Da Repubblica: Reggio marcia...

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army
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Preti, magistrati, imprenditori e politici
Un'intera città nelle mani della 'Ndrangheta
Il consigliere Pdl Santi Zappalà arrestato nel dicembre 2010
L'organizzazione criminale controlla tutto. Dal Comune alle università, dai cantieri agli ospedali. Dai politici che fanno accordi con i boss, al prete compiacente. Trova sponde persino dentro alle parrocchie e si insinua a Palazzo di GiustiziaREGGIO CALABRIA - E' marcia. Si nutre di malaffare, affoga nelle sue complicità. Uno con l'altro, si favoriscono tutti. Avvocati, magistrati, costruttori, commercialisti, capi della 'Ndrangheta, spioni, prelati. E medici, ingegneri, dirigenti del comune, consiglieri regionali, alti funzionari dello Stato, guardiani di giardini, assessori e assassini. E' nelle loro mani Reggio. Tutti insieme hanno sottomesso una città che ormai nasconde dentro il suo ventre anche tanti segreti d'Italia.

E' opulenta Reggio. Non è ricca, è sfrenatamente ricca. Soldi che partono dalle fiumare dell'Aspromonte e dalle miserabili case di Archi e raggiungono Roma o Milano per risplendere fra gli specchi di ristoranti alla moda o nelle vetrine di negozi griffati, dove tutto è costoso, firmato, esclusivo. E' ostile Reggio, è cattiva per proteggere se stessa e i suoi padroni. Un'aristocrazia criminale che governa fra stalle e salotti.

Comandano dappertutto. Hanno prestanome dappertutto. E talpe. Al Tribunale. Negli uffici di polizia giudiziaria. Nelle amministrazioni locali e statali. Sanno sempre prima cosa accadrà. Se c'è un ordine di cattura pronto o una microspia in qualche casa, se c'è un pezzo di terra edificabile o denaro da arraffare con i depuratori o i contributi europei. Ogni tanto un "insospettabile" resta intrappolato. E sono sempre i soliti ignoti.

La politica. Chi se lo poteva mai immaginare che l'onorevole Santi Zappalà, uno dei più votati del Pdl al consiglio regionale, faceva la fila con il cappello in mano per chiedere udienza a don Peppino Pelle?
"Troviamo un accordo", lo pregava il politico. "Troviamo un accordo e poi vediamo", insisteva mentre lì, nella spelonca di Bovalino dove abitano, i Pelle avevano già programmato la loro campagna elettorale. Tre consiglieri da eleggere sulla costa tirrenica e altri tre consiglieri da eleggere sulla costa jonica. "Tutti e sei a Catanzaro e poi, se si comportano bene, li mandiamo a Roma", diceva ai suoi don Peppino. L'onorevole è stato preso con il sorcio in bocca. In galera ha contattato un cugino che aveva un altro cugino alla Corte di Appello, buon amico di un cancelliere che conosceva intimamente un magistrato di Cassazione. Fino all'ultimo Santi Zappalà ha tentato di "aggiustare" il suo processo.

Il buco nel Comune. Chi se lo poteva mai immaginare che la 'Ndrangheta diventasse socia del Comune di Reggio, oggi devastato da un buco di 170 milioni di euro? Non lo sapeva naturalmente l'ex sindaco Giuseppe Scopelliti - oggi governatore della Calabria - e nemmeno l'attuale Demetrio Arena. Come avrebbero mai potuto credere, tutti e due, che la Multiservizi spa, società mista che sovrintende alla manutenzione ordinaria della città (51 per cento di proprietà dell'amministrazione comunale, 49 per cento di proprietà privata), avesse dentro come titolari i terribili Tegano, boss fra i più potenti della città? Molti stimabili professionisti erano consulenti della Multiservizi. Prima di diventare sindaco, lo era anche Demetrio Arena.

Il parroco compiacente. Chi se lo poteva mai immaginare che don Nuccio mentisse in un'aula di giustizia per difendere Santo Crucitti, capobastone del rione Condera e suo devoto parrocchiano? Proprio lui, Nuccio Cannizzaro, cerimoniere dell'arcivescovo Vittorio Mondello e cappellano del corpo dei vigili urbani della città? Eppure don Nuccio non ci ha pensato su un momento: fra un gruppo di ragazzi di Condera che volevano far nascere un'associazione culturale e il boss Santo Crucitti che li minacciava, il prete ha scelto il boss. Giurando il falso davanti a Dio e davanti agli uomini. Il parroco si è difeso come si difendono in tanti in questa Reggio Calabria dove si sostengono a vicenda per sopravvivere: "Bisogna distinguere chi è mafioso e chi non lo è. Non si può fare di tutta l'erba un fascio. C'è molta gente scoraggiata perché pensa che, quello che sta accadendo a me, potrebbe capitare a tutti".

Le indagini a tutto campo. E sta capitando. Da quando sono scesi a Reggio magistrati come Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, funzionari di polizia e ufficiali dei carabinieri di primissima qualità, la città marcia deve fare conti che non aveva mai fatto prima. Non c'è niente, giù a Reggio, che non sia finito in un'indagine. L'Università. Il Comune. La Regione. Le ex municipalizzate. Le Asl. Il Palazzo di Giustizia. Qualche giorno fa, è cominciato il processo per undici professionisti e burocrati di Reggio che trafficavano in varianti del piano regolatore e su piantine catastali. Condoni edilizi fasulli. Certificati di abitabilità "corretti". E mazzette.

L'assessore e le 'ndrine. Qualche giorno fa è filtrata anche la notizia che l'assessore ai Lavori Pubblici, Pasquale Morisani, conversava di strategie elettorali con il condannato per mafia Giuseppe Romeo, vicino a una delle tante 'ndrine che si sono inserite nella grande distribuzione alimentare, nell'intermediazione del credito, nell'edilizia. Volevano infiltrasi anche nella politica. E hanno convogliato tanti voti sull'assessore. Lui non ha negato di conoscere quelli lì, però ha garantito sul suo onore che non ha mai fatto commercio con loro. Sono le teste di ponte degli Alvaro o dei Condello che hanno comprato alberghi e discoteche, che pilotano fallimenti per mettere poi dentro i loro uomini, che salgono su a Roma e in Emilia a ripulire il denaro comprando bar in via Veneto o rilevando centri commerciali. Sono personaggi come Pasquale Rappoccio, ufficialmente imprenditore, che prometteva voti a destra e sinistra e contemporaneamente sponsorizzava il presidente Scopelliti e anche Lele Mora. Campagne elettorali e notti bianche. Nella stanza da letto di casa sua, quel Rappoccio tiene il grembiulino della loggia e l'immagine della Madonna dei Polsi. Sette e Cupole. E un po' il riassunto di Reggio Calabria.

Il mancato attentato a Napolitano. L'ultimo da ricordare è Giovanni Zumbo, affermato commercialista che faceva il doppio o il triplo gioco fra la 'Ndrangheta e i servizi segreti, una spiata qua e l'altra là fino a quando - anche lui - è finito schiacciato nell'indagine sul ritrovamento di un'auto piena di armi sul percorso del Presidente Napolitano in visita in Calabria. E' uno dei cittadini chiave di questa Reggio che si allunga misteriosa verso lo Stretto, il dottor Giovanni Zumbo. E' uno dei complici.
Mariotta
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army ha scritto:Preti, magistrati, imprenditori e politici
Un'intera città nelle mani della 'Ndrangheta
Il consigliere Pdl Santi Zappalà arrestato nel dicembre 2010
L'organizzazione criminale controlla tutto. Dal Comune alle università, dai cantieri agli ospedali. Dai politici che fanno accordi con i boss, al prete compiacente. Trova sponde persino dentro alle parrocchie e si insinua a Palazzo di GiustiziaREGGIO CALABRIA - E' marcia. Si nutre di malaffare, affoga nelle sue complicità. Uno con l'altro, si favoriscono tutti. Avvocati, magistrati, costruttori, commercialisti, capi della 'Ndrangheta, spioni, prelati. E medici, ingegneri, dirigenti del comune, consiglieri regionali, alti funzionari dello Stato, guardiani di giardini, assessori e assassini. E' nelle loro mani Reggio. Tutti insieme hanno sottomesso una città che ormai nasconde dentro il suo ventre anche tanti segreti d'Italia.

E' opulenta Reggio. Non è ricca, è sfrenatamente ricca. Soldi che partono dalle fiumare dell'Aspromonte e dalle miserabili case di Archi e raggiungono Roma o Milano per risplendere fra gli specchi di ristoranti alla moda o nelle vetrine di negozi griffati, dove tutto è costoso, firmato, esclusivo. E' ostile Reggio, è cattiva per proteggere se stessa e i suoi padroni. Un'aristocrazia criminale che governa fra stalle e salotti.

Comandano dappertutto. Hanno prestanome dappertutto. E talpe. Al Tribunale. Negli uffici di polizia giudiziaria. Nelle amministrazioni locali e statali. Sanno sempre prima cosa accadrà. Se c'è un ordine di cattura pronto o una microspia in qualche casa, se c'è un pezzo di terra edificabile o denaro da arraffare con i depuratori o i contributi europei. Ogni tanto un "insospettabile" resta intrappolato. E sono sempre i soliti ignoti.

La politica. Chi se lo poteva mai immaginare che l'onorevole Santi Zappalà, uno dei più votati del Pdl al consiglio regionale, faceva la fila con il cappello in mano per chiedere udienza a don Peppino Pelle?
"Troviamo un accordo", lo pregava il politico. "Troviamo un accordo e poi vediamo", insisteva mentre lì, nella spelonca di Bovalino dove abitano, i Pelle avevano già programmato la loro campagna elettorale. Tre consiglieri da eleggere sulla costa tirrenica e altri tre consiglieri da eleggere sulla costa jonica. "Tutti e sei a Catanzaro e poi, se si comportano bene, li mandiamo a Roma", diceva ai suoi don Peppino. L'onorevole è stato preso con il sorcio in bocca. In galera ha contattato un cugino che aveva un altro cugino alla Corte di Appello, buon amico di un cancelliere che conosceva intimamente un magistrato di Cassazione. Fino all'ultimo Santi Zappalà ha tentato di "aggiustare" il suo processo.

Il buco nel Comune. Chi se lo poteva mai immaginare che la 'Ndrangheta diventasse socia del Comune di Reggio, oggi devastato da un buco di 170 milioni di euro? Non lo sapeva naturalmente l'ex sindaco Giuseppe Scopelliti - oggi governatore della Calabria - e nemmeno l'attuale Demetrio Arena. Come avrebbero mai potuto credere, tutti e due, che la Multiservizi spa, società mista che sovrintende alla manutenzione ordinaria della città (51 per cento di proprietà dell'amministrazione comunale, 49 per cento di proprietà privata), avesse dentro come titolari i terribili Tegano, boss fra i più potenti della città? Molti stimabili professionisti erano consulenti della Multiservizi. Prima di diventare sindaco, lo era anche Demetrio Arena.

Il parroco compiacente. Chi se lo poteva mai immaginare che don Nuccio mentisse in un'aula di giustizia per difendere Santo Crucitti, capobastone del rione Condera e suo devoto parrocchiano? Proprio lui, Nuccio Cannizzaro, cerimoniere dell'arcivescovo Vittorio Mondello e cappellano del corpo dei vigili urbani della città? Eppure don Nuccio non ci ha pensato su un momento: fra un gruppo di ragazzi di Condera che volevano far nascere un'associazione culturale e il boss Santo Crucitti che li minacciava, il prete ha scelto il boss. Giurando il falso davanti a Dio e davanti agli uomini. Il parroco si è difeso come si difendono in tanti in questa Reggio Calabria dove si sostengono a vicenda per sopravvivere: "Bisogna distinguere chi è mafioso e chi non lo è. Non si può fare di tutta l'erba un fascio. C'è molta gente scoraggiata perché pensa che, quello che sta accadendo a me, potrebbe capitare a tutti".

Le indagini a tutto campo. E sta capitando. Da quando sono scesi a Reggio magistrati come Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, funzionari di polizia e ufficiali dei carabinieri di primissima qualità, la città marcia deve fare conti che non aveva mai fatto prima. Non c'è niente, giù a Reggio, che non sia finito in un'indagine. L'Università. Il Comune. La Regione. Le ex municipalizzate. Le Asl. Il Palazzo di Giustizia. Qualche giorno fa, è cominciato il processo per undici professionisti e burocrati di Reggio che trafficavano in varianti del piano regolatore e su piantine catastali. Condoni edilizi fasulli. Certificati di abitabilità "corretti". E mazzette.

L'assessore e le 'ndrine. Qualche giorno fa è filtrata anche la notizia che l'assessore ai Lavori Pubblici, Pasquale Morisani, conversava di strategie elettorali con il condannato per mafia Giuseppe Romeo, vicino a una delle tante 'ndrine che si sono inserite nella grande distribuzione alimentare, nell'intermediazione del credito, nell'edilizia. Volevano infiltrasi anche nella politica. E hanno convogliato tanti voti sull'assessore. Lui non ha negato di conoscere quelli lì, però ha garantito sul suo onore che non ha mai fatto commercio con loro. Sono le teste di ponte degli Alvaro o dei Condello che hanno comprato alberghi e discoteche, che pilotano fallimenti per mettere poi dentro i loro uomini, che salgono su a Roma e in Emilia a ripulire il denaro comprando bar in via Veneto o rilevando centri commerciali. Sono personaggi come Pasquale Rappoccio, ufficialmente imprenditore, che prometteva voti a destra e sinistra e contemporaneamente sponsorizzava il presidente Scopelliti e anche Lele Mora. Campagne elettorali e notti bianche. Nella stanza da letto di casa sua, quel Rappoccio tiene il grembiulino della loggia e l'immagine della Madonna dei Polsi. Sette e Cupole. E un po' il riassunto di Reggio Calabria.

Il mancato attentato a Napolitano. L'ultimo da ricordare è Giovanni Zumbo, affermato commercialista che faceva il doppio o il triplo gioco fra la 'Ndrangheta e i servizi segreti, una spiata qua e l'altra là fino a quando - anche lui - è finito schiacciato nell'indagine sul ritrovamento di un'auto piena di armi sul percorso del Presidente Napolitano in visita in Calabria. E' uno dei cittadini chiave di questa Reggio che si allunga misteriosa verso lo Stretto, il dottor Giovanni Zumbo. E' uno dei complici.


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FataMorgana
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:read:

Bersabea

"Si tramanda a Bersabea questa credenza: che sospesa in cielo esista un'altra Bersabea, dove si librano le virtú e i sentimenti piú elevati della città, e che se la Bersabea terrena prenderà a modello quella celeste diventerà una cosa sola con essa. L'immagine che la tradizione ne divulga è quella d'una città d'oro massiccio, con chiavarde d'argento e porte di diamante, una città-gioiello, tutta intarsi e incastonature, quale un massimo di studio laborioso può produrre applicandosi a materie di massimo pregio.
Fedeli a questa credenza, gli abitanti di Bersabea tengono in onore tutto ciò che evoca loro la città celeste: accumulano metalli nobili e pietre rare, rinunciano agli abbandoni effimeri, elaborano forme di composita compostezza. Credono pure, questi abitanti, che un'altra Bersabea esista sottoterra, ricettacolo di tutto ciò che loro occorre di spregevole e d'ingegno, ed è costante loro cura cancellare dalla Bersabea emersa ogni legame o somiglianza con la gemella bassa. Al posto dei tetti ci si immagina che la città infera abbia pattumiere rovesciate, da cui franano croste di formaggio, carte unte, resche, risciacquatura di piatti, resti di spaghetti, vecchie bende. O che addirittura la sua sostanza sia quella oscura e duttile e densa come pece che cala giú per le cloache prolungando il percorso delle viscere umane, di nero buco in nero buco, fino a spiaccicarsi sull'ultimo fondo sotterraneo, e che proprio dai pigri boli acciambellati laggiú si elevino giro sopra giro gli edifici d'una città fecale, dalle guglie tortili. Nelle credenze di Bersabea c'è una parte di vero e una d'errore. Vero è che due proiezioni di se stessa accompagnino la città, una celeste e una infernale; ma sulla loro consistenza ci si sbaglia.
L'inferno che cova nel piú profondo sottosuolo di Bersabea è una città disegnata dai piú autorevoli architetti, costruita coi materiali piú cari sul mercato, funzionante in ogni suo congegno e orologeria e ingranaggio, pavesata di nappe e frange e falpalà appesi a tutti i tubi e le bielle.
Intenta ad accumulare i suoi carati di perfezione, Bersabea crede virtú ciò che è ormai un cupo invasamento a riempire il vaso vuoto di se stessa; non sa che i suoi soli momenti d'abbandono generoso sono quelli dello staccare da sé, lasciar cadere, spandere. Pure, allo zenit di Bersabea gravita un corpo celeste che risplende di tutto il bene della città, racchiuso nel tesoro delle cose buttate via: un pianeta sventolante di scorze di patata, ombrelli sfondati, calze smesse, sfavillante di cocci di vetro, bottoni perduti, carte di cioccolatini, lastricato di biglietti del tram, ritagli d'unghie e di calli, gusci d'uovo. La città celeste è questa e nel suo cielo scorrono comete dalla lunga coda, emesse a roteare nello spazio dal solo atto libero e felice di cui sono capaci gli abitanti di Bersabea, città che solo quando caca non è avara calcolatrice interessata."






da: Le Città Invisibili di Italo Calvino
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mi pare che la Boccassini abbia detto qualcosa di molto importante...
Boccassini: 'ndrangheta trasversale ai partiti
Prestipino: «Milano come Reggio Calabria»

http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 3770.shtml
L'ignoranza è meno dannosa del confuso sapere.
Cesare Beccaria
un giorno senza un sorriso è un giorno perso(C.Chaplin)
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cozzina1 ha scritto:mi pare che la Boccassini abbia detto qualcosa di molto importante...
Boccassini: 'ndrangheta trasversale ai partiti
Prestipino: «Milano come Reggio Calabria»

http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 3770.shtml
si si l'ho notato.
E' molto importante
Meno male, siamo a posto.
La speranza appartiene ai figli.
Noi adulti abbiamo già sperato e quasi sempre perso.
Reggiotricolore
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Ho visto stamane "l'Inchiesta" di Repubblica e anche se per molte cose non si può muovere appunto e' VERGOGNOSO come ancora una volta questo giornale di merda di frustrati tratti la nostra città solo perchè a governarla non ci sono gli amici loro!
Vergognoso vedere che nel paragone tra le 2 Reggio...... (emilia e di Calabria) per confrontare le due venivano prese foto assurde........ Reggio Emilia con il divanetto in centro, Reggio Calabria con una strada di chissà quale paese di morti di fame.
Il paragone con le famiglie poi RIDICOLO. Il povero impiegato reggino con 1800 euro non riesce a sbarcare il lunario mentre quello emiliano quasi quasi fa la vita da nababbo! Ma a chi volete prendere per il culo????
Io che sto fuori Reggio e con il 50% dello stipendio ci pago l'affitto e l'altro 50% se ne va tra biglietti del treno per tornare a casa, tram, bollette e cose varie! Oggi una signora ha pagato 450 euro di retta per un nido pubblico!!! e non a Reggio Calabria!

Diciamo si la nostra città è in mano più che a una cupola mafiosa ad un'organizzazione omogenea di ndrangheta, massoneria, professionisti e vecchi "notabili" della città. Il problema a Reggio Calabria è che il FEUDALESIMO non è mai finito!!!!
Ma rappresentarla in quel modo è assolutamente falso e vergognoso!!
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Reggiotricolore ha scritto:
Diciamo si la nostra città è in mano più che a una cupola mafiosa ad un'organizzazione omogenea di ndrangheta, massoneria, professionisti e vecchi "notabili" della città. Il problema a Reggio Calabria è che il FEUDALESIMO non è mai finito!!!!
Ma rappresentarla in quel modo è assolutamente falso e vergognoso!!

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Reggiotricolore ha scritto:Ho visto stamane "l'Inchiesta" di Repubblica e anche se per molte cose non si può muovere appunto e' VERGOGNOSO come ancora una volta questo giornale di merda di frustrati tratti la nostra città solo perchè a governarla non ci sono gli amici loro!
Vergognoso vedere che nel paragone tra le 2 Reggio...... (emilia e di Calabria) per confrontare le due venivano prese foto assurde........ Reggio Emilia con il divanetto in centro, Reggio Calabria con una strada di chissà quale paese di morti di fame.
Il paragone con le famiglie poi RIDICOLO. Il povero impiegato reggino con 1800 euro non riesce a sbarcare il lunario mentre quello emiliano quasi quasi fa la vita da nababbo! Ma a chi volete prendere per il culo????
Io che sto fuori Reggio e con il 50% dello stipendio ci pago l'affitto e l'altro 50% se ne va tra biglietti del treno per tornare a casa, tram, bollette e cose varie! Oggi una signora ha pagato 450 euro di retta per un nido pubblico!!! e non a Reggio Calabria!

Diciamo si la nostra città è in mano più che a una cupola mafiosa ad un'organizzazione omogenea di ndrangheta, massoneria, professionisti e vecchi "notabili" della città. Il problema a Reggio Calabria è che il FEUDALESIMO non è mai finito!!!!
Ma rappresentarla in quel modo è assolutamente falso e vergognoso!!
prima di tutto l'operaio calabro prende 1700 euro ma ha anche 3 figlie ed una moglie. QUindi mi sa che c'ha ragione ad arrotondare con sole 1700 euro.
La moglie del reggino dice che vorrebbe un autobus che nn passa ogni 45 minuti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Secondo mi sembra che la descrizione dei due sindaci sia perfetta. Il reggiano dice cos'hanno, il reggino cosa farà(visto che lì la da due mesi).
Terzo i dati istat parlano chiaro è inutile che li riscrivo
Quarto a reggio il volontariato laico non esiste. "Interagiamo con le parrocchie, che ci danno una grossa mano" . I due asili nido comunali, più uno per i figli dei dipendenti pubblici, possono servire 145 bambini (quelli emiliani 1825).
E Infine direi che queste ultime battute possono bastare: "Peccato che tutte queste iniziative, pensate per rilanciare il turismo, non abbiano sin qui prodotto risultati. Negli ultimi dieci anni sono leggermente aumentati gli arrivi (da 200 a 222 mila in tutta la provincia) ma sono diminuite le presenze (da 688 a 620 mila)."

Caro Reggio Tricolore mi puoi dire dove Reggio è spiegata in modo falso e vergognoso?
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Mafie al Nord, la maschera caduta
di Roberto Saviano, da Repubblica, 1 dicembre 2011

È una rivoluzione per chi si occupa di mafie. La sentenza del Tribunale di Milano del 19 novembre, con le 110 condanne al processo sulla ‘ndrangheta al Nord, e l'inchiesta che ha portato all'arresto di un giudice cambiano la storia del potere - non solo criminale - del nostro Paese.

La sentenza e questa inchiesta sono di carattere epocale perché mostrano una volta per tutte che le mafie comandano anche e soprattutto nell'economia del Nord Italia. Al Sud agiscono nelle modalità più violente, sia militari sia di accaparramento degli appalti. Considerano il Mezzogiorno come un territorio a loro completa disposizione. Il Nord, invece, è il luogo del silenzio facile, degli affari redditizi, dell'inesistente cultura dell'antimafia nelle istituzioni e di una robusta omertà da parte di tutti. Un luogo perfetto.

Il meccanismo di insediamento è capillare. L'imprenditoria del Nord Italia ha un canale di approvvigionamento di capitali attraverso il narcotraffico. L'economia italiana che già da anni subisce una progressiva crisi ha trovato nel territorio dell'illegalità capitali freschi. Soprattutto liquidi. L'insegnamento che emerge dalle carte dell'inchiesta porta a questa certezza: in economia vince chi riesce a usare ogni possibilità per sbaragliare la concorrenza. Chi segue le regole o non esiste o è già uno sconfitto.

Questa indagine che vede coinvolti personaggi delle istituzioni descrive la società civile mafiosa. Non affiliata: non ci sono pungiture, non ci sono battesimi, non ci sono pistole in faccia. I personaggi di questa inchiesta entrano in rapporto con i boss come se fossero normali interlocutori, senza dar troppo peso morale al proprio comportamento. Sembrano non avere neanche piena coscienza di quello che fanno. Forse hanno la sensazione, molto italiana, che così fan tutti, anzi che qualcuno starà facendo sicuramente peggio di loro.

E così scopriamo (se le indagini venissero confermate) un giudice che sarebbe stato corrotto favorendo la carriera della moglie, dirigente della provincia diventata commissario straordinario della Asl di Vibo Valentia e poi a sua volta inquisita per mafia. Scopriamo un altro magistrato, Giancarlo Giusti, di Palmi, che sarebbe stato corrotto con una serie di viaggi e soggiorni a Milano pagati dall'associazione con l'utilizzo di una ventina di escort diverse. La frase di Giusti emersa dalle intercettazioni "io dovevo fare il mafioso, non il giudice" è indice di una connivenza gravissima quanto cialtrona. Neanche il più corrotto dei magistrati si è mai relazionato così direttamente ad un affiliato: anche perché il suo ruolo, la sua professione è la "merce" che vende al mafioso, e non può svilirla. In questo caso invece c'è superficialità, connivenza, complicità assoluta: la corruzione viene percepita come un diritto naturale e acquisito.

Usando un concetto di Guy Debord, definito per comprendere la società dello spettacolo "il vero è un momento del falso" si può affermare che dopo queste inchieste pare evidente che l'illegale sta diventando un momento del legale. In passato l'attività criminale si contraddistingueva per l'efferatezza delle azioni, per i "lavori sporchi", per le operazioni evidentemente e platealmente fuorilegge. Era un mondo a parte. Oggi, e da molto tempo, non più. Sempre di più il coinvolgimento di settori di società con il mondo criminale avviene seguendo un percorso imprenditoriale e politico almeno all'apparenza lineare, in cui i momenti di illegalità sono appunto "momento". Fasi che servono per guadagnare di più, per ottenere favori, per emergere nel proprio campo. E in quanto "fasi" le persone che le vivono si perdonano facilmente, non si sentono nè traditrici né corrotti. Sembra delirante ma è ciò che emerge dall'inchiesta condotta dal pool del pm Boccassini.

Il metodo Boccassini, erede del metodo Falcone, si contraddistingue per la ricerca capillare delle prove e un prudente rigore nella comunicazione delle indagini ai media: nulla parte da sensazioni o solo dalle intercettazioni o dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Ilda Boccassini è stata spesso attaccata, isolata, stressata dal fango e dalle accuse di politicizzazione. Tutto questo è accaduto anche dentro l'ambiente della magistratura stessa. Queste inchieste e queste sentenze dimostrano, invece, che il suo metodo è rigoroso, ed è grazie al suo lavoro che possiamo gettare luce su una realtà del Nord che tanti non vogliono vedere.

Esattamente un anno fa La Lega e l'ex ministro Maroni rimasero scandalizzati quando denunciai in tv che le mafie al Nord interloquivano con i poteri, con tutti i poteri, nessuno escluso. Domandavo cosa facesse la Lega mentre dilagavano, e dilagano, i capitali criminali. Cosa facesse mentre gli imprenditori lombardi messi a dura prova dalla crisi economica entravano in rete con le ‘ndrine. Il quotidiano della famiglia Berlusconi lanciò addirittura una campagna e una raccolta di firme contro di me, reo di "dare del mafioso al Nord".

Io non ho mai detto né pensato che "il Nord è mafioso", naturalmente. Ma bisogna riconoscere che, oltre le fiaccolate contro il soggiorno obbligato e qualche iniziativa simbolica tesa ad aumentare la repressione, gran parte della politica e della cultura del settentrione italiano (con alcune coraggiose eccezioni, per fortuna) è stata silente sul potere delle cosche. E ora vorrei vedere i visi, ascoltare le parole di chi per decenni ha nascosto la testa nella sabbia, ha fatto finta di niente, ha permesso che il Nord diventasse parte fondamentale dell'economia mafiosa. E chiedere: perché?

(1 dicembre 2011)



PIUTTOSTO CHE COMMENTI SU COME CI TRATTA REPUBBLICA PREFERISCO LEGGERE DI INDIGNAZIONE PROFONDA RIGUARDO PERSONAGGI INSOSPETTABILi e IRREPRENSEBILI CHE POI SI RIVELANO MARCI E CHE rappresentano il cancro vero della nostra realtà. Reggina o non.
Che SCHIFO!
Sogno, qualcosa di buono
che mi illumini il mondo
buono come te…
Che ho bisogno, di qualcosa di vero
che illumini il cielo
proprio come te!!!
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citrosodina
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E così scopriamo (se le indagini venissero confermate) un giudice che sarebbe stato corrotto favorendo la carriera della moglie, dirigente della provincia diventata commissario straordinario della Asl di Vibo Valentia e poi a sua volta inquisita per mafia. Scopriamo un altro magistrato, Giancarlo Giusti, di Palmi, che sarebbe stato corrotto con una serie di viaggi e soggiorni a Milano pagati dall'associazione con l'utilizzo di una ventina di escort diverse. La frase di Giusti emersa dalle intercettazioni "io dovevo fare il mafioso, non il giudice" è indice di una connivenza gravissima quanto cialtrona. Neanche il più corrotto dei magistrati si è mai relazionato così direttamente ad un affiliato: anche perché il suo ruolo, la sua professione è la "merce" che vende al mafioso, e non può svilirla. In questo caso invece c'è superficialità, connivenza, complicità assoluta: la corruzione viene percepita come un diritto naturale e acquisito.

.. chissà tra l'altro com'era diventata dirigente alla Provincia...
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citrosodina ha scritto:E così scopriamo (se le indagini venissero confermate) un giudice che sarebbe stato corrotto favorendo la carriera della moglie, dirigente della provincia diventata commissario straordinario della Asl di Vibo Valentia e poi a sua volta inquisita per mafia. Scopriamo un altro magistrato, Giancarlo Giusti, di Palmi, che sarebbe stato corrotto con una serie di viaggi e soggiorni a Milano pagati dall'associazione con l'utilizzo di una ventina di escort diverse. La frase di Giusti emersa dalle intercettazioni "io dovevo fare il mafioso, non il giudice" è indice di una connivenza gravissima quanto cialtrona. Neanche il più corrotto dei magistrati si è mai relazionato così direttamente ad un affiliato: anche perché il suo ruolo, la sua professione è la "merce" che vende al mafioso, e non può svilirla. In questo caso invece c'è superficialità, connivenza, complicità assoluta: la corruzione viene percepita come un diritto naturale e acquisito.

.. chissà tra l'altro com'era diventata dirigente alla Provincia...
Il Giusti era stato trasferito dall'importante ufficio che ricopriva a Reggio perchè troppo chiacchierato: evidentemente si sarebbe potuto "smascherare" prima!
Il Giglio riceveva i Lampada a casa sua (palazzo Coin) per almeno 5 volte sotto l'occhio della polizia (quella di Milano, in territorio OSTILE, tipo Baghdad) in pieno giorno senza alcuna precauzione: la polizia di Reggio e i suoi colleghi sono quindi ciechi?

E se invece fossimo solo all'inizio??


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citrosodina
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ciesse ha scritto:
citrosodina ha scritto:E così scopriamo (se le indagini venissero confermate) un giudice che sarebbe stato corrotto favorendo la carriera della moglie, dirigente della provincia diventata commissario straordinario della Asl di Vibo Valentia e poi a sua volta inquisita per mafia. Scopriamo un altro magistrato, Giancarlo Giusti, di Palmi, che sarebbe stato corrotto con una serie di viaggi e soggiorni a Milano pagati dall'associazione con l'utilizzo di una ventina di escort diverse. La frase di Giusti emersa dalle intercettazioni "io dovevo fare il mafioso, non il giudice" è indice di una connivenza gravissima quanto cialtrona. Neanche il più corrotto dei magistrati si è mai relazionato così direttamente ad un affiliato: anche perché il suo ruolo, la sua professione è la "merce" che vende al mafioso, e non può svilirla. In questo caso invece c'è superficialità, connivenza, complicità assoluta: la corruzione viene percepita come un diritto naturale e acquisito.

.. chissà tra l'altro com'era diventata dirigente alla Provincia...
Il Giusti era stato trasferito dall'importante ufficio che ricopriva a Reggio perchè troppo chiacchierato: evidentemente si sarebbe potuto "smascherare" prima!
Il Giglio riceveva i Lampada a casa sua (palazzo Coin) per almeno 5 volte sotto l'occhio della polizia (quella di Milano, in territorio OSTILE, tipo Baghdad) in pieno giorno senza alcuna precauzione: la polizia di Reggio e i suoi colleghi sono quindi ciechi?

E se invece fossimo solo all'inizio??


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La Boccassini può ricevere mail o lettere più o meno anonime per eventuali segnalazioni.. quello che prima era praticamente inutile fare :fifi:
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Il Giusti si incontrava con i Lampada di giorno di fronte la Chiesa della Candelora.
Si atteggiava con fare sospettoso e diffidente,
mentre il mafioso evidentemente era tranquillo, sicuro, a Reggio cammina a testa alta!

Siamo una città da rivoltare sottosopra.


:)
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army ha scritto:
Il parroco compiacente. Chi se lo poteva mai immaginare che don Nuccio mentisse in un'aula di giustizia per difendere Santo Crucitti, capobastone del rione Condera e suo devoto parrocchiano? Proprio lui, Nuccio Cannizzaro, cerimoniere dell'arcivescovo Vittorio Mondello e cappellano del corpo dei vigili urbani della città? Eppure don Nuccio non ci ha pensato su un momento: fra un gruppo di ragazzi di Condera che volevano far nascere un'associazione culturale e il boss Santo Crucitti che li minacciava, il prete ha scelto il boss. Giurando il falso davanti a Dio e davanti agli uomini. Il parroco si è difeso come si difendono in tanti in questa Reggio Calabria dove si sostengono a vicenda per sopravvivere: "Bisogna distinguere chi è mafioso e chi non lo è. Non si può fare di tutta l'erba un fascio. C'è molta gente scoraggiata perché pensa che, quello che sta accadendo a me, potrebbe capitare a tutti".

conosco personalmente questo prete, purtroppo. uomo che mi ha sempre dato l'impressione di viscido; adesso c'è anche qualche prova. e c'è chi lo difende, da queste parti. più d'uno, in realtà. e la sua linea difensiva fa ridere. o piangere. o incazzare.
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citrosodina ha scritto:E così scopriamo (se le indagini venissero confermate) un giudice che sarebbe stato corrotto favorendo la carriera della moglie, dirigente della provincia diventata commissario straordinario della Asl di Vibo Valentia e poi a sua volta inquisita per mafia. Scopriamo un altro magistrato, Giancarlo Giusti, di Palmi, che sarebbe stato corrotto con una serie di viaggi e soggiorni a Milano pagati dall'associazione con l'utilizzo di una ventina di escort diverse. La frase di Giusti emersa dalle intercettazioni "io dovevo fare il mafioso, non il giudice" è indice di una connivenza gravissima quanto cialtrona. Neanche il più corrotto dei magistrati si è mai relazionato così direttamente ad un affiliato: anche perché il suo ruolo, la sua professione è la "merce" che vende al mafioso, e non può svilirla. In questo caso invece c'è superficialità, connivenza, complicità assoluta: la corruzione viene percepita come un diritto naturale e acquisito.

.. chissà tra l'altro com'era diventata dirigente alla Provincia...


si dovrebbe fare in modo che questi schifosi/e restituissiro tutto quello che hanno guadagnato in anni di malaffare.
Il dolore ci rimette in mezzo alle cose in modo nuovo.
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Reggiotricolore ha scritto:Ho visto stamane "l'Inchiesta" di Repubblica e anche se per molte cose non si può muovere appunto e' VERGOGNOSO come ancora una volta questo giornale di merda di frustrati tratti la nostra città solo perchè a governarla non ci sono gli amici loro!
Vergognoso vedere che nel paragone tra le 2 Reggio...... (emilia e di Calabria) per confrontare le due venivano prese foto assurde........ Reggio Emilia con il divanetto in centro, Reggio Calabria con una strada di chissà quale paese di morti di fame.
Il paragone con le famiglie poi RIDICOLO. Il povero impiegato reggino con 1800 euro non riesce a sbarcare il lunario mentre quello emiliano quasi quasi fa la vita da nababbo! Ma a chi volete prendere per il culo????
Io che sto fuori Reggio e con il 50% dello stipendio ci pago l'affitto e l'altro 50% se ne va tra biglietti del treno per tornare a casa, tram, bollette e cose varie! Oggi una signora ha pagato 450 euro di retta per un nido pubblico!!! e non a Reggio Calabria!

Diciamo si la nostra città è in mano più che a una cupola mafiosa ad un'organizzazione omogenea di ndrangheta, massoneria, professionisti e vecchi "notabili" della città. Il problema a Reggio Calabria è che il FEUDALESIMO non è mai finito!!!!


il nido comunale si paga in base al reddito.
Ma rappresentarla in quel modo è assolutamente falso e vergognoso!!
Il dolore ci rimette in mezzo alle cose in modo nuovo.
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http://www.scirocconews.it/index.php/20 ... mangiando/


Sindaco Arena, ha ragione: c’è un complotto contro Reggio. È quello di chi se la sta mangiando
di Alessandro Russo, 25/11/2011 16:30

Sono rimasto colpito dalla reazione del sindaco di Reggio Calabria, Demetrio Arena. Non è il primo a gridare al complotto, non sarà l’ultimo. Senza scomodare ben altri personaggi della storia, già Berlusconi ci ha abituati alla teoria del complotto utilizzata come mezzo per la ricerca del consenso elettorale, o per la delegittimazione di chiunque dia fastidio. I comunisti, le toghe rosse, il partito dei giornalisti. Stesso refrain per l’attuale governatore Giuseppe Scopelliti, già sindaco di Reggio. Le cricche, le lobby, i gruppi d’interesse, in un minestrone in cui malfattori veri (mai indicati per nome) vengono accomunati a oppositori politici e giornalisti (questi sì, indicati per nome). La novità è che ora ci si mette anche l’attuale sindaco di Reggio, Demetrio Arena, che si ritrova a gestire una voragine di bilancio da lui non creata, che sente il vento di inchieste che toccano il Comune e alcuni esponenti della maggioranza di centrodestra, ma sulle quali lui non ha alcuna responsabilità.

La cosa che mi colpisce è che Arena grida al complotto contro Reggio Calabria non perché sia preoccupante apprendere che una potentissima cosca (quella dei Tegano) controllava la municipalizzata Multiservizi, o che una dirigente suicida (la Fallara) distribuiva a destra e a manca le risorse pubbliche, giusto per fare qualche esempio. No. L’attuale sindaco grida al complotto perché gli oppositori mettono in discussione il modello politico-amministrativo che ha governato negli ultimi anni, quello del centrodestra e di Scopelliti. E quel modello, per Arena, coincide con Reggio. È Reggio. Un po’ come nelle ideologie in cui partito e Stato coincidono, così in questa singolare visione gli interessi di Reggio e dei reggini coincidono totalmente con quelli del blocco-Scopelliti. Da qui, per la proprietà transitiva, chi è avversario del blocco-Scopelliti è nemico di Reggio. Chi critica Scopelliti è nemico di Reggio, chi chiede conto di come è stata amministrata la città in questi anni è nemico di Reggio.

Nell’ultima esternazione Arena se l’è presa, nell’ordine: con i parlamentari dell’opposizione che hanno chiesto l’accesso antimafia al comune di Reggio; con i giornalisti; con i blogger, che in virtù dell’attuale normativa sarebbero al sicuro dalle maglie delle querele per diffamazione.

Ora, è legittimo che Arena si arrabbi con l’opposizione. La battaglia politica può essere anche dura, durissima. Certo il primo cittadino non può pretendere che l’opposizione abdichi alla propria funzione di controllo. Se l’azione amministrativa negli anni passati è stata corretta, che danno può fare una commissione d’accesso? Al limite verificherà che è tutto a posto.

Allo stesso tempo non mi scandalizzo se un sindaco ritiene che le ricostruzioni o gli attacchi dei giornalisti siano strumentali. Ci sono i giornalisti indipendenti, ci sono giornalisti che s’inchinano al potere politico costituito (magari Arena e Scopelliti ne conoscono qualcuno, o no?) e ci sono giornalisti che assumono asetticamente le accuse dei pm e trattano come verità assolute ipotesi che poi, magari, nel tempo saranno smentite. Ma la minaccia di iniziative giudiziarie nei confronti di chi scrive è, semplicemente, un modo diverso di invocare la censura.

Vorrei però dare atto al sindaco Arena che su una cosa ha ragione: perché, in realtà, il complotto contro Reggio e i reggini esiste davvero. È quello della ’ndrangheta, che soffoca la città. È quello dei colletti bianchi, che stringono alleanza di comodo con i mafiosi. È quello di chi sperpera le risorse pubbliche, togliendole ai servizi per i cittadini, togliendole agli stipendi. Togliendole alle imprese che hanno portato a termine un lavoro e falliscono perché non vengono pagate. È contro questi complottatori che bisogna urlare, sindaco Arena. È sui lati oscuri del comune che lei amministra per conto dei reggini che lei deve chiedere chiarezza. I nemici di Reggio sono quelli che se la stanno mangiando.
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"Mister te sarà ti, muso de mona. Mi son el signor Nereo Rocco"
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