Mafia e politica, Fini rompe il tabù
del terzo grado di giudizio
Nell'anniversario della morte di Paolo Borsellino e degli uomini della scorta, il presidente della Camera richiama i partiti: "Scelgano i candidati con criteri etici e politici, senza aspettare le sentenze". E si riattizzano le polemiche sulla trattativa tra boss e uomini dello Stato
Memoria sì, ma con polemiche. Oggi l’Italia ricorda Paolo Borsellino e gli uomini della scorta, massacrati il 19 luglio di 19 anni fa in via D’Amelio. Le commemorazioni, però, infiammano il dibattito politico.
Nel suo intervento al Palazzo di giustizia di Palermo, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha esortato i partiti “a fare pulizia al proprio interno, eliminando ogni ambigua zona di contiguità con la criminalità e il malaffare”. Per prima cosa, ha continuanto, i partiti devono “evitare di candidare persone sospette di vicinanza con la mafia e a maggior ragione non elevarli a posti di responsabilità”. Poi ha rotto il tabù che da sempre protegge i politici e gli amministratori coinvolti in inchieste per mafia: “Non è necessario aspettare sentenze definitive per prendere le decisioni che servono. Basta applicare principi di responsabilità politica e di etica pubblica”.
Fu proprio Borsellino, parlando agli studenti di una scuola di Bassano del Grappa nel 1989, a porre il problema con estrema chiarezza: “Ci si è nascosti dietr0 lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto”. Invece in tribunale può essere assolto anche un politico colluso, perché magari le prove non sono sufficienti, argomentava il magistrato. “Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica”.
Di “collusione e indifferenza rispetto al fenomeno mafioso” ha parlato anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo messaggio ad Agnese Borsellino, la vedova del giudice.
Niente candidature né incarichi a persone anche solo “sospette”, dice Fini, e la mente corre al caso di Saverio Romano, da poco nominato ministro dell’Agricoltura, sui cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. Forse per questo c’è da registrare un’immediata – e piccata – reazione di Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, partito fondato da Marcello Dell’Utri, che per concorso esterno è condannato addirittura in appello, a sette anni di reclusione.“Proprio il luminoso esempio diFalcone e Borsellino insegna che la lotta alla mafia si può fare anche (e soprattutto) essendo favorevoli a una profonda riforma della giustizia”, afferma Capezzone, “senza mai cadere in una logica di accettazione generalizzata e passiva di tutto ciò che i pentiti dicono (ma discernendo bene), e senza mai prestare il fianco a logiche di giustizialismo o, peggio ancora, di cultura del sospetto”. Alle parole di Fini, Capezzone contrappone “i fatti” prodotti dal governo Berlusconi in tema di lotta alla criminalità organizzata.
L’anniversario di via D’Amelio riaccende anche lo scontro sulle stragi del 92-93, sui depistaggi di Stato e sulla trattativa con la mafia che sarebbe corsa in parallelo con gli ultmi giorni di vita del magistrato siciliano. “Il depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio non si è realizzato soltanto facendo sparire documenti, ma anche grazie anche a falsi pentiti costruiti in laboratorio”, ha detto a un dibattito il procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato. Falsi pentiti che “non si sono presentati da soli, ma sono stati introdotti grazie a esponenti di forze di polizia sui quali ci sono ancora indagini in corso”. E ora “assistiamo alla sagra degli smemorati”, ha aggiunto riferendosi ai vertici politici che solo oggi offrono qualche spiraglio di verità “sulla trattativa tra Stato e mafia che, non potendo passare sulla testa di Borsellino, è passata sul suo cadavere”.
Durissimo, l’intervento del procuratore generale di Caltanissetta, ma non isolato.“C’è il sospetto che qualcuno voglia cancellare tutta l’indagine sulla trattativa”, ha affermato a un convegno il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, che fece parte del pool di Giovanni Falcone e Poalo Borsellino. Il riferimento è alle polemiche sorte dopo l’arresto di Massimo Ciancimino, uno dei principali testimoni sui contatti tra boss e uomini dello Stato ai tempi delle stragi e non solo.
Ingroia ha ricordato i manifesti comparsi sui muri di Palermo, con la foto di Massimo e la scritta: “Tale padre, tale figlio. Meglio un giorno da Borsellino che cento giorni da Ciancimino”. Una campagna firmata dalla Giovane Italia del Pdl. “Non lo condivido”, ha spiegato Ingroia, “Ciancimino Vito era un mafioso, Ciancimino Massimo no. Ciancimino Vito aveva sposato la cultura dell’omertà: l’ho conosciuto, l’ho interrogato a lungo a Rebibbia, non ammise mai nulla, tanto che nel ’93, dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio continuava a dire che Giovanni Falcone aveva ordito un complotto contro di lui per incastrarlo”. La conclusione è sempre la stessa: “Non vorrei che qualcuno si illuda di seppellire tutto ciò che è emerso”.
Neppure la cerimonia ufficiale è rimasta al riparo dallo scontro politico-giudiziario: “Se oggi Paolo Borsellino fosse vivo, combatterebbe per l’indipendenza della magistratura”, ha detto il presidente dell’Associazione nazionale magistrati di Palermo Antonino Di Matteo. Che ha evocato una parola sinistra: isolamento. “Dobbiamo vigiliare affinché quelle condizioni di isolamento di alcuni magistrati del periodo delle stragi del ’92 non si ripetano”.
Il presidente del Senato Renato Schifani ha diffuso un lungo comunicato in cui tra l’altro affrema che “onorare la memoria di Borsellino e di quanti appartenenti allo Stato sono stati uccisi per mano mafiosa significa innanzitutto sapere seguire il loro esempio, fare tesoro del loro insegnamento per contribuire nei fatti, con determinazione e tenacia a rendere migliore la nostra terra di Sicilia”.
Lo Schifani in veste istituzionale usa toni ben diversi da quelli utilizzati otto anni fa contro Maria Falcone e Rita Borsellino, sorelle dei magistrati uccisi, che avevano osato risentirsi contro il premier Silvio Berlusconi per la famosa intervista sui “giudici matti” e “antropologicamente diversi dalla razza umana”. Da presidente del gruppo di Forza Italia a palazzo Madama, il 5 settembre 2003 Schifani dettò alle agenzie la seguente dichiarazione: “Sono disgustato e amareggiato. Le signore Maria Falcone e Rita Borsellino con le loro dichiarazioni hanno offeso la memoria dei loro eroici fratelli. Le due signore, entrambe militanti a sinistra, non solo hanno fatto finta di di non aver capito che il presidente Berlusconi si è chiaramente riferito a una strettissima cerchia di magistrati ma, con una disinvoltura che preferisco non commentare, hanno strumentalizzato due eroi civili, che, per fortuna di tutti, sono patrimonio della collettività”.
ilfatto
Paolo Borsellino
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Borsellino/ Napolitano: sacrificio impegna ad opporsi a mafia
E ad intensificare azione di contrasto
Roma, 19 lug. (TMNews) - Il sacrificio di Paolo Borsellino e della sua scorta impegna tutti e le istituzioni ad opporsi a forme di collusione e alla pervasività della mafia. Lo scrive il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato alla signora Agnese Borsellino nell'anniversario del vile e tragico attentato di mafia, in cui persero il magistratoe i cinque giovani addetti alla sua tutela, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina.
"La strage rappresentò il culmine di una delle fasi più gravi e inquietanti della sanguinosa offensiva della criminalità organizzata contro le istituzioni democratiche. Con l'attentato di via D'Amelio si volle colpire sia un simbolo della causa della legalità che, con rigore e abnegazione, stava svolgendo indagini in grado di piegare le più agguerrite forme di delinquenza sia un uomo che, con il suo esempio di dedizione e la sua dirittura morale, stava mobilitando le migliori energie della società civile dando a esse crescente fiducia nello stato di diritto. A diciannove anni di distanza, il sacrificio di Paolo Borsellino richiama la magistratura, le forze dell'ordine e le istituzioni tutte a intensificare - con armonia di intenti e spirito di effettiva collaborazione - l'azione di contrasto delle mafie e delle sue più insidiose forme di aggressione criminale. Quel sacrificio impegna inoltre le istituzioni e la collettività tutta a uno sforzo convinto e costante nell'opporsi - come dissi anche lo scorso anno - "ad atteggiamenti di collusione e indifferenza rispetto al fenomeno mafioso" e alla sua pervasività. Con questo spirito e con l'auspicio che dalle nuove indagini in corso venga al più presto doverosa risposta all'anelito di verità e giustizia su quanto tragicamente accaduto, rinnovo con animo commosso a lei, cara signora, ai suoi figli e ai famigliari degli agenti caduti, i sentimenti di gratitudine, vicinanza e solidarietà miei e dell'intero Paese", conclude il Presidente.
tmnews
E ad intensificare azione di contrasto
Roma, 19 lug. (TMNews) - Il sacrificio di Paolo Borsellino e della sua scorta impegna tutti e le istituzioni ad opporsi a forme di collusione e alla pervasività della mafia. Lo scrive il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato alla signora Agnese Borsellino nell'anniversario del vile e tragico attentato di mafia, in cui persero il magistratoe i cinque giovani addetti alla sua tutela, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina.
"La strage rappresentò il culmine di una delle fasi più gravi e inquietanti della sanguinosa offensiva della criminalità organizzata contro le istituzioni democratiche. Con l'attentato di via D'Amelio si volle colpire sia un simbolo della causa della legalità che, con rigore e abnegazione, stava svolgendo indagini in grado di piegare le più agguerrite forme di delinquenza sia un uomo che, con il suo esempio di dedizione e la sua dirittura morale, stava mobilitando le migliori energie della società civile dando a esse crescente fiducia nello stato di diritto. A diciannove anni di distanza, il sacrificio di Paolo Borsellino richiama la magistratura, le forze dell'ordine e le istituzioni tutte a intensificare - con armonia di intenti e spirito di effettiva collaborazione - l'azione di contrasto delle mafie e delle sue più insidiose forme di aggressione criminale. Quel sacrificio impegna inoltre le istituzioni e la collettività tutta a uno sforzo convinto e costante nell'opporsi - come dissi anche lo scorso anno - "ad atteggiamenti di collusione e indifferenza rispetto al fenomeno mafioso" e alla sua pervasività. Con questo spirito e con l'auspicio che dalle nuove indagini in corso venga al più presto doverosa risposta all'anelito di verità e giustizia su quanto tragicamente accaduto, rinnovo con animo commosso a lei, cara signora, ai suoi figli e ai famigliari degli agenti caduti, i sentimenti di gratitudine, vicinanza e solidarietà miei e dell'intero Paese", conclude il Presidente.
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Borsellino, una verità che divide
di Lionello ManciniCronologia articolo19 luglio 2011
In questo articoloArgomenti: Antonio Ingroia | Fondazione Borsellino | Gaetano Paci | Vito Ciancimino | Paolo Borsellino | Gianfranco Fini | Roberto Maroni | Italia | Giovanni Falcone
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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2011 alle ore 09:56.
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La scena dell'attentato in via D'Amelio nel quale rimase ucciso il magistrato Paolo Borsellino nel 1992 (ANSA)
Non c'è pace in via D'Amelio. È trascorso quasi un ventennio da quel 19 luglio 1992, ma la strage in cui persero la vita Paolo Borsellino e 5 agenti della sua scorta è una ferita che sanguina ancora. Le celebrazioni delle vittime dell'autobomba mafiosa ancora oggi agitano la società, e mandano in fibrillazione il mondo politico, la magistratura, le forze dell'ordine. Così, ieri, per l'ennesima volta, il ricordo si è venato di polemica.
Ancor più della strage di Capaci - che solo il 23 maggio '92 aveva sterminato Giovanni Falcone con la moglie e la scorta - l'attentato di Via D'amelio si colloca al centro dell'oscuro crocevia della "trattativa" tra Cosa nostra e lo Stato: basta stragi in cambio di processi addomesticati e carcere meno duro. Il mistero, rilanciato due anni fa dal mafioso collaborante Gaspare Spatuzza e dal figlio di Vito Ciancimino, Massimo, a settembre potrebbe sfociare in un nuovo processo per scagionare alcuni mafiosi e inchiodarne altri. Intanto, però, le indagini hanno sfiorato poliziotti, Servizi, politici e ruoli istituzionali.
I familiari di Borsellino hanno rinnovato ieri la richiesta della verità, almeno quella giudiziaria: «È venuto il momento di sapere chi e perché ha organizzato il depistaggio» ha ripetuto il figlio Manfredi, dirigente di polizia a Cefalù. Ma le sue parole di figlio e di cittadino sono state sovrastate da quelle duramente politiche del procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia. Il Pm, nel corso di una manifestazione di giovani inneggianti alla magistratura e alle sue indagini su stragi e presunta trattativa, ha pronunciato parole di fuoco contro i depistatori di allora e le coperture politico-istituzionali di cui godrebbero ancora oggi.
«L'Italia dei collusi e dei corrotti non vuole conoscere la verità sui misteri come la strage di via D'Amelio» ha scandito Ingroia durante il presidio dei giovani di Agenda Rossa a Palazzo di Giustizia, e ha invitato a «rifiutare il tentativo di quanti vogliono i cittadini teledipendenti e sudditi». Proprio il genere di orazione che ogni magistrato farebbe bene a evitare, specie se in qualche modo interessato alle inchieste. E infatti, da Roma, è giunta immediata e rovente la replica della Lega (Carolina Lussana: «È da irresponsabili lanciare sospetti») e dal Pdl (Fabrizio Cicchitto: «Non sappiamo di chi parli Ingroia; noi vogliamo si faccia luce in modo reale e non per propaganda»).
Maggior attenzione al significato che ha assunto nel tempo il sacrificio di Borsellino, proviene dalla società civile. Lo ha ribadito il vicepresidente di Confindustria Antonello Montante, nisseno, in un messaggio inviato alla Fondazione Borsellino, che dal 2005 affianca la scuola nel compito di formare cittadini liberi dalle suggestioni mafiose. Presieduta dal sostituto Procuratore Gaetano Paci, la Fondazione si ispira alla memoria del magistrato che «del rispetto della legalità e dei principi di giustizia, della lotta alla mafia e alla corruzione aveva fatto il suo credo quotidiano» scrive Montante; un «dovere e un valore che tutte le persone oneste possono condividere», proprio come ha fatto l'impresa siciliana: «Quelli di Borsellino sono gli stessi principi ispiratori che hanno portato Confindustria a prevedere l'espulsione di chi si avvicina alla mafia e distorce il mercato».
Oggi le cerimonie proseguiranno con altre manifestazioni e la presenza (disgiunta) del ministro dell'Interno e del presidente della Camera. Roberto Maroni deporrà una corona alla lapide affissa al reparto scorte di Palermo; gianfranco Fini si recherà invece sul luogo della strage
il sole 24 ore
di Lionello ManciniCronologia articolo19 luglio 2011
In questo articoloArgomenti: Antonio Ingroia | Fondazione Borsellino | Gaetano Paci | Vito Ciancimino | Paolo Borsellino | Gianfranco Fini | Roberto Maroni | Italia | Giovanni Falcone
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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2011 alle ore 09:56.
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La scena dell'attentato in via D'Amelio nel quale rimase ucciso il magistrato Paolo Borsellino nel 1992 (ANSA)
Non c'è pace in via D'Amelio. È trascorso quasi un ventennio da quel 19 luglio 1992, ma la strage in cui persero la vita Paolo Borsellino e 5 agenti della sua scorta è una ferita che sanguina ancora. Le celebrazioni delle vittime dell'autobomba mafiosa ancora oggi agitano la società, e mandano in fibrillazione il mondo politico, la magistratura, le forze dell'ordine. Così, ieri, per l'ennesima volta, il ricordo si è venato di polemica.
Ancor più della strage di Capaci - che solo il 23 maggio '92 aveva sterminato Giovanni Falcone con la moglie e la scorta - l'attentato di Via D'amelio si colloca al centro dell'oscuro crocevia della "trattativa" tra Cosa nostra e lo Stato: basta stragi in cambio di processi addomesticati e carcere meno duro. Il mistero, rilanciato due anni fa dal mafioso collaborante Gaspare Spatuzza e dal figlio di Vito Ciancimino, Massimo, a settembre potrebbe sfociare in un nuovo processo per scagionare alcuni mafiosi e inchiodarne altri. Intanto, però, le indagini hanno sfiorato poliziotti, Servizi, politici e ruoli istituzionali.
I familiari di Borsellino hanno rinnovato ieri la richiesta della verità, almeno quella giudiziaria: «È venuto il momento di sapere chi e perché ha organizzato il depistaggio» ha ripetuto il figlio Manfredi, dirigente di polizia a Cefalù. Ma le sue parole di figlio e di cittadino sono state sovrastate da quelle duramente politiche del procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia. Il Pm, nel corso di una manifestazione di giovani inneggianti alla magistratura e alle sue indagini su stragi e presunta trattativa, ha pronunciato parole di fuoco contro i depistatori di allora e le coperture politico-istituzionali di cui godrebbero ancora oggi.
«L'Italia dei collusi e dei corrotti non vuole conoscere la verità sui misteri come la strage di via D'Amelio» ha scandito Ingroia durante il presidio dei giovani di Agenda Rossa a Palazzo di Giustizia, e ha invitato a «rifiutare il tentativo di quanti vogliono i cittadini teledipendenti e sudditi». Proprio il genere di orazione che ogni magistrato farebbe bene a evitare, specie se in qualche modo interessato alle inchieste. E infatti, da Roma, è giunta immediata e rovente la replica della Lega (Carolina Lussana: «È da irresponsabili lanciare sospetti») e dal Pdl (Fabrizio Cicchitto: «Non sappiamo di chi parli Ingroia; noi vogliamo si faccia luce in modo reale e non per propaganda»).
Maggior attenzione al significato che ha assunto nel tempo il sacrificio di Borsellino, proviene dalla società civile. Lo ha ribadito il vicepresidente di Confindustria Antonello Montante, nisseno, in un messaggio inviato alla Fondazione Borsellino, che dal 2005 affianca la scuola nel compito di formare cittadini liberi dalle suggestioni mafiose. Presieduta dal sostituto Procuratore Gaetano Paci, la Fondazione si ispira alla memoria del magistrato che «del rispetto della legalità e dei principi di giustizia, della lotta alla mafia e alla corruzione aveva fatto il suo credo quotidiano» scrive Montante; un «dovere e un valore che tutte le persone oneste possono condividere», proprio come ha fatto l'impresa siciliana: «Quelli di Borsellino sono gli stessi principi ispiratori che hanno portato Confindustria a prevedere l'espulsione di chi si avvicina alla mafia e distorce il mercato».
Oggi le cerimonie proseguiranno con altre manifestazioni e la presenza (disgiunta) del ministro dell'Interno e del presidente della Camera. Roberto Maroni deporrà una corona alla lapide affissa al reparto scorte di Palermo; gianfranco Fini si recherà invece sul luogo della strage
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Un'immagine del 'mosaico' delle vittime di mafia installato al Palazzo di Giustizia di Palermo in occasione del 19o anniversario dell'attentato di via D'Amelio, in cui moriva il giudice Paolo Borsellino
Un'immagine del 'mosaico' delle vittime di mafia installato al Palazzo di Giustizia di Palermo in occasione del 19o anniversario dell'attentato di via D'Amelio, in cui moriva il giudice Paolo Borsellino
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