Cosa succede in città?Da leggere (anche per i FIGHI)
Inviato: 04/03/2014, 13:40
di Claudio Cordova
Proprio mentre su Rai1 andava in onda “Il giudice meschino”, la serie girata a Reggio Calabria e tratta dal romanzo di Mimmo Gangemi, a Reggio Calabria (quella vera) andava “in onda” la “meschinità” (quella vera) della città reale. Un’esplosione che distrugge un negozio in pieno centro e un morto ammazzato, già coinvolto in indagini di criminalità organizzata.Eccolo il piatto “servito” a chi già pregustava i commenti del giorno dopo alla fiction targata RAI: “Della nostra città si parla solo di ‘ndrangheta, si mostrano i calabresi come brutti, sporchi e cattivi”.E’ una delle notti più buie per Reggio Calabria. Non perché la città non stia vivendo uno dei momenti più drammatici della sua storia, ma perché i gesti e gli eventi eclatanti, psicologicamente, ci mettono sempre meglio di fronte alla realtà in cui viviamo e ai mali con cui (troppo spesso tacitamente) conviviamo.Due episodi, quelli della notte tra il 3 il 4 marzo, su cui sono già partite le indagini a ritmo serrato e su cui si dovranno ancora chiarire le cause, i motivi e gli eventuali coinvolgimenti della ‘ndrangheta, che, piaccia o no, condiziona ogni singolo respiro della città, sotto il profilo economico, sociale e politico.Partiamo dal secondo evento, quello che ha stroncato la vita del 43enne Franco Fabio Quirino, freddato in un cortile del rione Modena. Quel rione Modena dove hanno egemonia le cosche Borghetto e Zindato: le stesse famiglie del blitz “Alta tensione” in cui Quirino verrà coinvolto nel 2010 e per il quale era ancora alla sbarra (la discussione del procedimento di primo grado è imminente). Sono i Carabinieri a indagare su un delitto che, quindi, potrebbe avere collegamenti con la criminalità organizzata, ma anche dinamiche interne al rione, magari dovute a dispute di natura economica.Il dato certo e inoppugnabile e che a Reggio Calabria si ritorna a sparare e ciò ricorda a tutti quanto sia purtroppo amara e reale – al netto delle semplificazioni e dei luoghi comuni – la visione che la televisione dà della realtà reggina e calabrese.Ma, paradossalmente, l’omicidio Quirino rischia di diventare un grattacapo di minore difficoltà per gli inquirenti rispetto all’esplosione che ha devastato la salumeria-gastronomia “Romeo”, ubicata in via Pietro Foti, traversa del Corso Garibaldi. Un’esplosione – probabilmente causata da un ordigno – nel “salotto buono” della città, pochi minuti prima delle 23, quando ancora in quelle vie transitano persone a piedi e in auto.Non è un dato da sottovalutare, quest’ultimo. effettivamente qualcuno ha voluto colpire la gastronomia, ha scelto precipuamente di farlo in un orario in cui solo un curioso disegno del destino ha visto l’assenza di vittime e feriti.E il grattacapo è ancor più complicato se lo si cala nel contesto, perché, se fosse confermata la probabile natura dolosa dell’esplosione, ci troveremmo di fronte all’ennesimo episodio nel giro di alcuni mesi, di alcune settimane.Episodi che fanno in fretta a diventare “segnali” se vengono messi in fila.Dall’attentato alle pompe funebri Triolo, a pochi metri dagli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, passando per l’incendio del Museo dello Strumento Musicale, nella centrale Pineta Zerbi, fino agli episodi che, nel giro di pochi giorni, hanno interessato l’ex bar Malavenda, prima danneggiato da un’esplosione e poi “avvertito” con un ulteriore ordigno ritrovato, in pieno giorno, dalla Polizia. Proprio nelle settimane che accompagnano il passaggio societario tra la vecchia gestione e i nuovi proprietari. Senza dimenticare, ovviamente, le più o meno piccole e più o meno pubblicizzate intimidazioni che hanno colpito e colpiscono, continuamente le attività commerciali, tanto della periferia, quanto del centro storico.“Cosa succede in città?” si chiedeva, cantando, Vasco Rossi.Succede che la città in questione – Reggio Calabria – è sempre la “solita”, in cui, quasi come se fosse una legge di mercato, le attività commerciali e imprenditoriali devono fare i conti con richieste e avvertimenti e, in casi estremi, soluzioni estreme? Oppure succede che qualcosa stia cambiando? Che, per esempio, la lunga detenzione dei capi storici della ‘ndrangheta cittadina abbia dato il via libera ai “cani sciolti”, più propensi al “boom” che non ai movimenti sotto traccia? Succede, per esempio, che alcuni equilibri criminali, in seno ai vari rioni, siano saltati o, almeno, cambiati e che quindi “il nuovo” debba “segnare il territorio”, un po’ come fanno le bestie?In nome, ovviamente, del classico “tutti devono pagare”.Toccherà agli inquirenti svolgere una “mappa” del pizzo, individuando i referenti territoriali, cui gli esercenti commerciali devono, obbligatoriamente, rivolgersi per far sopravvivere la propria attività commerciale, fornendo alle cosche una fonte di sostentamento economica, ma anche “togliendo il cappello” e riconoscendo una supremazia locale. Non si può, anzi, non si deve, abbandonare la sovranità sui luoghi in nome di equilibri da non spezzare, di “quieto vivere” da salvaguardare.Ambienti investigativi segnalano alcune famiglie (anche di storico blasone) in evidente difficoltà: vuoi per l’età avanzata di alcuni capi storici, vuoi per gli anni di carcere che sono piovuti negli ultimi anni, togliendo per un po’ dalla circolazione le “nuove leve” che però avevano già imparato a farsi conoscere. Non è un caso che – stando alle indiscrezioni – gli informatori delle forze dell’ordine non facciano altro che parlare quasi sempre di alcuni clan. Forse per dare loro il colpo di grazia?L’omicidio Quirino nel rione Modena e l’esplosione della gastronomia “Romeo” a due passi dal Corso Garibaldi. Due eventi così diversi, ma così uniti, oltre che dalla logica di prevaricazione, dalla concreta paura che la criminalità possa ritornare a colpire in maniera eclatante.Per dimostrare di essere viva.“Cosa succede in città?” cantava e si chiedeva Vasco Rossi. Lo stesso, però, si dava anche una risposta: “C’è qualche cosa, qualcosa che non va…”
Proprio mentre su Rai1 andava in onda “Il giudice meschino”, la serie girata a Reggio Calabria e tratta dal romanzo di Mimmo Gangemi, a Reggio Calabria (quella vera) andava “in onda” la “meschinità” (quella vera) della città reale. Un’esplosione che distrugge un negozio in pieno centro e un morto ammazzato, già coinvolto in indagini di criminalità organizzata.Eccolo il piatto “servito” a chi già pregustava i commenti del giorno dopo alla fiction targata RAI: “Della nostra città si parla solo di ‘ndrangheta, si mostrano i calabresi come brutti, sporchi e cattivi”.E’ una delle notti più buie per Reggio Calabria. Non perché la città non stia vivendo uno dei momenti più drammatici della sua storia, ma perché i gesti e gli eventi eclatanti, psicologicamente, ci mettono sempre meglio di fronte alla realtà in cui viviamo e ai mali con cui (troppo spesso tacitamente) conviviamo.Due episodi, quelli della notte tra il 3 il 4 marzo, su cui sono già partite le indagini a ritmo serrato e su cui si dovranno ancora chiarire le cause, i motivi e gli eventuali coinvolgimenti della ‘ndrangheta, che, piaccia o no, condiziona ogni singolo respiro della città, sotto il profilo economico, sociale e politico.Partiamo dal secondo evento, quello che ha stroncato la vita del 43enne Franco Fabio Quirino, freddato in un cortile del rione Modena. Quel rione Modena dove hanno egemonia le cosche Borghetto e Zindato: le stesse famiglie del blitz “Alta tensione” in cui Quirino verrà coinvolto nel 2010 e per il quale era ancora alla sbarra (la discussione del procedimento di primo grado è imminente). Sono i Carabinieri a indagare su un delitto che, quindi, potrebbe avere collegamenti con la criminalità organizzata, ma anche dinamiche interne al rione, magari dovute a dispute di natura economica.Il dato certo e inoppugnabile e che a Reggio Calabria si ritorna a sparare e ciò ricorda a tutti quanto sia purtroppo amara e reale – al netto delle semplificazioni e dei luoghi comuni – la visione che la televisione dà della realtà reggina e calabrese.Ma, paradossalmente, l’omicidio Quirino rischia di diventare un grattacapo di minore difficoltà per gli inquirenti rispetto all’esplosione che ha devastato la salumeria-gastronomia “Romeo”, ubicata in via Pietro Foti, traversa del Corso Garibaldi. Un’esplosione – probabilmente causata da un ordigno – nel “salotto buono” della città, pochi minuti prima delle 23, quando ancora in quelle vie transitano persone a piedi e in auto.Non è un dato da sottovalutare, quest’ultimo. effettivamente qualcuno ha voluto colpire la gastronomia, ha scelto precipuamente di farlo in un orario in cui solo un curioso disegno del destino ha visto l’assenza di vittime e feriti.E il grattacapo è ancor più complicato se lo si cala nel contesto, perché, se fosse confermata la probabile natura dolosa dell’esplosione, ci troveremmo di fronte all’ennesimo episodio nel giro di alcuni mesi, di alcune settimane.Episodi che fanno in fretta a diventare “segnali” se vengono messi in fila.Dall’attentato alle pompe funebri Triolo, a pochi metri dagli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, passando per l’incendio del Museo dello Strumento Musicale, nella centrale Pineta Zerbi, fino agli episodi che, nel giro di pochi giorni, hanno interessato l’ex bar Malavenda, prima danneggiato da un’esplosione e poi “avvertito” con un ulteriore ordigno ritrovato, in pieno giorno, dalla Polizia. Proprio nelle settimane che accompagnano il passaggio societario tra la vecchia gestione e i nuovi proprietari. Senza dimenticare, ovviamente, le più o meno piccole e più o meno pubblicizzate intimidazioni che hanno colpito e colpiscono, continuamente le attività commerciali, tanto della periferia, quanto del centro storico.“Cosa succede in città?” si chiedeva, cantando, Vasco Rossi.Succede che la città in questione – Reggio Calabria – è sempre la “solita”, in cui, quasi come se fosse una legge di mercato, le attività commerciali e imprenditoriali devono fare i conti con richieste e avvertimenti e, in casi estremi, soluzioni estreme? Oppure succede che qualcosa stia cambiando? Che, per esempio, la lunga detenzione dei capi storici della ‘ndrangheta cittadina abbia dato il via libera ai “cani sciolti”, più propensi al “boom” che non ai movimenti sotto traccia? Succede, per esempio, che alcuni equilibri criminali, in seno ai vari rioni, siano saltati o, almeno, cambiati e che quindi “il nuovo” debba “segnare il territorio”, un po’ come fanno le bestie?In nome, ovviamente, del classico “tutti devono pagare”.Toccherà agli inquirenti svolgere una “mappa” del pizzo, individuando i referenti territoriali, cui gli esercenti commerciali devono, obbligatoriamente, rivolgersi per far sopravvivere la propria attività commerciale, fornendo alle cosche una fonte di sostentamento economica, ma anche “togliendo il cappello” e riconoscendo una supremazia locale. Non si può, anzi, non si deve, abbandonare la sovranità sui luoghi in nome di equilibri da non spezzare, di “quieto vivere” da salvaguardare.Ambienti investigativi segnalano alcune famiglie (anche di storico blasone) in evidente difficoltà: vuoi per l’età avanzata di alcuni capi storici, vuoi per gli anni di carcere che sono piovuti negli ultimi anni, togliendo per un po’ dalla circolazione le “nuove leve” che però avevano già imparato a farsi conoscere. Non è un caso che – stando alle indiscrezioni – gli informatori delle forze dell’ordine non facciano altro che parlare quasi sempre di alcuni clan. Forse per dare loro il colpo di grazia?L’omicidio Quirino nel rione Modena e l’esplosione della gastronomia “Romeo” a due passi dal Corso Garibaldi. Due eventi così diversi, ma così uniti, oltre che dalla logica di prevaricazione, dalla concreta paura che la criminalità possa ritornare a colpire in maniera eclatante.Per dimostrare di essere viva.“Cosa succede in città?” cantava e si chiedeva Vasco Rossi. Lo stesso, però, si dava anche una risposta: “C’è qualche cosa, qualcosa che non va…”