresentare l’opportunità del primato di ogni forma di pensiero debole, di pacificato rispetto della naturale diversità senza la quale la natura stessa non esisterebbe. Il diritto naturale è per sua stessa costituzione la lettura di ciò che è: Io e i miei fratelli omosessuali e le mie sorelle lesbiche "siamo" e in quanto tali apparteniamo alla natura. La natura ci aveva insegnato che sa essere sempre un passo avanti rispetto alla capacità con cui gli uomini imparano a leggerla e decodificarla. E tuttavia all’indomani del 15 aprile avevamo tutti davvero creduto che da un piccolo centro del sud di un piccolo paese chiamato Italia potesse giungere una lezione di riscatto. Ci era stato promesso avanzamento, riflettori puntati contro ogni violenza che invocasse la determinazione sessuale come giustificazione all’offesa morale prim’ancora che fisica. Ci era stato promesso che questo fascismo sessista, volgare , sanguinario, squadrista e omofobico non avrebbe più trovato quartiere in calabria, mai più a Reggio Calabria. Il sindaco e i suoi assessori promettevano incontri, tavole rotonde, solidarietà non solo mediatiche quanto sostanziali e fattuali. Parlamentari si erano espressi a sostegno di ciò, movimenti, il popolo di facebook e di twitter, tutti illusi in un cambiamento possibile, in un nuovo rinascimento non più tollarante ma integrante, dove la diversità non dovesse essere ipocritamente sopportata ma voluta, sposata e benedetta come fonte di contaminazione e dunque di crescita e di scambio. Volevamo rivendicare il diritto ad essere felici, a non aver paura di essere ciò che siamo, di amare un altro uomo come noi, di amarlo non già in ragione del suo genere ma del cuore. Chiedevamo che le istituzioni ci tutelassero e ci riconoscessero un diritto all’amore, al non dover temere di afferrare la mano del nostro compagno da uomini liberi, di essere fieramente non più omosessuali ma omosentimentali. E il sindaco e gli assessori e la giunta regionale e lo stato, tutti si erano impegnati in ciò, spendendosi in una solidarietà tanto abbronzata e sorridente quanto quella che si ottiene sotto la luce dei riflettori ma tanto finta quanto il silenzio che ci ha circondato dopo il clamore della violenza e dell’offesa.
Il sindaco di Reggio Calabria latita, la giunta regionale e il suo ineffabile governatore non proferiscono più parole, ammesso che l’avessero saputo fare, contro l’omofobia, contro la violenza che violenta, questa si, la natura, contro la barbarie figlia della cultura dei campi di concentramento dove centinaia di migliaia di fratelli omosessuali e sorelle lesbiche hanno visto sfumare dentro il fumo passato per il camino della violenza e della crudele sadica follia tutti i loro sogni, tutta la loro carne, tutta la loro vita. Oggi non ci bruciano, ma non riconosco l’aggravante del picchiarci e violentarci in ragione di ciò che siamo nell’intima natura del nostro essere, non ci marchiano con i ferri roventi ma ci urlano il nostro marchio per strada, non ci chiudono in un ghetto con una stella rosa cucita sul petto ma da noi si pretende il silenzio e la sottomissione.
Ma oggi e se non oggi quando, noi urliamo il nostro no, il mio volto offeso lo urla, le nostre associazioni lo urlano, il nostro orgoglio di omosessuali lo urla e lo pretende. E se il sindaco di Reggio non convoca più noi ma ritiene invece "urgente", opportuno legittimare e garantire che i figli di casa pound, copertura ad una rinnovata e strisciante e cieca violenza e apologia del fascimo, possano trovare casa, legittimazione e asilo nel comune di Reggio, loro che hanno alle spalle decine di atti verbali e fisici contro noi omosessuali allora io non voglio più essere un cittadino di questa città e il mio sindaco non è più il mio sindaco e la mia terra non è più la mia terra. Se casa pound trova l’attenzione del mio sindaco e dei miei assessori ed io no e ogni omosessuale di Reggio no, allora tre volte ci hanno ferito e la più grave ferita è quella delle nostre istituzioni latitanti e colpevoli di omissione di soccorso e di ipocrita apologia del fascismo, inteso come cultura dell’odio e della violenta affermazione di idee, queste si contro natura.
Sono fiero di ciò che sono, sono fiero del mio dolore e della mia forza, sono fiero di amare la mia terra e di non volerla tradire ma è giunto il momento dell’offesa, che lo sdegno contro chi dovrebbe rappresentare il meglio della sua terra e invece ne incarna il più strisciante pregiudizio e legittima ogni futura violenza, divenga un urlo nella gola non solo di ogni gay e lesbica calabrese ma di ogni uomo e donna che amando la giustizia sia timorata contro ogni barbarie civica e sociale. Rivendichiamo il diritto ad essere difesi, ad essere rappresentati, ad essere.
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miiiiiiiiiii..da libro cuore....ovviamente avendolo sentito parlare ..non è farina del suo sacco...
