Da ultimo siccome ogni volta che si parla di papi si sposta sempre il tiro sulla giustizia vorrei aggiungere un paio di considerazioni...
Ma non sarà che la giustizia fa schifo proprio perchè ci sono troppe garanzie per gli imputati, che possono ricorrere a tecniche dilatorie di ogni genere e davvero poche per le parti lees????
Ma non avete come la sensazione che ci siano troppi passaggi superflui? Troppe persone che devono giudicare, stabilire la competenza, l'opportunita delle indagini ecc. ecc.??? Bhè una spiegazione c'è....
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Esplora il significato del termine: Avvocati, un futuro di piccoli studi Aumenta il numero degli iscritti all’Albo Si punta su «boutique legali specializzate»
Sono sempre di più e sono sempre più scontenti. Il numero degli avvocati in Italia aumenta di anno in anno e la categoria, preoccupata da scadimento della professionalità, perdita di prestigio sociale, calo dei guadagni e in lotta con leggi che cambiano da un giorno all’altro, reagisce riducendo le dimensioni degli studi professionali. Una ricerca commissionata dalla Camera penale di Milano analizza la situazione e intravede una luce in fondo al tunnel: il futuro è nella specializzazione, gli studi saranno sempre più boutique legali. Per capire l’origine del malessere che attraversa il mondo dell’avvocatura basta dare una letta ai dati. Dicono di
un’esplosione dell’accesso alla professione negli ultimi 30 anni che ha fatto diventare l’Italia, con 213.081 avvocati, 36,8 ogni diecimila abitanti, il terzo paese in Europa per numero di professionisti dietro solo al Liechtenstein, che ne ha 39, e alla Spagna, con 38,7. Un terzo più di Germania (146.910), che però ha una popolazione di 82 milioni di abitanti, e della Gran Bretagna (140.685) e più di cinque volte della Francia (47.765). Nella sola Milano, in 18 anni gli iscritti all’Albo sono passati da 4.429 a 19.569. Aumentando l’offerta, si riducono le parcelle. La ricerca, effettuata dal Consorzio Aaster, riguarda la realtà milanese, ma la fotografia che viene fuori fornisce uno spaccato dell’intero panorama nazionale, quantomeno in termini di tendenze, compresa la realtà dei legali che si occupano di questioni civilistiche. Sarà il punto di partenza del convegno «Il penalista su misura» che si terrà nel salone Valente, a due passi dal Palazzo di Giustizia di Milano, nel pomeriggio del 13 maggio. Lo studio professionale «L’avvocatura penale è la meno permeabile alle trasformazioni», scrivono i ricercatori. Domina il piccolo studio monotitolare, 6-8 persone e un paio di segretarie. Tutto ruota intorno alla figura del dominus, l’avvocato, che gestisce personalmente il delicato rapporto con il cliente finito nei guai con la giustizia o alla ricerca di una riparazione a un torto subito. Un lavoro molto individualista che non può essere diviso con altri colleghi, perché è lo stesso cliente ad esigerlo. Infatti, solo il 26,4% del campione si dice interessato a far parte di un grosso studio a struttura aziendalistica, mentre il 63% non lo è perché teme di perdere la propria autonomia professionale e il 61% prevede per il futuro lo sviluppo di «boutique legali molto specializzate» in particolari settori del penale, anche se una specializzazione esasperata viene percepita da molti come un elemento di decadimento professionale perché impedirebbe una visione generale delle questioni. Tant’è vero che solo il 4,7% lavora in studi con più di 10 addetti. È così in tutta Europa, tranne che in Gran Bretagna dove, come negli Usa, si sono affermati grandi studi con centinaia di addetti. Quest’ultimo fenomeno ha preso piede anche in Italia nel settore civile, almeno a Roma e Milano, in particolare nella seconda dove le grandi multinazionali aprono i loro uffici italiani. «Law firm» all’anglosassone in grado di fornire risposte puntuali e veloci dove è di vitale importanza conoscenza delle lingue, delle tecnologie e mobilità internazionale. E che hanno il grande pregio di far lavorare tante persone. Nel resto d’Italia domina ancora il piccolo studio che si occupa un po’ di tutto, dal penale al civile, dal societario al tributario. La crisi e il decreto Bersani, che ha eliminato i minimi per le parcelle, stanno incidendo su tutti. I grandi studi titolati tornano ad occuparsi di cause minori accontentandosi, come i più piccoli, di compensi sempre più bassi. Un tempo, poi, si diventava avvocati per discendenza dinastica. Oggi, tra i penalisti milanesi solo il 9,1% proviene da una famiglia di avvocati, percentuale che tra i più giovani scende addirittura al 4,8%. Tuttavia, la provenienza è ancora legata al vertice delle classi sociali, visto che il 51,6% arriva da famiglie di dirigenti, imprenditori, liberi professionisti e quadri tecnici e solo il 10% dal ceto popolare. Nel penale le donne hanno superato gli uomini: sono il 54%, anche se nell’avvocatura milanese in generale restano in minoranza al 42,7% (dati 2005). Erano appena l’11% nel 1980. In ogni caso la famiglia è ancora determinate nella scelta perché il 56,6% dichiara di essersi potuto inserire nella comunità professionale seguendo l’esempio di parenti o amici. Le motivazioni? Utilità sociale (32%), ideali di giustizia (9,3), tradizione familiare (6,2) e aspetto economico (5,8). Gli avvocati, in generale, lavorano moltissimo: in media 44,7 ore la settimana, con il 42,7% che lavora fino a 50 ore. La qualità professionale L’enorme numero di avvocati secondo l’86,2% ha portato anche a una riduzione della qualità professionale, dell’osservanza della deontologia e del prestigio. In taluni anche a una sudditanza ossequiosa nei confronti della magistratura, come nelle difese d’ufficio degli extracomunitari irreperibili che alcuni interpretano come fonte di guadagno sicuro a fronte di ricorsi e iniziative spesso solo strumentali per ottenere il rimborso spese dallo Stato. Devianze che vengono regolarmente sanzionate dagli Ordini professionali. «Emerge il ritratto di un gruppo sociale che si percepisce in declino quanto a posizione, riconoscimento politico, reddito e chance di carriera. Un vero e proprio processo di declassamento». Per questo il 68% è d’accordo con l’idea di restringere l’accesso e il 65% vedrebbe positivamente l’introduzione del numero chiuso nelle facoltà di giurisprudenza. Su questa linea, a febbraio le componenti dell’avvocatura nazionale hanno approvato un progetto di riforma della professione che fissa alcuni paletti che impediscono, ad esempio, l’iscrizione all’albo dei praticanti a chi ha più di 50 anni e a chi ha superato da oltre 5 l’esame. Ed è sempre per questo che il 63,3% del campione del sondaggio è d’accordo con un sistema di certificazione della professione e, tra costoro, ben il 23,6% allo scopo di proteggere i clienti da colleghi incompetenti. Ma c’è una fetta significativa del 36,6 di contrari secondo i quali la selezione la deve fare il mercato. «La professione forense, al pari del resto del mondo professionale, è attraversata da una frattura tra due logiche distinte: la liberalizzazione del mercato, necessaria per abbattere privilegi e barriere, e la voglia di corporazione», annotano i ricercatori. La domanda è se poi il cliente è talmente sofisticato da saper comparare tra loro i vari avvocati, visto che la scelta, specie in campo penale, spesso avviene per i consigli di un collega civilista, dell’amico o del conoscente. Lobby in decadenza In Parlamento siedono tantissimi avvocati, ma la base è convinta che la lobby della categoria abbia le armi spuntate nei confronti della politica a causa del conflitto di interessi tra ruolo professionale e responsabilità politiche di chi è stato eletto. Così guarda all’Ordine e ad organismi come la Camera penale ritenendoli in grado di fare lobby sindacale nei confronti della politica e della magistratura promuovendo riforme della giustizia che invertano la tendenza in atto. ] Avvocati, un futuro di piccoli studi
Aumenta il numero degli iscritti all’Albo Si punta su «boutique legali specializzate»
Sono sempre di più e sono sempre più scontenti. Il numero degli avvocati in Italia aumenta di anno in anno e la categoria, preoccupata da scadimento della professionalità, perdita di prestigio sociale, calo dei guadagni e in lotta con leggi che cambiano da un giorno all’altro, reagisce riducendo le dimensioni degli studi professionali. Una ricerca commissionata dalla Camera penale di Milano analizza la situazione e intravede una luce in fondo al tunnel: il futuro è nella specializzazione, gli studi saranno sempre più boutique legali.
Per capire l’origine del malessere che attraversa il mondo dell’avvocatura basta dare una letta ai dati. Dicono di un’esplosione dell’accesso alla professione negli ultimi 30 anni che ha fatto diventare l’Italia, con 213.081 avvocati, 36,8 ogni diecimila abitanti, il terzo paese in Europa per numero di professionisti dietro solo al Liechtenstein, che ne ha 39, e alla Spagna, con 38,7. Un terzo più di Germania (146.910), che però ha una popolazione di 82 milioni di abitanti, e della Gran Bretagna (140.685) e più di cinque volte della Francia (47.765). Nella sola Milano, in 18 anni gli iscritti all’Albo sono passati da 4.429 a 19.569. Aumentando l’offerta, si riducono le parcelle.
La ricerca, effettuata dal Consorzio Aaster, riguarda la realtà milanese, ma la fotografia che viene fuori fornisce uno spaccato dell’intero panorama nazionale, quantomeno in termini di tendenze, compresa la realtà dei legali che si occupano di questioni civilistiche. Sarà il punto di partenza del convegno «Il penalista su misura» che si terrà nel salone Valente, a due passi dal Palazzo di Giustizia di Milano, nel pomeriggio del 13 maggio.
Lo studio professionale
«L’avvocatura penale è la meno permeabile alle trasformazioni», scrivono i ricercatori. Domina il piccolo studio monotitolare, 6-8 persone e un paio di segretarie. Tutto ruota intorno alla figura del dominus, l’avvocato, che gestisce personalmente il delicato rapporto con il cliente finito nei guai con la giustizia o alla ricerca di una riparazione a un torto subito.
Un lavoro molto individualista che non può essere diviso con altri colleghi, perché è lo stesso cliente ad esigerlo. Infatti, solo il 26,4% del campione si dice interessato a far parte di un grosso studio a struttura aziendalistica, mentre il 63% non lo è perché teme di perdere la propria autonomia professionale e il 61% prevede per il futuro lo sviluppo di «boutique legali molto specializzate» in particolari settori del penale, anche se una specializzazione esasperata viene percepita da molti come un elemento di decadimento professionale perché impedirebbe una visione generale delle questioni. Tant’è vero che solo il 4,7% lavora in studi con più di 10 addetti.
È così in tutta Europa, tranne che in Gran Bretagna dove, come negli Usa, si sono affermati grandi studi con centinaia di addetti. Quest’ultimo fenomeno ha preso piede anche in Italia nel settore civile, almeno a Roma e Milano, in particolare nella seconda dove le grandi multinazionali aprono i loro uffici italiani. «Law firm» all’anglosassone in grado di fornire risposte puntuali e veloci dove è di vitale importanza conoscenza delle lingue, delle tecnologie e mobilità internazionale. E che hanno il grande pregio di far lavorare tante persone.
Nel resto d’Italia domina ancora il piccolo studio che si occupa un po’ di tutto, dal penale al civile, dal societario al tributario. La crisi e il decreto Bersani, che ha eliminato i minimi per le parcelle, stanno incidendo su tutti. I grandi studi titolati tornano ad occuparsi di cause minori accontentandosi, come i più piccoli, di compensi sempre più bassi.
Un tempo, poi, si diventava avvocati per discendenza dinastica. Oggi, tra i penalisti milanesi solo il 9,1% proviene da una famiglia di avvocati, percentuale che tra i più giovani scende addirittura al 4,8%. Tuttavia, la provenienza è ancora legata al vertice delle classi sociali, visto che il 51,6% arriva da famiglie di dirigenti, imprenditori, liberi professionisti e quadri tecnici e solo il 10% dal ceto popolare. Nel penale le donne hanno superato gli uomini: sono il 54%, anche se nell’avvocatura milanese in generale restano in minoranza al 42,7% (dati 2005). Erano appena l’11% nel 1980. In ogni caso la famiglia è ancora determinate nella scelta perché il 56,6% dichiara di essersi potuto inserire nella comunità professionale seguendo l’esempio di parenti o amici. Le motivazioni? Utilità sociale (32%), ideali di giustizia (9,3), tradizione familiare (6,2) e aspetto economico (5,8). Gli avvocati, in generale, lavorano moltissimo: in media 44,7 ore la settimana, con il 42,7% che lavora fino a 50 ore.
La qualità professionale
L’enorme numero di avvocati secondo l’86,2% ha portato anche a una riduzione della qualità professionale, dell’osservanza della deontologia e del prestigio. In taluni anche a una sudditanza ossequiosa nei confronti della magistratura, come nelle difese d’ufficio degli extracomunitari irreperibili che alcuni interpretano come fonte di guadagno sicuro a fronte di ricorsi e iniziative spesso solo strumentali per ottenere il rimborso spese dallo Stato. Devianze che vengono regolarmente sanzionate dagli Ordini professionali.
«Emerge il ritratto di un gruppo sociale che si percepisce in declino quanto a posizione, riconoscimento politico, reddito e chance di carriera. Un vero e proprio processo di declassamento». Per questo il 68% è d’accordo con l’idea di restringere l’accesso e il 65% vedrebbe positivamente l’introduzione del numero chiuso nelle facoltà di giurisprudenza. Su questa linea, a febbraio le componenti dell’avvocatura nazionale hanno approvato un progetto di riforma della professione che fissa alcuni paletti che impediscono, ad esempio, l’iscrizione all’albo dei praticanti a chi ha più di 50 anni e a chi ha superato da oltre 5 l’esame. Ed è sempre per questo che il 63,3% del campione del sondaggio è d’accordo con un sistema di certificazione della professione e, tra costoro, ben il 23,6% allo scopo di proteggere i clienti da colleghi incompetenti.
Ma c’è una fetta significativa del 36,6 di contrari secondo i quali la selezione la deve fare il mercato. «La professione forense, al pari del resto del mondo professionale, è attraversata da una frattura tra due logiche distinte: la liberalizzazione del mercato, necessaria per abbattere privilegi e barriere, e la voglia di corporazione», annotano i ricercatori. La domanda è se poi il cliente è talmente sofisticato da saper comparare tra loro i vari avvocati, visto che la scelta, specie in campo penale, spesso avviene per i consigli di un collega civilista, dell’amico o del conoscente.
Lobby in decadenza
In Parlamento siedono tantissimi avvocati, ma la base è convinta che la lobby della categoria abbia le armi spuntate nei confronti della politica a causa del conflitto di interessi tra ruolo professionale e responsabilità politiche di chi è stato eletto. Così guarda all’Ordine e ad organismi come la Camera penale ritenendoli in grado di fare lobby sindacale nei confronti della politica e della magistratura promuovendo riforme della giustizia che invertano la tendenza in atto.
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