Il più Bel kilometro d'Italia
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Citazione che è attribuita a Gabriele d'Annunzio..ma qualcuno sa , perchè io lo ignoro onestamente, in quale occasione , quale opera o quale aneddoto contenga questa frase detta dal " Comandante"
"Gli amici miei, ed in cui posso fidare, non vivon qui: si trovan lontano, al mio paese, come ogni altra cosa, signori, che mi può recar conforto".
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Viene leggendariamente attribuita a lui, ma c'è uno studio del signor Agazio Trombetta che dimostra la falsità di questa cosa, tenuto conto del fatto che mai D'Annunzio visitò Reggio Calabria.Lixia ha scritto:Citazione che è attribuita a Gabriele d'Annunzio..ma qualcuno sa , perchè io lo ignoro onestamente, in quale occasione , quale opera o quale aneddoto contenga questa frase detta dal " Comandante"
L’arte tutta reggina di glorificare ciò che non fu, obliando quello che è realmente stato.[cit.]
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Miranda ha scritto:Viene leggendariamente attribuita a lui, ma c'è uno studio del signor Agazio Trombetta che dimostra la falsità di questa cosa, tenuto conto del fatto che mai D'Annunzio visitò Reggio Calabria.Lixia ha scritto:Citazione che è attribuita a Gabriele d'Annunzio..ma qualcuno sa , perchè io lo ignoro onestamente, in quale occasione , quale opera o quale aneddoto contenga questa frase detta dal " Comandante"
e i undi 'ncì niscìu sta cosa a GabriellinU ???
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DoubleD ha scritto:Miranda ha scritto:Viene leggendariamente attribuita a lui, ma c'è uno studio del signor Agazio Trombetta che dimostra la falsità di questa cosa, tenuto conto del fatto che mai D'Annunzio visitò Reggio Calabria.Lixia ha scritto:Citazione che è attribuita a Gabriele d'Annunzio..ma qualcuno sa , perchè io lo ignoro onestamente, in quale occasione , quale opera o quale aneddoto contenga questa frase detta dal " Comandante"
e i undi 'ncì niscìu sta cosa a GabriellinU ???
infatti sembra non l'abbia detta lui ...io non ho letto il libro del Trombetta, più che altro asto punto io direi a chi è uscita sta cosa di attribuire questa frase a D'Annunzio
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Evidentemente qualcuno avra' detto mentre passeggiava per la Via Marina:"VI NNUNZIU ca chistu esti u megghiu kilometru r'Italia" e quel VI NNUNZIU l'anno scambiatio per D'Annunzio
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mubald ha scritto:Evidentemente qualcuno avra' detto mentre passeggiava per la Via Marina:"VI NNUNZIU ca chistu esti u megghiu kilometru r'Italia" e quel VI NNUNZIU l'anno scambiatio per D'Annunzio
"Gli amici miei, ed in cui posso fidare, non vivon qui: si trovan lontano, al mio paese, come ogni altra cosa, signori, che mi può recar conforto".
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a Reggio non è difficile... potrebbe starcimubald ha scritto:Evidentemente qualcuno avra' detto mentre passeggiava per la Via Marina:"VI NNUNZIU ca chistu esti u megghiu kilometru r'Italia" e quel VI NNUNZIU l'anno scambiatio per D'Annunzio
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mi autorispondo
http://www.zoomsud.it/index.php?option= ... rimo-piano
Il poeta incantato da Reggio? non D’annunzio ma Giovanni Pascoli
di MARIO FABRIZIO DE PASQUALE – Ogni reggino che si rispetti avrà sentito parlare, almeno una volta, della presunta visita di D’Annunzio e di quanto avrebbe detto ammirando il lungomare. Una forsennata rincorsa all’accaparrarsi una frase mai detta;
un ospite, per intenderci, che mai qui ha messo piede. In pochi, invece, conoscono qualcosa del rapporto, stavolta reale, che Giovanni Pascoli ebbe con questo lembo di terra, di cui fu fine osservatore. Verrebbe da chiedersi come mai, qui da noi, l’autore de Il Fanciullino non abbia riscosso la stessa fortuna dell’istrionico abruzzese. Eppure, proprio Pascoli ebbe modo di scrivere della patria di quell’Ibico che il suo vecchio professore del ginnasio contribuì a fargli conoscere; nonché di Diego Vitrioli, il raffinato latinista dello Xiphias, per il quale serbava tanta ammirazione.
Raccontano in casa mia che, negli anni, amici e conoscenti vennero a chiedere informazioni al nonno di mia madre per via di una foto con dedica che D’Annunzio volle donargli. Lui rispondeva che quell’ immagine si rifaceva ad un incontro avuto a Monza nel 1923, in occasione di un’esposizione d’arte presso la Villa Reale, deludendo così, chi credeva di vedere in quella testimonianza la prova della presenza del vate in riva allo Stretto. In realtà, sono in molti ad aver sospettato che la frase sulla via Marina fosse più che altro una trovata pubblicitaria. Il più bel chilometro d’Italia, slogan ante litteram di una città che allora già lottava per “vendersi” oltre i confini regionali. Sempre sull’argomento, ricordo di un pomeriggio in treno, destinazione Roma, con il critico Bonito-Oliva ed un anziano preside reggino ormai in pensione. La tipica chiacchiera da treno – lei di dov’è? - e subito, nominando Reggio, l’immancabile “questione dannunziana”.
Vociare e nulla più, dunque, quello su D’Annunzio. Parole scritte e date alle stampe quelle, invece, di Pascoli. Una stele, tra i vari monumenti che abbelliscono la via Marina, all’altezza dell’Istituto Magistrale, riporta un passo tratto da Un poeta di lingua morta in Pensieri e discorsi:
Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte. Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine; e qui si fondono formando nella serenità del mattino un immenso bagno di purissimi metalli scintillanti nel liquefarsi, e qui si adagiano rendendo, tra i vapori della sera, immagine di grandi porpore cangianti di tutte le sfumature delle conchiglie. È un luogo sacro questo. Tra Scilla e Messina, in fondo al mare, sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell’aurora, sotto le porpore iridescenti dell’occaso, è appiattata, dicono, la morte; non quella, per dir così, che coglie dalle piante umane ora il fiore ora il frutto, lasciando i rami liberi di fiorire ancora e di fruttare; ma quella che secca le piante stesse; non quella che pota, ma quella che sradica; non quella che lascia dietro sé lacrime, ma quella cui segue l’oblio. Tale potenza nascosta donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia.
Pascoli rimase sinceramente incantato da questa parte di Stivale: ne ammirò le radici culturali e coi suoi versi rese più tenue il dolore della catastrofe all’indomani del sisma. Luogo sacro, crocevia di culture. Un amore che nacque nel periodo in cui ebbe la cattedra di letteratura latina presso l’Ateneo di Messina, tra il 1897 e il 1903, oppure quando, nei giorni difficili del terremoto, fu testimone illustre con Gaetano Salvemini.
L’atto di chiusura di questo scritto è un’eredità che Pascoli sceglie di lasciarci: Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia.
E a ben vedere, essa ha il sapore amaro della beffa: l’arte tutta reggina di glorificare ciò che non fu, obliando quello che è realmente stato.
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Il poeta incantato da Reggio? non D’annunzio ma Giovanni Pascoli
di MARIO FABRIZIO DE PASQUALE – Ogni reggino che si rispetti avrà sentito parlare, almeno una volta, della presunta visita di D’Annunzio e di quanto avrebbe detto ammirando il lungomare. Una forsennata rincorsa all’accaparrarsi una frase mai detta;
un ospite, per intenderci, che mai qui ha messo piede. In pochi, invece, conoscono qualcosa del rapporto, stavolta reale, che Giovanni Pascoli ebbe con questo lembo di terra, di cui fu fine osservatore. Verrebbe da chiedersi come mai, qui da noi, l’autore de Il Fanciullino non abbia riscosso la stessa fortuna dell’istrionico abruzzese. Eppure, proprio Pascoli ebbe modo di scrivere della patria di quell’Ibico che il suo vecchio professore del ginnasio contribuì a fargli conoscere; nonché di Diego Vitrioli, il raffinato latinista dello Xiphias, per il quale serbava tanta ammirazione.
Raccontano in casa mia che, negli anni, amici e conoscenti vennero a chiedere informazioni al nonno di mia madre per via di una foto con dedica che D’Annunzio volle donargli. Lui rispondeva che quell’ immagine si rifaceva ad un incontro avuto a Monza nel 1923, in occasione di un’esposizione d’arte presso la Villa Reale, deludendo così, chi credeva di vedere in quella testimonianza la prova della presenza del vate in riva allo Stretto. In realtà, sono in molti ad aver sospettato che la frase sulla via Marina fosse più che altro una trovata pubblicitaria. Il più bel chilometro d’Italia, slogan ante litteram di una città che allora già lottava per “vendersi” oltre i confini regionali. Sempre sull’argomento, ricordo di un pomeriggio in treno, destinazione Roma, con il critico Bonito-Oliva ed un anziano preside reggino ormai in pensione. La tipica chiacchiera da treno – lei di dov’è? - e subito, nominando Reggio, l’immancabile “questione dannunziana”.
Vociare e nulla più, dunque, quello su D’Annunzio. Parole scritte e date alle stampe quelle, invece, di Pascoli. Una stele, tra i vari monumenti che abbelliscono la via Marina, all’altezza dell’Istituto Magistrale, riporta un passo tratto da Un poeta di lingua morta in Pensieri e discorsi:
Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte. Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine; e qui si fondono formando nella serenità del mattino un immenso bagno di purissimi metalli scintillanti nel liquefarsi, e qui si adagiano rendendo, tra i vapori della sera, immagine di grandi porpore cangianti di tutte le sfumature delle conchiglie. È un luogo sacro questo. Tra Scilla e Messina, in fondo al mare, sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell’aurora, sotto le porpore iridescenti dell’occaso, è appiattata, dicono, la morte; non quella, per dir così, che coglie dalle piante umane ora il fiore ora il frutto, lasciando i rami liberi di fiorire ancora e di fruttare; ma quella che secca le piante stesse; non quella che pota, ma quella che sradica; non quella che lascia dietro sé lacrime, ma quella cui segue l’oblio. Tale potenza nascosta donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia.
Pascoli rimase sinceramente incantato da questa parte di Stivale: ne ammirò le radici culturali e coi suoi versi rese più tenue il dolore della catastrofe all’indomani del sisma. Luogo sacro, crocevia di culture. Un amore che nacque nel periodo in cui ebbe la cattedra di letteratura latina presso l’Ateneo di Messina, tra il 1897 e il 1903, oppure quando, nei giorni difficili del terremoto, fu testimone illustre con Gaetano Salvemini.
L’atto di chiusura di questo scritto è un’eredità che Pascoli sceglie di lasciarci: Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia.
E a ben vedere, essa ha il sapore amaro della beffa: l’arte tutta reggina di glorificare ciò che non fu, obliando quello che è realmente stato.
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c'è una stele in via marina con questo pensiero del PascoliLixia ha scritto:
Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte. Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine; e qui si fondono formando nella serenità del mattino un immenso bagno di purissimi metalli scintillanti nel liquefarsi, e qui si adagiano rendendo, tra i vapori della sera, immagine di grandi porpore cangianti di tutte le sfumature delle conchiglie. È un luogo sacro questo. Tra Scilla e Messina, in fondo al mare, sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell’aurora, sotto le porpore iridescenti dell’occaso, è appiattata, dicono, la morte; non quella, per dir così, che coglie dalle piante umane ora il fiore ora il frutto, lasciando i rami liberi di fiorire ancora e di fruttare; ma quella che secca le piante stesse; non quella che pota, ma quella che sradica; non quella che lascia dietro sé lacrime, ma quella cui segue l’oblio. Tale potenza nascosta donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia.
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si lo so ci sono le foto sul link che ho postatoDoubleD ha scritto:c'è una stele in via marina con questo pensiero del PascoliLixia ha scritto:
Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte. Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine; e qui si fondono formando nella serenità del mattino un immenso bagno di purissimi metalli scintillanti nel liquefarsi, e qui si adagiano rendendo, tra i vapori della sera, immagine di grandi porpore cangianti di tutte le sfumature delle conchiglie. È un luogo sacro questo. Tra Scilla e Messina, in fondo al mare, sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell’aurora, sotto le porpore iridescenti dell’occaso, è appiattata, dicono, la morte; non quella, per dir così, che coglie dalle piante umane ora il fiore ora il frutto, lasciando i rami liberi di fiorire ancora e di fruttare; ma quella che secca le piante stesse; non quella che pota, ma quella che sradica; non quella che lascia dietro sé lacrime, ma quella cui segue l’oblio. Tale potenza nascosta donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia.
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vero! la riporto in firmaLixia ha scritto:
l’arte tutta reggina di glorificare ciò che non fu, obliando quello che è realmente stato.
L’arte tutta reggina di glorificare ciò che non fu, obliando quello che è realmente stato.[cit.]