REGGIO. Nino Lo Giudice: ecco i nomi dei politici che abbiamo aiutato alle elezioni
REGGIO. Nino Lo Giudice: ecco i nomi dei politici che abbiamo aiutato alle elezioni
VENERDÌ 25 MAGGIO 2012 13:51
di CONSOLATO MINNITI* - La cosca Lo Giudice avrebbe raccolto voti per numerosi uomini politici dai quali si sarebbe poi aspettata degli impegni che però molto spesso non furono mantenuti. In alcuni casi, invece, capitò che le indicazioni di voto ricevute dalla cosca non furono rispettate. È pieno zeppo di nomi – anche di particolare peso – il verbale illustrativo di Antonino Lo Giudice, il collaboratore di giustizia che con le sue dichiarazioni ha aperto numerosi fronti d’indagine poi approfonditi dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
Il 7 aprile 2011, Lo Giudice è davanti ai magistrati della Dda, guidati all’epoca da Giuseppe Pignatone. Parla di tantissimi argomenti, del resto il verbale illustrativo serve proprio a far una sorta di sintesi degli aspetti che potranno poi essere ripresi ed approfonditi. E tra questi si staglia anche quello politico. È una delle prime volte che vengono fuori dichiarazioni di Nino Lo Giudice riferite al mondo delle istituzioni. Sono soltanto degli accenni ma che meritano di essere riportati, pur con la consueta considerazione che, allo stato, si tratta semplicemente di dichiarazioni che non hanno trovato alcun tipo di riscontro è che sono quindi da considerarsi prive di qualunque metro di verità. Ma le dichiarazioni ci sono e probabilmente saranno debitamente approfondite in questi mesi dai magistrati che cercheranno di capirne qualcosa di più, possibilmente con riferimenti precisi da poter riscontrare.
La politica. Lo Giudice, dopo aver parlato di alcuni soggetti ritenuti vicini alla cosca, quali ad esempio Giuseppe Cricri che avrebbe avuto il ruolo di prestanome di Luciano Lo Giudice, inizia a discutere di politica e racconta dei voti raccolti «per Giuseppe Scopelliti in occasione della sua prima elezione a sindaco di Reggio Calabria, su richiesta di tale Romeo di Santa Caterina dell’ufficio del capo gabinetto a tale Stillitano Giovanni (fotografo della zona di Tre Mulini), il quale aveva poi chiesto Lo Giudice Antonino: quest’ultimo, Lo Giudice Domenico, Giovanni ed altri loro parenti di Ravagnese avevano dato i voti e in cambio i cugini di Lo Giudice Antonino avevano ricevuto qualche favore, quale un impiego lavorativo; lo stesso era accaduto nella ricandidatura di Scopelliti: Romeo aveva fatto a Lo Giudice Antonino promesse sulle autorizzazioni relative al chiosco della frutta della Pineta Zerbi, che poi non aveva mantenuto».
Ma le parole di Lo Giudice non si fermano qui. Il “nano” va avanti e narra anche della “imbasciata” «mandata da Pasquale Condello, tramite Condello Domenico “il Mastino”, ai Lo Giudice, di raccogliere voti per tale Flesca alle elezioni comunali forse del 2002». Chiaro il riferimento del pentito all’ex consigliere Manlio Flesca, tra l’altro a giudizio di recente per un episodio di presunta corruzione elettorale, per aver promesso un posto di lavoro in cambio di voti. E sempre da Pasquale Condello, racconta Nino Lo Giudice, arrivò a loro un altro messaggio, tramite Domenico Condello “il Mastino”, «in particolare a Bruno stilo, di votare Alberto Sarra alle elezioni comunali della prima candidatura a sindaco di Scopelliti: indicazione che i Lo Giudice non avevano seguito» si legge nel verbale. Ma non è finita qui. Lo Giudice ha anche riferito «sull’invito, ricevuto da Canzonieri Donatello, Monorchio Antonio, di votare Tripodi Michelagelo alle elezioni comunali: indicazione che i Lo Giudice non avevano seguito». Nino Lo Giudice prosegue nel suo racconto e riferisce ai magistrati anche «sull’incontro voluto dal politico Rappoccio, che aveva incaricato Lo Giudice Antonino di raccogliere voti per lui; Lo Giudice aveva accettato per via dell’amicizia con uno zio del Rappoccio, suo vicino di casa; Rappoccio era stato poi eletto».
Quindi non ci sarebbero stati solo dei tramite nella raccolta dei voti ma, stando alle parole dette da Lo Giudice, in un caso vi sarebbe stato addirittura un incontro voluto direttamente da un uomo politico che gli avrebbe poi chiesto di impegnarsi per trovare dei voti. Una richiesta accordata da Lo Giudice solo per motivi di amicizia con un parente di Rappoccio. Rimanendo sempre in tema di politica, poi, il boss dell’omonima famiglia riferisce anche la cosca aveva delle case popolari che erano nella disponibilità di Antonino Lo Giudice, del cognato Giuseppe Reliquato, della sorella Elvira Lo Giudice, del figlio Giuseppe Lo Giudice, del nipote Fortunato Pennestrì. «Lo Giudice Antonino – si legge nel verbale – si era rivolto all’assessore Raso, inviando presso quest’ultimo il cognato Giuseppe Reliquato, il quale gli aveva promesso e dato voti, alle elezioni comunali svoltesi sia nel 2002 che nel 2007».
Rapine, esplosivo e riunioni. Fin qui Antonino Lo Giudice riferisce sulla politica. Ma il “nano” riempie pagine su pagine di verbali e narra di numerosi fatti criminali anche relativi a danneggiamenti compiuti da membri della cosca, nonché l’acquisto di materiale esplosivo. Su questo versante, Lo Giudice riferisce di aver comperato del tritolo tramite tale Domenico Errigo di Reggio Calabria e tramite Fortunato La Face di Melito Porto Salvo. Il primo avrebbe fornito tritolo attraverso Consolato Villani, il secondo attraverso Antonio Cortese. Ancora, Lo Giudice parla di tale Zuccarello, «guardia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Reggio Calabria, che in più occasioni lo aveva favorito, portandogli sigarette, missive ed altro, mentre era detenuto». In merito poi ad una rapina avvenuta nel quartiere di San Sperato, ai danni di un’armeria, nell’autunno 2010, Lo Giudice ha riferito che «erano stati i Libri con tale Vigliatore utilizzando il motorino di Puntorieri Vincenzo di Arghillà, amico di Cortese Antonio, e di aver appreso tale circostanza da Cortese Antonio».
Contrariamente ai vaghi ricordi emersi in dibattimento, invece, Lo Giudice ha anche raccontato ai magistrati di almeno due riunioni di ‘ndrangheta tenutesi nel 2005 e nel 2006. Nel primo caso l’incontro avvenne in località Aretina, «in un capannone di un soggetto a nome Trunfio Sebastiano poi ucciso (sei mesi dopo), tra Carmelo Murina Giovanni Iracà, Francesco Gattuso, Nicola e Demetrio di Croce Valanidi, perla Matteo detto Giorgio, Lo Giudice Antonino, uno dei Serraino di San Sperato, forse a nome Francesco, ed altri, nel corso della quale erano stati conferiti gradi di ‘ndrangheta; nell’occasione, era stato dato a Lo Giudice Antonino il grado del quintino; i gradi erano stati conferiti da Gattuso Francesco e dal proprietario del capannone». La seconda avvenne nei primi mesi del 2006 nell’abitazione di Pellaro di tale Paolo “Caporrota” Meduri, «in occasione della quale, il “Caporrota”, Carmelo Murina e Giovanni Chilà avevano conferito il grado di padrino a Lo Giudice Antonino, che sino a quel momento aveva il grado di Quintino; pertanto, Chilà, Caporrota e Murina avevano un grado uguale o maggiore di quello del padrino. Nell’occasione il Caporrota aveva letto delle formule, menzionando tre nomi: Giuseppe Antonio Italiano di Delianuova, Giovanni Tegano e Domenico Oppedisano, i rappresentanti dei tre mandamenti tirrenico, ionico e centrale».
*giornalista di Calabriaora
http://www.zoomsud.it/primopiano/33757- ... zioni.html