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il fronte est
Cina. Può sgonfiarsi? La paura di Ue e Usa
Il rallentamento è in corso. Potrebbe essere soft e guidato. Ma potrebbe anche diventare un crash
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Cina. Può sgonfiarsi? La paura di Ue e Usa
Il rallentamento è in corso. Potrebbe essere soft e guidato. Ma potrebbe anche diventare un crash
I politici europei hanno pasticciato non poco, durante tutta la crisi del debito. E continuano a farlo. Quelli americani non sono stati da meno, a cominciare dalla disputa estiva sull’innalzamento del deficit che ha opposto il Congresso al presidente Barack Obama. Almeno, però, i leader dell’Occidente sono trasparenti, se fanno sciocchezze le fanno in pubblico (vedi tabella).
Verso l’atterraggio
Ma in Cina? Cosa stia succedendo davvero nell’economia e nella politica dell’Impero di mezzo è sempre meno chiaro. Tanto che l’ansia degli investitori si sta trasferendo a passi da gigante verso Pechino. Per molti versi, anzi, c’è un’ansia cinese da un po’ di tempo: l’indice elaborato dalla Deutsche Bank riferito alle aziende internazionali molto esposte alla Cina nell’ultimo anno è sceso di oltre il 40%. È iniziato un crollo di certezze rispetto alla storia straordinaria della crescita cinese. Fatto che apre scenari in teoria preoccupanti.
Che l’economia del gigante asiatico debba rallentare è un dato di fatto. Nel 2008, le autorità hanno lanciato un piano di stimolo per contrastare la contrazione delle esportazioni durante la recessione in America e in Europa: non poteva essere mantenuto indefinitamente e quindi la banca centrale Pbc ha più volte alzato i tassi d’interesse (l’inflazione resta sopra al 6%). Come risultato, nel terzo trimestre la crescita del Pil è scesa al 9,1% (era stata del 9,5% il trimestre precedente). Potrebbe essere un dato perfettamente in linea con l’intenzione del partito e del primo ministro Wen Jiabao di condurre un soft landing, un rallentamento controllato ma sempre con una crescita annua non inferiore all’8%. Ma potrebbe essere anche il segno di qualcosa di più serio, di un rallentamento massiccio.
Tutti sanno che la seconda economia del mondo negli ultimi anni si è sviluppata creando distorsioni non da poco. Lo stesso partito comunista ammette che la crescita, spinta da un’enorme massa di investimenti (pari alla metà del Pil), ha sicuramente creato bolle e allocato risorse in settori che non avranno mai un senso economico (non solo i campi da golf). Prima o poi questo nodo verrà al pettine, come ogni bolla anche questa si sgonfierà: si tratterebbe di avere un’idea, grazie a qualche statistica più attendibile di quelle ufficiali e manipolate, di quanta aria calda ci sia nelle bolle per prevedere tempi e portata della correzione. Il governo centrale sta cercando, per esempio, di tenere sotto controllo il prezzo delle case. A livello locale, però, alcune amministrazioni, ad esempio quella della città meridionale di Foshan nelle settimane scorse, avrebbero iniziato a sfidare le direttive centrali per evitare proprio che la bolla edilizia scoppi. Quali siano la portata del problema e il rischio è difficile da stimare.
Uno studio recente di MarketWatch può però dare un’idea: dice che a Hong Kong «il mercato immobiliare sembra essere guidato da investitori che sono ricchi al punto di non curarsi nemmeno di affittare i loro appartamenti». Una situazione del genere non potrà andare avanti per sempre, soprattutto se si tiene conto che nella città, sette milioni di abitanti, ci sarebbero - dati ufficiali - 250 mila appartamenti sfitti. Le ansie, però, non si fermano qui.
Il credito parallelo
Il sistema del credito cinese è un animale molto strano. Fondamentalmente, è governato dalle grandi banche di Stato che prestano sulla base delle indicazioni dei mandarini di partito. Ma in parallelo si è sviluppato un sistema bancario sotterraneo nel quale individui ricchi di cash prestano denaro a tassi elevati ad aziende private che non hanno accesso ai fondi indirizzati dallo Stato. In un sistema controllato, il credito rischia così di essere fuori controllo. Il problema è così serio che il Quotidiano del Popolo l’ha definito «una crisi subprime in stile cinese».
Non è dunque strano che gli investitori si domandino se quello cinese sarà un soft landing o un hard landing nel quale il mondo intero si farà parecchio male. E ancora meno strano è che arrivino alle conclusioni più diverse.
Un grande conoscitore della Cina, l’economista di Morgan Stanley Stephen Roach, prevede un rallentamento dell’economia del Paese, ma nessuna catastrofe. L’economista star Nouriel Roubini la settimana scorsa ha invece sostenuto che, come ogni iper investimento, anche questo finirà in modo doloroso. Non prima del 2013 o del 2014 - ha però aggiunto - perché Wen e il presidente Hu Jintao «faranno tutto il possibile» per tenere la crescita sopra l’8% mentre la nuova generazione di leader salirà al potere, come previsto, nel 2012. Jim Chanos, fondatore dell’hedge fund americano Kynkos, è infine convinto che il grande crash dell’economia cinese sia non solo inevitabile vista la situazione del mercato immobiliare, ma sia addirittura già iniziato.
Insomma, è arrivato il momento di guardare il fenomenale boom cinese in una prospettiva meno eccitata. Pechino promette di aiutare l’Europa, ma non è probabilmente il caso di trattenere il fiato: dovrà aiutare prima se stessa.
Danilo Taino
24 ottobre 2011(ultima modifica: 25 ottobre 2011 11:11)
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Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.