Questo, a proposito di OTERIK LARSSON © ha scritto:Ricollegandomi ad uno dei problemi dell'economia, ovvero la bilancia dei pagamenti, ecco un articolo dello scorso maggio, su come i paesi "canaglia" come la Cina si comportano nell'esportazione dei nostri prodotti (caso prodotti da oreficeria):
Cina-Italia 30 a 3: dai dazi doganali per gli orafi alla sconfitta dei mercati occidentali
Cina – Italia 30 a 3.
Sconfitta terribile. Da essere radiati da qualsiasi campionato presente e futuro. Sapete di cosa stiamo parlando? Dei dazi doganali applicati a carico dei prodotti orafi italiani che vanno in Cina (circa 30%) e dei dazi doganali applicati a carico dei prodotti orafi che arrivano in Italia (circa 3%). Per concludere con il calcio: non c'è partita, almeno per la gran parte dei prodotti italiani che in queste condizioni potranno mai più essere competitivi.
Diranno i semplici: come mai gli orafi non sono stati capaci di trasformarsi tutti in Bulgari et similia? Allo scopo di viziare il mercato piegandolo a ben altri fini, per anni il pensiero unico ha voluto farci credere che ogni piccola azienda doveva diventare una griffe per competere nel mercato internazionale. Come poteva essere possibile in un paese come l'Italia fortunatamente pieno di attività produttive? Era una specie di fissazione di massa. Veniva detto: il mondo ora è questo, la produzione è roba da asiatici, bisogna adeguarsi e fesserie simili. Purtroppo dobbiamo prendere coscienza, pur da convinti sostenitori del libero mercato, che le modalità di costruzione del mercato internazionale sono state accettata in modo acritico ed inadeguato consentendo la distruzione di interi settori dell'economia italiana. Prova ne è che dal 2000 ad oggi, anche tralasciando l'attuale catastrofica situazione dell'economia, le performance dell'export reale italiano di beni e servizi rispetto agli altri grandi paesi europei è molto negativa. Restando al settore orafo dal 2000 – quando eravamo leader mondiali - ad oggi la quota di esportazione dei prodotti italiani nel mondo si è ridotta in valore di due terzi. Dal lato dei rapporti commerciali con la Cina – ormai l'abbiamo presa di mira - i risultati di tale politica economica poi sono clamorosi: ci dice l'Istat che nel febbraio 2012, come paese Italia ed in tutti i settori, abbiamo esportato per 765 milioni di euro ed importato per 2.242 milioni di euro; pensate che affare! Purtroppo, senza negare la complessiva perdita di competitività dell'Italia e l'esigenza di procedere ad una ristrutturazione del sistema, il mercato internazionale non è libero come noi vorremmo ma invece è, ed è sempre stato, rigidamente e violentemente eterodiretto con dazi, quote, brevetti e, più in generale, altre barriere non tariffarie di vario genere. Ma restiamo ai dazi. Dazi doganali sfavorevoli, accettati per incompetenza, debolezza negoziale o per favorire altri settori, hanno messo fuori mercato interi settori produttivi. Nel caso del settore orafo ci sono aspetti che sarebbero esilaranti se non fossero drammatici per le conseguenze. Per esempio i dazi nei confronti degli Stati Uniti ad ogni revisione diventano fantozzianamente più penalizzanti. D'altra parte sarà soltanto per caso che gli Stati Uniti erano nel 1996 il primo mercato di sbocco dell'oreficeria italiana con il 36% di quota, mentre nel 2010 la quota è precipitata al 8%? Sciocco sarebbe pensare di agire in una logica di protezionismo, che sarebbe folle in un paese trasformatore ed esportatore come è l'Italia, ma è ormai indispensabile combattere per la salvaguardia della collettività nazionale e del made in Italy. Ma l'evidenza dei fatti non è negabile, per esempio sarà sempre per caso che la Cina, paese maggior consumatore di oro al mondo, ci ha praticamente raggiunti come esportatore di prodotti di oreficeria nel resto del mondo – invece l'Italia perde quote anno dopo anno - mentre quasi non importa prodotti di oreficeria dal resto del mondo? Noi siamo convinti che le attività economiche tradizionali dei nostri territori, con i necessari adeguamenti ovvio, siano vitali e preziose, e non siamo dei residui del secolo scorso destinati a guadagnicchiare qualcosa quando tutto va bene o a perdere molti soldi quando le cose vanno male, al contrario di quello che da una ventina di anni a questa parte molti sembrano pensare con sconsiderata noncuranza. Però sono parole che, sino a poco tempo fa, annoiavano, non erano di moda, sorrette solo dalla pervicacia di chi osservando la vita di tutti i giorni vedeva che le cose peggioravano e non miglioravano, vedasi per esempio la forte perdita di ricchezza degli italiani dagli anni 80 ad oggi o l'incredibile disoccupazione generalizzata. Non riuscivamo a capire, o lo capivamo sin troppo bene e ne parleremo in una altra occasione, perché sia stata sbattuta la porta in faccia ad un sistema che ha consentito ad intere nazioni di condurre un tenore di vita più che soddisfacente per alcuni decenni. Poi, per altre inevitabili ragioni, è esplosa la crisi. Immagino sia a tutti chiara la drammaticità delle prospettive economiche – e quindi sociali – che sono all'orizzonte se non cambiamo strada. E allora, venendo al dunque, se, tra l'altro, vogliamo salvare il mercato dobbiamo agire alla svelta, mediante azioni di forte discontinuità, mediante strumenti noti e sempre utilizzati, seppur con nomi diversi, dalla notte dei tempi. Diversamente forze anti-mercato prenderanno il sopravvento e, diciamo la verità, non senza ragioni, visto che non possiamo pensare che la gente muoia di inedia e sia contenta. E' chiaro che dobbiamo prima di tutto mantenere in vita il nostro sistema economico e che quindi dobbiamo dargli una qualche temporanea protezione dalle intemperie utilizzando anche strumenti poco chic come dazi e normative; proprio come fanno gli altri, e senza stare ad aspettare che avvenga il miracolo da solo perché non avverrà! Ce lo siamo già detti: non c'è molto da inventare, sono richieste che, con un certo animus pugnandi, posso benissimo essere promosse dalla base nei confronti del Governo e, quindi, dell'Unione Europea. Il tempo stringe: basterebbe, per esempio, che qualcuno si decidesse ad attivare le clausole previste sempre dai trattati che consentono diverse iniziative nei confronti degli stati che producono - e quindi esportano – beni in situazione di concorrenza tecnicamente definibile sleale a causa dell'insufficiente tutela delle condizioni del lavoro e dell'ambiente. Già così si produrrebbe un immediato riequilibrio della situazione. Certo, siamo un paese trasformatore ed esportatore, parliamo di un uso di questi delicati strumenti intelligente, pragmatico e, soprattutto, a termine. Quanto basta per ottenere il tempo necessario ad adeguare il sistema senza devastazioni sociali. Bisogna imparare ad utilizzare tutti i tasti del pianoforte per suonare una buona musica, ed è inconcepibile privarsi delle ottave più lontane nella tastiera che il resto del mondo utilizza a piene mani, Stati Uniti compresi. Certo alcuni liberisti ortodossi arriccerebbero il naso, ma avrete notato la singolare circostanza che, di solito, si tratta di professori universitari guarda caso ben attaccati al loro stipendio di pubblici dipendenti. Una tale battaglia può – e deve – partire dai territori.
http://www.arezzonotizie.it/home/econom ... ccidentali

Certo che a te le cose te le devono spiegare con i disegni, altrimenti non ci arrivi.
Che mi dimostri con questo papello?
Visto che non ci arrivi e che scrivi a vanvera, ti chiarisco un po' di cose, sperando di chiudere questo OT.
1) Non ho mai difeso i cinesi e il loro mercato. E non mi sogno neanche lontanamente di farlo.
2) Ho solo detto, come dicono altri molto più importanti di me, che i dazi potrebbero essere controproducenti per noi europei, dato che ci sono tanti interessi di Società italiane in Cina.
3) Non ho mai detto o scritto di essere contro la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina.
4) Non ho mai detto o scritto di essere contro la Tav.
5) Non sono un fan di Di Pietro.
Per dire cosa penso e come la penso sui vari argomenti, ci sono qua io. Non lo devono dire altri, perchè sparano solo fesserie (ma, tranquillo, su questo non sei l'unico).