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UnVeroTifoso
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suonatore Jones ha scritto:

postato su...ormai sono alla frutta...e c'è chi li difende.

Pensa tu cosa mi tocca fare...a quali fonti devo attingere... ma ne vale la pena. Spero apprezziate il sacrificio... :lol: :lol:
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UnVeroTifoso ha scritto:
suonatore Jones ha scritto:

postato su...ormai sono alla frutta...e c'è chi li difende.

Pensa tu cosa mi tocca fare...a quali fonti devo attingere... ma ne vale la pena. Spero apprezziate il sacrificio... :lol: :lol:

in realtà è stato un sacrificio vano: avevo postato pomeriggio la stessa notizia da una fonte diversa. però è sempre piacevole vedere che sono costretti a scriverlo.

comunque, danni incalcolabili per l'italia, altrochè
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suonatore Jones ha scritto:però è sempre piacevole vedere che sono costretti a scriverlo.
Il mio obiettivo è un altro: far vedere come nel 2011 esista ancora l'olio di ricino (anche se mediatico) per chi non osserva la legge del padrone. :wink
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suonatore Jones ha scritto:

postato su...ormai sono alla frutta...e c'è chi li difende.
Non so se avete già letto ma sembra che oggi il nostro ministro degli esteri ha fatto finta di accorgersi che
- a parte Putin che torna utile per il bunga bunga -
non ci fila più nessuno e non li ha mandato a dire ai tedeschi e francesi che,
tra l'atro e sempre a sua insaputa, ci hanno pure sfilato dalla tasca anche la Libia.

...E' immaginabile che gli stessi stiano già mandando truppe a rinforzare i loro confini con il beneplacito degli USA. :fifi:
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pab397
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sono talmente comunista che da bambino mi mangiavo da solo
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5° puntata: la scossa


Ipotesi condono Con il decreto sviluppo parte la scossa a Giulio
di Francesco Cramer

Berlusconi riunisce Alfano e alcuni ministri per una cabina di regia sulle misure economiche: dismissioni e liberalizzazioni dovranno passare le forche caudine di Tremonti

Crescita e fronda. Berlusconi, reduce dal weekend russo, raduna a villa San Martino qualche ministro economico e il segretario del Pdl. Un summit che vede presenti, oltre ad Angelino Alfano, il ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani e il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta. Sul tavolo le due questioni più spinose: il decreto sviluppo, che dovrebbe vedere la luce tra un paio di settimane; e la tenuta della maggioranza, a fronte delle minacce degli scajoliani e dei malpancisti pidiellini.

Ma è sul capitolo economia che il Cavaliere si concentra maggiormente, al fine di evitare l’inciampo su un terreno che resta minato. Sullo sfondo rimangono infatti le divergenze con il ministro dell’Economia Tremonti, nella veste di «signor no», ieri in via Bellerio con i vertici del Carroccio. Il premier vuole accanto a sé le teste pensanti in materia di economia per poter razionalizzare il provvedimento capace di dare una scossa alla produzione, pur condividendo il pensiero tremontiano che «il Pil non si fa per decreto». Le idee sono molte ma ora si tratta di tradurle in un testo coerente.

Ma soprattutto occorre che passino attraverso le forche caudine del ministro dell’Economia, guardiano dei conti.

Sarà sempre lui, infatti, ad avere l’ultima parola sul decreto e c’è il rischio che Tremonti alla fine possa cassare una via l’altra le proposte della cosiddetta «cabina di regia», con un «questo si può fare e questo no».

E il problema è che i «no» superano di gran lunga i «sì».

Le linee d’azione del provvedimento dovrebbero in ogni caso riguardare l’accelerazione sulla vendita degli immobili di Stato, le privatizzazioni, la sburocratizzazione e una maggiore attenzione alla lotta all’evasione fiscale. Ed è maggiormente su quest’ultima opzione che vuole puntare il governo rispetto all’altra ipotesi in campo in questi giorni, ossia quella del condono, fiscale o edilizio che sia. Sul tavolo di Arcore, anche l’ipotesi di un concordato fiscale, versione soft del condono. L’idea sarebbe quella di confrontare i redditi dichiarati con i beni posseduti per poi procedere ad accertamenti di massa. Prima di essere scovati dal fisco, tuttavia, l’evasore potrebbe autodenunciarsi e «concordare» di sanare la propria posizione con un accordo con lo Stato. Certo, il condono potrebbe restare come extrema ratio, qualora i conti non dovessero quadrare.

Di sicuro il condono non rientrerebbe nel ddl sviluppo così come non lo sarà l’altra capitolo che, per ora, resta all’orizzonte: ossia quello delle pensioni. Anche Berlusconi pensa che il paragrafo previdenza prima o poi vada riaperto, facendo parte di una di quelle riforme strutturali che l’Europa ci chiede. E non è escluso che proprio Tremonti sia andato a perorare proprio quella causa nella tana del Carroccio.

L’altro tema affrontato ad Arcore è la tenuta della maggioranza, con le fibrillazioni che da giorni percorrono il partito. Ma su questo versante il Cavaliere continua a essere ottimista, minimizzando le minacce di strappo che provengono da Scajola e gli scajoliani e dall’ex ministro Pisanu.
Il premier pensa che se i malpancisti ci sono, molti malumori sono funzionali alla volontà di continuare ad avere un ruolo preminente all’interno del partito, qualora si andasse alle elezioni. Ma su questo dà carta bianca ad Alfano: «Del partito occupatene tu, Angelino», è il senso del discorso del Cavaliere, favorevole ad allargare la maggioranza ma escludendo ancora una volta che l’inclusione dei centristi possa passare attraverso un suo passo indietro.

fonte: http://www.ilgiornale.it
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pab397 ha scritto:Da un mio contatto di facebook

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ehehe, spinoza
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6° puntata: La sciabola spuntata


La sciaboletta di Scajola: sembra già mezza spuntata

La sciaboletta sembra già parecchio spuntata. Tanto che sono non pochi oggi a volere scommettere che Claudio Scajola, detto appunto “sciaboletta”, sia pronto a rinfoderare la sua lama dopo averla fatta roteare nella politica italiana. Il gruppetto dei commensali a cena ha approfittato negli ultimi giorni di una visibilità prima inimmaginabile per poi bussare ala porta dei dirigenti Pdl e mettere sul piatto un malcontento non certo irrimediabile. Almeno due, secondo le valutazioni congiunte di ribelli e dello stesso Pdl, sono da considerare effettivamente perduti per la maggioranza. Convinti di avere già trattato un sicuro nuovo approdo politico: con Luca Cordero di Montezemolo e il partito che si farà e che sempre di più sembra quella «Italia dei carini- terzo Polo Ralph Lauren» su cui ironizza Maurizio Crozza in una riuscitissima imitazione del presidente Ferrari.

L’altra quindicina di ufficiali di complemento di Sciaboletta a una settimana dalla cena tende già a gettare acqua sul fuoco. Ventila documenti politici, chiede un coinvolgimento maggiore del gruppetto nelle decisioni di politica economica che dovranno essere prese, si spinge a ipotizzare un ruolo preciso per l’ex ministro dello Sviluppo economico come consigliere economico del premier. Non sembrano esattamente le condizioni di un’armata pronta a dare la spallata a Silvio Berlusconi. Lo stesso Scajola in queste ore sembra fare sfoggio di prudenza: nessuna dichiarazione pubblica, qualche colloquio riservato con giornalisti amici, in modo da fare filtrare sulla stampa qualche mossa del gruppetto. Domenica Sciaboletta è stato a lungo al telefono con un direttore di giornale certo non ostile a Berlusconi. Ha provato a volare alto, rintracciando nella crisi economica e nel bene comune le ragioni del suo presunto strappo, ha citato comportamenti e provvedimenti cui lui sarebbe contrario, ha elencato numerosi ostacoli incontrati in questi anni. «Ma tu più che con il Cavaliere», ha sorriso il giornalista amico, «ce l’hai con Giulio Tremonti». E in effetti anche il documento in preparazione elenca più errori di politica economica che questioni di pura politica, che pure non mancano (la collegialità e la democrazia nel partito, la gestione dei gruppi parlamentari etc…). Insomma, un cahier de doleance che assomiglia più al desiderio di strutturare una “non corrente” come quella di Walter Veltroni nel Pd che a provocare un ribaltamento delle maggioranze in Parlamento. Anche a sentire i fedelissimi sembra quasi che lo strappo potrebbe facilmente ricucirsi se in qualche modo la figura di Scajola sulla politica economica diventasse preminente rispetto a Tremonti. Su una richiesta simile di per sé nel Pdl si ottengono scrosci di applausi, e non si aprirebbe una ferita nel cuore di Berlusconi. Ma quel che è facile a dirsi non è semplice da rendere in pratica. In questo momento la soluzione più lineare (sostituzione Tremonti-Scajola) è del tutto impraticabile.

Passerà tempo dunque con una trattativa a distanza. E se tutte le porte si trovassero davvero chiuse? La sciaboletta verrebbe sfoderata e inizierebbe a menare davvero fendenti? «Non ci posso credere», confida uno dei dirigenti di punta del Pdl, «Scajola è a fianco di Berlusconi quasi dall’inizio. Non lo vedo nei panni di un Bruto. E comunque non vedo altri in grado di seguirlo». C’è in effetti un incubo nel gruppetto davanti a questa prospettiva, che ha il nome e il volto di Clemente Mastella. Fu lui a dare la spallata decisiva e a fare cadere Romano Prodi nel 2008. Ma non ebbe ponti d’oro dal centro-destra che solo dopo molto gli offrì riparo: un Bruto non si può presentare alle elezioni all’indomani dell’agguato. Questo gli scajoliani lo sanno bene, come conoscono i rischi di una spallata senza un porto sicuro. Se si andasse a votare il giorno dopo, resterebbero tutti senza patria perché il Pd ha già altri debiti da onorare. Per evitare la fine traumatica bisognerebbe avere una soluzione certa fino al 2013. E al momento proprio non c’è. Nemmeno di Casini ci si può fidare: lui dice di voler andare subito al voto con questa legge, e non pensa di durare fino al 2013. È per questo che sciabolette e piccoli pugnali se ne staranno al caldo ancora un bel po’ nel loro comodo fodero.

di Franco Bechis


fonte:www.libero-news.it

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7° puntata: Savonarola

La lettera di Cicchitto al Foglio
Come crescere? Consigli a Tremonti per non fare la parte del Savonarola


Al direttore - Già nel 2008, al decollo dell’esperienza del governo Berlusconi, è iniziata la prima fase della crisi economica internazionale, esplosa negli Stati Uniti e in Inghilterra, con le banche americane e inglesi che avevano inondato il mondo di titoli tossici. Poi la crisi si è spostata in Europa con la contraddizione fra la moneta unica e 27 politiche economiche diverse, alcune espansive altre restrittive. Dietro a tutto ciò c’era qualcosa di più profondo. In primo luogo il liberismo prodotto dal reaganismo e dal thatcherismo aveva liberato, con effetti positivi per lo sviluppo, gli spiriti animali del capitalismo, inceppati dal dirigismo e dallo statalismo dell’ultima fase, quella negativa del keynesismo e del compromesso socialdemocratico che fino agli anni Sessanta aveva svolto un ruolo positivo. Su quel liberismo imprenditoriale si è innestata una finanziarizzazione selvaggia che ha portato danni. Nessuno l’aveva previsto. Paradossalmente la sinistra italiana non si misura con questo dato perché essa, nella versione del Pd, non è più sociale e culturale, ma è un soggetto dedito alla gestione spregiudicata del potere e una dependance del partito dei giudici.

Quindi non per scelta, ma per necessità, il centrodestra è stato costretto a una politica di rigore impersonata da Giulio Tremonti. Tremonti – e con lui il governo – ha avuto il merito di tener duro sui conti e ciò ha evitato che l’Italia seguisse il percorso della Grecia. Grazie al rigore il nostro rapporto deficit-pil è più basso che in Spagna e Francia, ed è aumentato l’avanzo primario.

Il limite del tremontismo è stato l’aver adottato una politica di tagli lineari, che è il contrario del riformismo. Nel mese di luglio-agosto la crisi finanziaria e la speculazione hanno colpito a catena Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, poi l’Italia e quindi anche la Francia. Non vedo nella lettera della Bce e della Banca d’Italia alcuna congiura, ma un argine alla speculazione che il governo ha eretto pagando un prezzo altissimo sul terreno del consenso. A coloro che parlano di governi istituzionali, consensuali o quant’altro ricordiamo che se la “sinistra di Vasto” (Pd, Idv, Sel) fosse stata al governo non avrebbe realizzato la lettera della Bce: contro di essa si è pronunciata una larga parte del Pd, fra cui l’intelligentissimo Fassina, e tutta l’Idv.

L’Italia è sotto due bombardamenti, quello della crisi e quello mediatico-giudiziario cui è sottoposto dal ’94 Berlusconi. Dal 2008 questo attacco si è concentrato sulla vita privata del premier con la rottura della “conventio ad silentium” che ha caratterizzato la politica dopo il caso Montesi, quella di escludere la vita privata dalla lotta politica. Non ci possiamo arrendere, pur in presenza di errori da parte nostra. La risposta è nel governo e nel rinnovamento del Pdl. Se si vuole andare avanti non si può galleggiare o rinchiudersi nel bunker.

Sul piano istituzionale va portata avanti la riforma elaborata da Calderoli con il concorso del Pdl insieme a una modifica della legge elettorale che mantenga il bipolarismo. L’altro filone è la politica economica. Il governo sta lavorando al decreto sulla crescita: ci auguriamo che sia il più incisivo possibile. Le cose, però, non possono fermarsi qui. Dobbiamo fare i conti con il debito perché altrimenti, lo diciamo anche a Giuliano Ferrara, saremo sempre esposti alla speculazione e costretti a una manovra restrittiva dopo l’altra. Solo attraverso un abbattimento del debito possiamo fare una vera politica per la crescita: ridurre la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro senza mettere a rischio i conti, perché le operazioni in deficit, come proponeva tempo fa Bersani, non sono possibili. Per raggiungere questi obiettivi occorrono misure di finanza straordinaria: è come se stessimo in guerra, una guerra economica derivante dalla crisi del capitalismo mondiale aggravata dall’esistenza dei nostri punti deboli storici, oltre il debito, le infrastrutture, il rapporto nord-sud, la Pubblica amministrazione, la criminalità organizzata, la scarsa capacità di innovazione tecnologica. Per raggiungere l’abbattimento del debito bisogna mettere da parte gli schematismi di destra e di sinistra. Gli strumenti sono i seguenti: una minipatrimoniale, le dismissioni del patrimonio pubblico, l’innalzamento dell’età pensionabile. Se ciò non bastasse o se qualcuna di queste misure venisse ridimensionata, non escludiamo il ricorso a un condono anche perché quello fiscale può essere collegato alla riforma fiscale. Nei giorni scorsi di questo ragionamento è stato colto, per demonizzarlo, solo il riferimento al condono. La cosa né ci sorprende né ci intimidisce. Non ci ha sorpreso il fanatismo ideologico della segretaria della Cgil né quello del responsabile economico del Pd Fassina che ha anche stracciato la lettera della Bce a testimonianza che quel partito è molto lontano dalle esigenze di una politica di governo. Altri invece nel mondo confindustriale hanno sparato sul condono per rifarsi una verginità.

Tutti in questo modo si sentono virtuosi e si ammirano per la loro superiore moralità. Abbiamo anche letto l’intervista del ministro Tremonti sull’Avvenire. Per lui la lotta all’evasione è il modo per realizzare in questo mondo corrotto il messaggio di Savonarola. E’ per Tremonti l’unico scopo del governo: nella sua intervista manca ogni indicazione per una politica di crescita. Abbiamo difeso in Parlamento la politica del rigore perché era inevitabile e necessaria, anche se non era indispensabile la versione fondata sui tagli lineari, ma l’emergenza impone di fare anche cose sgradite. Ma dopo tutto ciò possiamo pensare di poter riproporre solo altri tagli lineari (vedi l’intervista del ministro Gelmini sulla scuola) e la lotta all’evasione? Non proponiamo spesa pubblica in deficit, ma abbattimento del debito ricorrendo a una politica di crescita. In caso diverso ci troveremmo di fronte solo a dissensi sociali e a una mancata soluzione del nodo del debito. Ovviamente il tutto verrebbe messo in conto al solo Berlusconi.

http://www.ilfoglio.it

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di Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera
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8° puntata: Il ritardatario


Bilancio, maggioranza battuta Tremonti arriva tardi in Aula

di Nico Di Giuseppe

La Camera ha bocciato l’articolo 1 del rendiconto di bilancio 2010. In Aula si è registrato un 290 pari. La maggioranza richiesta però era di 291 voti. Polemica nei confronti del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti che non ha partecipato alla votazione. "Comportamento irresponsabile: è entrato in Aula 30 secondi dopo che era già avvenuta la votazione in cui la maggioranza è andata sotto, si è seduto tra i banchi del governo. Spiegasse perché", ha attaccato il deputato del Pdl, Amadeo Laboccetta. Fini e le opposizioni cavalcano il voto. Bersani chiede le dimissioni del Cav. Cicchitto: "Il governo deve rendersi disponibile a un confronto politico e a verificare se abbia o meno la fiducia in Parlamento".


La Camera ha bocciato l’articolo 1 del rendiconto di bilancio. In Aula si è registrato un 290 pari. La maggioranza richiesta però era di 291 voti. Subito dopo il voto in Aula è arrivato Silvio Berlusconi, che si è intrattenuto però solo per qualche minuto. Il presidente della Commissione bilancio, Giancarlo Giorgetti, ha chiesto la sospensione della seduta per la valutazione della situazione.

Polemica nei confronti del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti che non ha partecipato alla votazione. "Quello del ministro Tremonti è stato un comportamento irresponsabile: è entrato in Aula 30 secondi dopo che era già avvenuta la votazione in cui la maggioranza è andata sotto, si è seduto tra i banchi del governo. Spiegasse perché", ha attaccato il deputato del Pdl, Amadeo Laboccetta che poi ha incalzato: "È un provvedimento che porta il suo marchio".

"Ma ti pare - è lo sfogo di un parlamentare - che il ministro dell’Economia non vota sul rendiconto e se ne sta fermo sulla porta?". Intanto il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, e il titolare dell'Economia sono a colloquio alla Camera. Alla riunione, che si svolge nella sala del governo di Montecitorio, partecipano anche altri ministri (delle politiche agricole, Saverio Romano e del turismo Michela Brambilla) ed esponenti del Pdl, come il capogruppo Fabrizio Cicchitto, Denis Verdini e il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi. Presente anche Silvano Moffa, capogruppo di popolo e territorio.

Dopo la bocciatura in Aula, le opposizioni hanno attaccato il governo. "La maggioranza che sostiene il governo non esiste più, né nel Paese né in questa Camera", ha detto in Aula il capogruppo del Pd, Dario Franceschini. Dopo il voto, cui ha partecipato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dall’opposizione si è applaudito e urlato: "Dimissioni, dimissioni!".

Prima della sospensione, fra rumori del centrodestra e applausi del centrosinistra, tutti i gruppi di opposizioni (Pd, Idv, Terzo Polo, misto-opposizioni) hanno preso la parola per chiedere al Presidente del Consiglio di andare al Quirinale a rassegnare il mandato. "Un voto come questo - ha riassunto da ultimo Giorgio La Malfa fra iol battimani delle opposizioni - è come un voto di sfiducia del Parlamento al Governo. Quando viene bocciato un provvedimento del Governo di regola se ne presenta un altro. Ma non è possibile presentare se non al Governo, che ora non può più farlo, presentare un altro rendiconto dello Stato".

"È la prima volta dall’inizio della storia della Repubblica che il governo viene battuto in aula su un provvedimento del genere", ha attaccato Gian Luca Galletti dell’Udc. "Finalmente si esce dalla retorica del va tutto bene", ha tuonato Benedetto Della Vedova del Fli, mentre Massimo Donadi dell'Idv ha dichiarato: "Tornate a casa e si torni a votare".

Anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini ha cavalcato il voto in Aula e ha affermato che "la richiesta di sospensione dei lavori va accolta anche per le evidenti implicazioni di carattere politico". Quello che è successo oggi in Aula, ha aggiunto Fini, "è un fatto senza precedenti". E proprio per questo sarà convocata per domani mattina la giunta per il regolamento della Camera che dovrà stabilire se, nonostante la bocciatura dell’articolo uno, si potrà proseguire o meno con l’esame sullo stesso articolato.

Previsto uno stop anche per il ddl intercettazioni, così come confermato dal capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto. "È certo che ora si rinvia l’esame del ddl intercettazioni", ha detto. E lo stesso Cicchitto, tornando a parlare della bocciatura di oggi ha dichiarato: "Io credo che il governo debba rendersi disponibile a un confronto politico e a verificare se abbia o meno la fiducia in Parlamento".

Fonte: http://www.ilgiornale.it

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Tremonti non è la prima volta che nei momenti delicati di questa maggioranza, se la dia a gambe.E' capitato anche nella vicenda Romano.
Se a lui non piace questo governo,le manovre che lui stesso fa(lui stesso non le condivide),ed è consapevole della debolezza di Berlusconi,sarebbe più onesto da parte sua mettersi da parte.
Non capisco che ci stia a fare lì??che poi non è che stiamo parlando di un ministro senza portafoglio,ma di un ministro dell'economia,il ministro più importante di un governo,e vedendo la sua politica e i suoi comportamenti,non è chi mi diano fiducia e speranza per le sorti di questo Paese.
Ultima modifica di reggino il 11/10/2011, 18:36, modificato 2 volte in totale.
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reggino ha scritto:Tremonti non è la prima volta che nei momenti delicati di questa maggioranza, se la dia a gambe.E' capitato anche nella vicenda Romano.
Se a lui non piace questo governo,le manovre che lui stesso fa(lui stesso non le condivide),ed è consapevolezza della debolezza di Berlusconi,sarebbe più onesto da parte sua mettersi da parte.
Non capisco che ci stia a fare lì??che poi non è che stiamo parlando di un ministro senza portafoglio,ma di un ministro dell'economia,il ministro più importanto di un governo,e vedendo la sua politica e i suoi comportamenti,non è chi mi diano fiducia e speranza per le sorti di questo Paese.
Tremonti è lì per difendere gli interessi della lega.
Se va via lui, a bossi e calderoli, quelli che hanno la dependance ministeriale a Monza, lo spasso... chi glielo mantiene?
:salut
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9° puntata: I Pasticcioni

Scivolone alla Camera: quei ventotto pasticcioni

di Alessandro Sallusti

Il governo battuto per un solo voto. Il ministro dell'Economia Tremonti era presente ma distratto. Come lui Bossi, Scajola ne altri 25 deputati
Il governo è andato sotto su un articolo di una legge di bilancio. Un vero pasticcio, frutto di una somma di incidenti. Il ministro Tremonti, tanto per cambiare, non era in aula al momento del voto, così pure Bossi, Scajola, Scilipoti e un’altra ventina di onorevoli. Ognuno di loro ha un alibi di ferro. Giurano che la politica e le tensioni all’interno della maggioranza non c’entrano. Hanno pesato problemi personali e in alcuni casi corporali. Berlusconi ha assistito attonito alla scena e ha lasciato l’aula imprecando (anche se lui lo negherà). Ne ha ben donde. Ci mancava anche lo scivolone alla Camera per complicare le cose e alimentare di benzina la brace su cui si muove la maggioranza. Per sfangarla sarebbe bastato un voto in più, per esempio quello di Tremonti (la legge in questione è sua), che fisicamente era nei paraggi ma ancora una volta si è rifiutato, nella sua arroganza, di mischiarsi al popolo degli onorevoli peones che detesta e schifa.

L’incidente non avrà conseguenze pratiche. La legge sarà ritirata e riproposta, probabilmente con voto di fiducia, che è un po’ come mettere con le spalle al muro onorevoli pigri, distratti o fannulloni, molti dei quali si mobilitano solo quando c’è in ballo la loro poltrona. Credo che l’istinto di Berlusconi sia di mandarli tutti a quel paese, così poi vediamo chi sarà in grado di camminare da solo. Il problema è che il presidente è molto paziente, a volte troppo. Ce l’ha nel dna la voglia e la forza di tenere sempre tutti insieme, a costo di perdere ore in inutili vertici, di ascoltare l’inascoltabile, di prendersi palate di fango che dovrebbero colpire ben altri. Anche ieri ci ha messo la faccia e chissà oggi quante gliene diranno su giornali e tv. Il risultato di tante rotture non è lo spettacolo indecente visto alla Camera, ma altro. Per esempio: ieri i titoli di Stato sono stati collocati per la prima volta da mesi con interessi decenti (segno di fiducia), la borsa è ripresa a crescere (idem), la produzione industriale è cresciuta (come sopra). Insomma, nonostante l’assenteista Tremonti, il Paese tiene e dà sintomi di reazione.L’alternativa è sotto gli occhi di tutti: tasse, patrimoniale, aumento della spesa,come si evince dalle ricette dell’opposizione. Meglio tenersi quella che ieri è stata una armata Brancaleone e sperare che la pazienza di Berlusconi ci faccia andare avanti. Non dico proprio così, magari un po’ meglio.


fonte: http://www.ilgiornale.it
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10° Puntata: Gli Avvoltoi

Da Fini a Pisanu, è l’ora degli avvoltoi
di Antonio Signorini

Passano pochi minuti dal voto e già fioccano le sentenze: nessuna riflessione, l’importante è sparare sul Cav
Roma - Governo battuto in Aula. Il tempo di un respiro e Gianfranco Fini sentenzia: «Evidenti implicazioni politiche». Un’altra manciata di secondi e arrivano, compiaciute e premature, la constatazioni di decesso, con le relative richieste di dimissioni post mortem. Un paio di giri in volo sopra il cadavere presunto e poi via anche con la divisione delle spoglie: «Governo tecnico!»; «No elezioni»; «Ok, ma non subito, prima breve esecutivo di transizione». Il tutto mentre fuori dal Palazzo il Popolo viola, colore questa volta perfettamente intonato al clima, inscenava una manifestazione-veglia, organizzata in tempi che nemmeno il migliore dei flash mob. Nessuno, alla Camera, si è dato una mezz’ora per scovare, elenco alla mano, assenti giustificati e no, per una ricerchina Google sui precedenti. La calata è iniziata a seggi del governo ancora caldi. Scontate le campane a morto delle opposizioni. Meno scontati altri epitaffi, ad esempio quello del senatore Pdl Giuseppe Pisanu e quello dello stesso Fini, che riveste un ruolo istituzionale, ma è anche leader di Fli, una delle forze di opposizione più agguerrite.
Il presidente della Camera ha salvato la forma, ma non gli è riuscito nascondere la soddisfazione per la figuraccia della sua ex coalizione di governo: «Il presidente della commissione Giorgetti - ha riferito dallo scranno più alto della Camera - ha chiesto di sospendere la seduta. Mi sembra giusto, date anche le evidenti implicazioni di carattere politico dell’accaduto». Come dire, accetto di rinviare, ma solo perché siete messi male cari ex colleghi. Non ha detto: per pietà staccate la spina, ma solo perché lo ha fatto il vicepresidente di Futuro e libertà Italo Bocchino: «È la fine di Berlusconi». Fini si è tenuto per sé solo un paio di considerazioni tecnico-apocalittiche: è un «fatto senza precedenti» la bocciatura del primo articolo sul rendiconto e «non è chiaro se potrà sopravvivere». Il rendiconto, si intende. Velocissimo e in picchiata Giuseppe Pisanu, che peraltro è un senatore, del Pdl, e quindi non era presente, ma è arrivato prima di tanti altri: «È l’ennesima conferma che la maggioranza non tiene». Frase pronunciata quando nemmeno il governo aveva ben chiara la situazione e i boatos di palazzo andavano dal «default assicurato», alla «manovra tutta da rifare» (ma non era il rendiconto del 2010?).
Euforia tra le opposizioni, che erano presenti in massa, a partire dai papaveri più alti. Apre le danze Dario Franceschini vestito da diretta tv e l’aria di chi festeggia: «Berlusconi prenda atto che la maggioranza non esiste più. Non c’è più in quest’Aula né nel Paese. Le dimissioni sono doverose». Di fianco al capogruppo, il segretario Pd Pier Luigi Bersani applaude, freme e poi si fionda in Transatlantico e, finalmente, dice la sua. «Il governo non c’è più, Berlusconi vada al Quirinale». Seguono D’Alema («fatto senza precedenti che impone dimissioni»), battuto sul tempo da Veltroni che la sua richiesta l’ha formulata a meno di 20 minuti da un voto tecnico e difficile da pesare. Alla faccia del Pd Pippo Civati, che non li vuole in Parlamento nella prossima legislatura. I toni da crepuscolo del Pd comunque ieri stonavano con le espressioni soddisfatte e le gomitate. E la ragione è semplice: loro già sapevano che il governo è caduto in una trappola tesa da Roberto Giachetti. Deputato Pd ed ex radicale, quindi un esperto di Parlamento che sa come sfruttare - con cattiveria, ma dentro i regolamenti - le debolezze degli avversari. Quello già ribattezzato il «giochetto di Giachetti» è semplice. Ha nascosto tre deputati nei corridoi di Montecitorio. Poi li ha fatti rientrare in Aula in tempo per farli votare contro l’articolo uno del rendiconto e mandare la maggioranza sotto di un soffio. Loro, i democratici, lo sapevano, Pisanu e Fini no. A giochetto rivelato, Antonio Di Pietro non ha rinunciato al suo colpo, non contro il governo: «Penso che stia al Capo dello Stato valutare autonomamente» se staccare la spina. Tradotto: sei autonomo, ma ti teniamo d’occhio. Forse vale la pena riguardarsi il Bertinotti imitato da Corrado Guzzanti. Quello che faceva «scherzi al governo, finché non cade». Spiegava: «Siamo inaffidabili. Dico ca....te». E tutti continuavano a credergli.


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11° puntata: Capitano, mio capitano!

Oggi si vota la fiducia alla Camera Il Cav: "Adesso invertire la rotta"
di Adalberto Signore

Ieri il discorso di Berlusconi prima del voto di fiducia di oggi alla Camera. Il premier si sfoga alla vigilia della verifica in aula: "Non c’è giorno senza problemi, avrei bisogno di un po’ di calma". Poi su Scajola: "Nessuna trattativa, è un amico e un protagonista del Pdl"


Roma - Più che un centralino, quello di Palazzo Grazioli sembra un call center . Che va avanti a chiamare non stop per tutto il pomeriggio. E ancora a tarda sera la lista dei deputati da contattare («Le passo il presidente...») non è del tutto spuntata. D’altra parte, il voto di oggi è un passaggio delicato quasi quanto quello dello scorso 14 dicembre. E ci sta che Silvio Berlusconi voglia assicurarsi in prima persona che anche chi non ha nascosto la sua insoddisfazione nei confronti del partito o del governo sia oggi presente in aula per la fiducia. I numeri dovrebbero esserci, il problema però è il quantum . Perché se la maggioranza superasse sì la prova ma senza arrivare alla fatidica quota di 316 sarebbe comunque un segnale politico non indifferente.

Il pallottoliere, a sera, era tarato sui 318-320 ma le assenze dell’ultim’ora sono il vero timore del Cavaliere. Non tanto, insomma, che qualche malpancista possa votare apertamente contro il governo, quanto che all’ultimo minuto possa non presentarsi. Anche perché Giorgio Napolitano potrebbe a quel punto eccepirgli la mancanza di una maggioranza qualificata. Ed è anche per questa ragione - per fugare dubbi e maldicenze - che a sera Berlusconi smentisce categoricamente l’esistenza di «trattative» riservate con Claudio Scajola che definisce «un amico » e «un protagonista importante » del Pdl. Ma qualche timore il premier ce l’ha anche nei confronti di tutti quei deputati che sono ormai da tempo in rotta con Giulio Tremonti, un altro elemento che potrebbe avere conseguenze destabilizzanti.

Per fortuna che a portargli buone notizie è nel tardo pomeriggio Amedeo Labocetta che ieri ha accompagnato a Palazzo Grazioli Giancarlo Pittelli (che oggi dovrebbe votare la fiducia) oltre che caldeggiare fortemente il condono edilizio e fiscale nel decreto sviluppo su cui da giorni si stanno accapigliano Paolo Romani e Tremonti. L’ennesimo fronte aperto, visto che secondo molti sarebbero ben tre le versioni del provvedimento: quella buttata giù dal ministro dello Sviluppo, quella di Tremonti a «costo zero» e anche un testo di Renato Brunetta. Sullo sfondo, però, resta un Berlusconi sempre stanco di avere ogni giorno un problema con cui combattere. «Non abbiamo una settimana di calma», confidava qualche giorno fa ai suoi.

Perché «o ci sono le inchieste, o la questione intercettazioni o lo scontro con Tremonti oppure gli scivoloni alla Camera dove andiamo sotto senza una vera ragione». Invece, è il senso del ragionamento del Cavaliere, «avrei bisogno di almeno un mese di calma» per «riuscire a invertire la rotta». Perché il premier sarebbe anche pronto a mettere mano alla legge elettorale («con Verdini ne abbiamo già discusso ») ma il problema, riflette in privato con il suo interlocutore, «è che non siamo in grado di mettere altra carne al fuoco» almeno finché «la Lega è così divisa e non sa cosa vuole ». Poi una riflessione sul futuro. «Anche se volessi - confida - non potrei comunque dire che non mi ricandido come vorrebbe qualcuno».

Perché «otterrei l’effetto Zapatero» e «accorcerei inevitabilmente la legislatura » visto che «sarebbe interpretato come un rompete le righe e porterebbe certamente al voto nel 2012». Invece, «la crisi non si è ancora stabilizzata» e in questo momento «il Paese non ha certo bisogno di andare alle urne». Eppoi, se si accorciasse la legislatura ci sarebbe anche il problema di un Pdl «ancora debole» e di un Angelino Alfano «forse non ancora del tutto pronto». Anche se - nonostante quanto detto ieri in Consiglio dei ministri - Berlusconi continua a non escludere la possibilità, in caso si andasse al voto, di affiancare al Pdl una sua lista personale- Italia per sempre - che gli ultimi sondaggi danno intorno al 16%. A quel punto, le beghe interne al Pdl dei tanti frondisti gli interesserebbero certamente meno.

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12° puntata: Liste di proscrizione preventive


Ecco i possibili traditori

Si punta a quota 319. Almeno, questo è il numero magico uscito dal direttivo del Pdl. Ma tutto oggi può succedere. I bookmakers del Transatlantico sono scatenati: a quanto si arriva? Chi tradirà? Telefoni roventi, portaborse in fibrillazione: stavolta è sul filo. L’ultima fiducia è passata con 316 voti a favore, si punta a raggiungere la stessa cifra. Il premier Berlusconi dovrebbe sfangarla, nonostante i maldipancia interni. Il problema, però, non si ferma a questa giornata. La pattuglia del «voto, ma poi si cambia» si accresce di scontenti, frondisti, di coloro che s’interrogano se sia meglio mollare subito o la prossima volta. Possiamo anche ottenere la fiducia, è il ragionamento, ma la prossima volta ci risiamo. Le riforme languono. E qualcuno staccherà la spina.
È vero che la maggior parte dei peones che siedono alla Camera temono di andare a casa prima del tempo e sono attaccati alla poltrona. Però ieri Pier Ferdinando Casini ha avvertito: occhio, perché «Berlusconi ha una strategia chiara, vuole tenere la maggioranza fino a dicembre e votare nel 2012 senza ricandidare metà dei parlamentari che oggi votano con il governo. Uomo avvisato, mezzo salvato...». Il leader dell’Udc ha già stretto un asse per il futuro con uno dei frondisti più potenti: Claudio Scajola, il grande amico di Silvio che chiede a gran voce un ritorno allo spirito del ’94 e un’apertura ai moderati. Gli scajoliani, nonostante le dichiarazioni di fedeltà al premier, sono da inserire in certa parte tra le mine vaganti. Qualcuno di loro ha sollevato più di una perplessità sul fatto di dare semaforo verde. Alla fine, però, l’ex ministro ha dettato la linea: «Certamente voto la fiducia». «Noi non pugnaleremo mai Silvio», ha tagliato corto uno dei fedelissimi. «Siamo sognatori, ma non fessi». Convinti, in zona Cesarini, anche Tortoli, Giustina Destro (una delle più scettiche), Roberto Antonione e Fabio Gava, quest’ultimo ricevuto da Berlusconi in serata, come Massimo Nicolucci. Gran daffare a Palazzo Grazioli fino a notte per fare i conti.

Le vere mine vaganti sono forse tra i cosiddetti responsabili, che ora si chiamano Popolo e Territorio. Luciano Sardelli non nasconde che la fase è delicata e aprirsi ai centristi è giusto: «Stanno crocifiggendo Berlusconi, perché non lo capiscono? Io non sono Bruto, voto la fiducia, poi si vedrà». Domenico Scilipoti, nel giorno in cui tutti s’interrogano su chi è leale e chi no, manda mail per ricordare che venerdì al suo Movimento di Responsabilità ci sarà Berlusconi, quindi perché tradirlo proprio adesso. Non sarà in Aula, invece, Calogero Mannino. Pippo Fallica, invece, assicura che Forza del Sud, movimento di Micciché con sette deputati, non farà mancare il proprio sostegno. Santo Versace, ex Pdl: «Io voto contro». Chissà se Verdini l’ha convinto a cambiare idea. Più che mina vagante è mina assente Antonio Gaglione, uno che in Parlamento non si vede mai e sarebbe sorprendente vederlo proprio oggi. Assenti giustificati (per malattia) Americo Porfidia e Pietro Franzoso. Si cerca un elicottero per portare Filippo Ascierto, infortunato a una gamba. Alfonso Papa, dal carcere, ha chiesto di poter esserci. Assicura che darà la fiducia anche l’ex leghista Maurizio Grassano di Pt, sebbene il suo voto non sia sempre scontato: «Il mio cervello non l’ho dato a nessuno, ce l’ho ancora bene attaccato alla testa». Malpancisti anche tra i Cristiano-popolari e perfino nella Lega. Però ci sono gli ex finiani Urso e Ronchi che bilanciano. Oggi, salvo sorprese, si arriverà a 316 e forse pure di più, ma poi il pallottoliere della maggioranza sarà da aggiornare ancora.
di Brunella Bolloli

fonte: http://www.libero-news.it/news/844712/B ... itori.html
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