Lo ricordo perfettamente ...
http://www.strill.it/index.php?option=c ... Itemid=231 il pezzo di tre anni fà.
E quello di oggi:
http://www.strill.it/index.php?option=c ... Itemid=231
Tre anni dopo "chi controlla il controllore" forse è troppo tardi
Mercoledì 30 Novembre 2011 15:55
di Giusva Branca - Lo avevo, francamente, dimenticato. Me lo ha ricordato con una email stamane, pochi minuti dopo che strill.it e le altre agenzie avevano cominciato a battere le notizie relative al terremoto giudiziario che si stava abbattendo da Milano sulla Calabria, una altissima figura, per esperienza e moralità, della storia contemporanea del nostro Paese.
Quest'uomo era andato a rileggere un mio editoriale datato agosto 2008 dall'emblematico titolo "Chi controlla il controllore?".
Ebbene, lì c'è tutto, in effetti, c'è il quadro generale di una situazione che, ne siamo certi, ha presentato allo scoperto solo la minima parte della punta dell'iceberg. Nell'indagine Boccassini-Pignatone viene fuori un livello di metastasi trasversale dalla quale difficilmente se ne uscirà (ad essere ottimisti) e rispetto alla quale, tuttavia, è necessario prendere atto del fatto che ciascuno di noi, oltre ad una responsabilità personale è portatore anche di una responsabilità collettiva in funzione di ciò che rappresenta.
Pensare ad una blindatura assoluta di ogni comparto rispetto a corruzione, malaffare, mafie è - probabilmente - una pura e tenera utopia, ma qualcosa di più degli atteggiamenti che siamo abituati a vedere credo che sia legittimo chiedere.
Troppe, troppe volte gli ambienti di riferimento all'interno dei quali si consumano losche, loschissime vicende, si limitano a fare spallucce - quando non scendono platealmente in difesa di indagati, imputati e talvolta responsabili - mentre al loro interno accade di tutto.
Il pensiero vola facilmente al mondo politico, ma proprio questa monotematica attenzione verso il malaffare politico ha favorito il germogliare di mentalità e comportamenti amorali e votati al malaffare anche in altri settori.
Come definire diversamente il coinvolgimento, ormai pieno e ad ogni piè sospinto dimostrato del mondo delle professioni, della stampa, delle Forze dell'Ordine, financo della Magistratura?
Eppure da questi "mondi", secondo qualcuno - forse giustamente - "caste" ben difficilmente si è percepita una presa di distanza netta e chiara, senza "se" e senza "ma". O silenzi o, nella migliore delle ipotesi, comunicati strappati con i denti e caratterizzati da vocaboli utilizzati col bilancino, colmi di avverbi e che, a leggerli bene rappresentano più messaggi cifrati di solidarietà che presa di distanza reale.
Mai nessuno ha tuonato per la grave ingiuria arrecata all'onore dell'ordine, del corpo, o di qualsivoglia gruppo. Mai.
I "distinguo" vanno a mille, al pari delle meravigliose uscite di qualcuno che prova a fischiettare come il bimbo che si è perso nel bosco e svia il discorso con comunicati sulle modifiche che le mutazioni climatiche comportano alle modalità di accoppiamento delle allodole albine.
Ma c'è di più: a forza di concentrarci sulla politica (che, in effetti, negli anni ha offerto il peggio di sè) in tanti abbiamo pensato che essa fosse il male e non il prodotto di un territorio che ha perso la bussola dei riferimenti etico-morali ben prima che normativi.
E così le escort come merce di scambio utilizzata dalla politica le avevamo - nostro malgrado - cominciato non dico a digerire, ma a considerare. Che, però, un magistrato della Repubblica (Giusti) argomenti con un boss (al momento non è dimostrata alcuna corruzione, solo ipotizzata nella rubrica di indagine) sulla base di misure e performances di ragazze compiacenti e si dica incuriosito di come un collega (Giglio) potrà reagire di fronte a tali tentazioni della carne, offerte, naturalmente, dal mafioso, dimostra che l'assedio è completo, come scritto a chiare lettere dal sottoscritto nell'editoriale del 2008, del quale è amaro richiamare, a distanza di oltre 3 anni, alcune parti:
... se vogliamo continuare – tutti – a svolgere il nostro ruolo in questa rappresentazione di noi stessi (intesi come società calabrese) che sta rapidamente evolvendo dalla commedia al dramma passando per la farsa, siamo padroni di farlo, ma, altrimenti, è ora di dire le cose che, peraltro, quasi tutti sanno.
Per decenni il sistema di potere calabrese è passato anche attraverso la contiguità di rapporti, quasi sempre perfettamente leciti, ma altrettanto inequivocabilmente inopportuni, di alcuni magistrati con ambienti politico-affaristico-imprenditoriali che, a loro volta, troppo, troppo spesso, si sono dimostrati soltanto la testa di ponte, la camera di compensazione verso attività – quelle sì – dichiaratamente illecite portate avanti da gruppi criminali.
In troppi casi nelle città calabresi, per decenni e decenni, hanno sviluppato l’intera loro carriera magistrati nati e cresciuti sul posto, inevitabilmente amici, parenti, compagni di scuole o di università con persone che, poi, hanno preso altre strade, a loro volta troppo spesso intersecantesi, negli anni, sul piano professionale.
Eppure, se si fosse soltanto voluto, nei decenni, analizzare in maniera incrociata i rapporti di frequentazione, ma anche di veri e propri affari, spesso a nome di mogli, fratelli, etc. tra i rappresentanti dei sopra elencati quattro poli-cardine della società civile, non sarebbe stato difficile individuare quanto meno dei punti di partenza per meglio comprendere alcune dinamiche.
Continuiamo a dircelo con franchezza e chiarezza: per troppi anni i salotti ed i circoli di provincia calabresi hanno rappresentato una sorta di “zona franca extraterritoriale” dai contorni in origine – forse – netti ma che, nel tempo, chi ne aveva interesse ha fatto in fretta a fare diventare ambigui.
La qual cosa, nella maggior parte dei casi, dove non ha creato danni reali, ha, comunque alimentato chiacchiere, pettegolezzi, passaparola – devastanti in tutte le piccole comunità – che spesso hanno portato al danno più grande, pur se intangibile: la perdita di credibilità dei singoli e, conseguentemente, delle Istituzioni rappresentate. A maggior ragione se si tratta del potere giudiziario.
Eppure, il metodo per porre un freno, da almeno 40 anni, a questo tipo di degenerazione ci sarebbe anche stato: sarebbe bastato ruotare i magistrati nelle loro sedi di applicazione, così come avviene per i Prefetti, i Questori, soprattutto per evitare che, in maniera grossolanamente induttiva, ci andassero di mezzo, nella considerazione collettiva, anche coloro i quali – vivaddio la maggior parte – invece, si sono sempre mantenuti con le loro condotte specchiate, personali e professionali, al di sopra di ogni sospetto.
Perché se è vero, come è vero, che sulla moglie di Cesare non erano tollerati sospetti, è anche vero che qualcuno dovrà anche porsi il problema di chi controlli il controllore…
Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.