Riforma "Lavoro"

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Paolo_Padano
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In questo periodo di crisi quando i posti di lavoro si perdono in ogni caso l'abolizione dell'art. 18 è fuori luogo, si poteva incomincare a riformarlo gradualmente con il rischio che in piena recessione è evidente il rischio di una spaccatura sociale del paese che può alimentare risvolti pericolosi anche di natura eversiva. Con il solo indennizzo per il lavoratore licenziato ingiustamente passerebbe un messaggio assai negativo quello che con un pò di denaro si ha la libertà di togliere illegittimamente il futuro alle persone.
Ultima modifica di Paolo_Padano il 27/03/2012, 21:33, modificato 1 volta in totale.
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goldenboy
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doddi ha scritto:
goldenboy ha scritto:mi aspettavo molto di più sugli armotizzatori sociali...a mio avviso sull'art. 18 si fa troppa demagogia,sia da chi lo difende sia da chi lo vuole sopprimere.. in Italia si licenzia facilmente :salut

Ma non è assolutamente così ... e comunque il licenziameto per motivi economici dell'azienda è la voce principale di novità, che dovrebbe avere effetti notevoli sulle varie voci relative alla cassa integrazione.

Per gli ammortizzatori la questione è sempre quella: mancanza di fondi ed impossibilità di aumentare ulteriormente e significativamente il carico fiscale per ottenerne la copertura.
mi spiace..cazzatona!!!ogni anno ci sono miliardi e miliardi di trasferimenti a fondo perduto dello stato alle aziende che non si sa che utilità portano,se non arricchire qualche imprenditore latriceddu
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goldenboy
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http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ef=HRER3-1

LA RIFORMA
Ministero: "Statali esclusi da nuovo art. 18"
Giuslavoristi: "Concessioni, governo mente"
Una nota del dipartimento della funzione pubblica dice che le novità sui licenziamenti si applicheranno anche ai dipendenti pubblici. E scatena la polemica. Camusso e Angeletti: "Non è vero". Alla fine Patroni Griffi chiarisce con una nota. Intanto 53 esperti da Bologna accusano: alcune tutele erano già previste: o il governo è "disinformato" o è "spregiudicato"
ROMA - A fine serata arriva la precisazione del ministero della Pubblica amministrazione: "Le modifiche all'art.18 contenute nella riforma del mercato del lavoro non riguarderanno gli statali. Non a caso al tavolo non partecipa il ministro della Funzione Pubblica, Patroni Griffi". Una nota che pone fine alla querelle durata per ora. Cominciata, all'inizio del pomeriggio, quando il Dipartimento della funzione pubblica fa sapere che le nuove norme sui licenziamenti si applicheranno anche agli statali.

Una mezza rivoluzione rispetto a uno degli steccati storici dell'occupazione in Italia: quello che separa il lavoro nel pubblico dal privato in tema di licenziamenti. In tal caso, anche per gli statali il reintegro in caso di licenziamento ingiustificato sarebbe assicurato solo in caso di licenziamento discriminatorio.

La leader Cgil Susanna Camusso, in conferenza stampa, ribatte alla "strana" nota del Dipartimento della Funzione pubblica. "Licenziamenti nel pubblico, non può essere". Luigi Angeletti: "La legge 300 si applica al lavoro privato. Quindi l'articolo 18 in essa contenuto non si applica e non si è mai applicato al settore pubblico - dichiara il segretario generale della Uil in conferenza stampa -. Quindi, le modifiche apportate non si applicano. Se il governo ha pensato di cambiare io non ne so nulla e, comunque, non ci è stato comunicato nulla né in forma orale, né scritta. Nella pubblica amministrazione tutto viene regolato per legge: salari, regolamenti, disciplina". Il leader Cisl Raffaele Bonanni: "Mi ricordo che la Fornero disse che il pubblico impiego non era coinvolto. A noi non risulta e comunque siamo contrari".

Alla fine, dal ministero della Pubblica amministrazione, arriva una nota: "Solo dopo la definizione del
testo che riguarda la riforma del mercato del lavoro si potranno prendere in considerazione gli effetti che essa potrebbe avere sul settore pubblico". Insomma, aspettiamo che vengano messe a punto le norme.

Intanto finiscono nel mirino alcune norme presentate dal governo come una novità in sede di trattativa, quando in realtà si tratterebbe di tutele "già acquisite da anni". E' quanto sostengono da Bologna 53 personalità, tra professori ed esperti di diritto del lavoro, che giudicano "sconcertante" l'atteggiamento del governo, perché "disinformato" o, in alternativa, "spregiudicato.

Primi firmatari della nota sono Umberto Romagnoli, Luigi Mariucci, Piergiovanni Alleva, Giovanni Orlandini e Sergio Matone, cui seguono i nomi di 21 esperti bolognesi e quelli di altri da Torino (tra i firmatari Luciano Gallino, professore di Sociologia all'università), Firenze, Milano e Roma. Che puntano l'indice, in particolare, sulle due normative annunciate oggi a tutela dei lavoratori: l'obbligo di assumere un lavoratore a tempo indeterminato dopo 36 mesi di contratti a termine e l'estensione dell'obbligo di reintegro in caso di licenziamento discriminatorio anche in un'azienda con meno di 16 dipendenti.

Tutele che, a detta degli esperti, esistono già da tempo nel nostro ordinamento, ma che il governo presenta come nuove "per far digerire la pillola delle modifiche peggiorative". Nello specifico, i 53 giuslavoristi indicano che l'estensione dell'obbligo di reintegro nelle piccole aziende è previsto dall'articolo 3 delle legge 109 del 1990, mentre il termine massimo dei 36 mesi è previsto dall'articolo 5 comma 4 bis del decreto legislativo 368 del 2001.
reggino
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di Maurizio Tortorella

«La Confindustria non ha alcun bisogno di una rifondazione. Però è perfettibile, migliorabile, razionalizzabile. Per esempio, dovremo evitare inutili sovrapposizioni e ridurre le spese, aumentando invece i servizi per gli associati. E credo si possa farlo: del resto, perfino Luca Cordero di Montezemolo ha combinato qualcosa di giusto, nella sua presidenza…». Giorgio Squinzi sorride della sua battuta. Sessantasette anni, da 30 alla guida della sua Mapei, il colosso degli adesivi che oggi fattura 2,1 miliardi di euro per 7.500 dipendenti in 59 stabilimenti in 27 paesi dei cinque continenti, l’ex presidente della Federchimica lancia il suo guanto di sfida ad Alberto Bombassei, il re dei freni e titolare della Brembo.
Bombassei, l’attuale vicepresidente della Confindustria per le relazioni industriali, si è candidato il 17 gennaio presentando un decalogo nel quale indica la necessità di una «rifondazione» della confederazione e dà molto peso alla riforma dei rapporti sindacali «contro resistenze, veti e rifiuti»: il sindacato ha subito letto la proposta come un attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e il 20 gennaio alla Brembo è stato subito sciopero.

Oggi è Squinzi a presentarsi ufficialmente per la successione a Emma Marcegaglia con una bozza di programma alternativo, proprio a partire dalla querelle sull’articolo 18: «Per me» dichiara Squinzi a Panorama «la licenziabilità dei dipendenti è forse l’ultimo dei nostri problemi».

Non accadeva dal 2000 che ci fossero due candidati forti a giocarsi la presidenza della Confindustria: 12 anni fa si affrontarono Carlo Callieri e Antonio D’Amato. Oggi, accanto a Bombassei e a Squinzi, corrono anche Riccardo Illy, l’industriale del caffè, e Andrea Riello, già presidente degli imprenditori veneti.

«Stimo Illy, ma è in ritardo; e Riello lo vedo in salita» ha tagliato corto Bombassei. Squinzi scuote la testa: «Io non farò mai dichiarazioni così» commenta «perché rispetto tutti. E diventare presidente della Confindustria non è un mio obiettivo di vita». Con lui si sono già schierati le grosse associazioni industriali di Roma e del Lazio, la Federchimica, i costruttori edili dell’Ance e anche l’Associazione grandi imprese.

Dovrebbe pronunciarsi a suo favore anche l’Assolombarda, prima associazione territoriale per numero d’iscritti. Bombassei invece è più forte in Piemonte, in Veneto, in Emilia-Romagna e al Sud. Nelle categorie, la Federmeccanica è in maggioranza dalla sua parte.

I giochi ufficiali, comunque, sono iniziati martedì 24 gennaio con la riunione degli ex presidenti per la scelta dei tre «saggi», che avranno 45 giorni per sondare federazioni e categorie e alla fine indicheranno i candidati che abbiano ottenuto almeno il 15 per cento dei consensi. Il 22 marzo la giunta sceglierà il designato, che dovrà presentare squadra e programma entro il 19 aprile e sarà poi eletto il 23 maggio.

La differenza tra i due candidati è evidente. «Bombassei è un signor imprenditore» premette Squinzi «ma sull’articolo 18 io non la vedo affatto come lui. Io sono per il dialogo con il sindacato, anche in anni difficili come questi. Non ho mai ridotto il personale, né mai chiesto un’ora di cassa integrazione, e non ho un precario fra i miei dipendenti. Da presidente della Federchimica, poi, ho siglato sei contratti nazionali senza un’ora di sciopero.
E nell’ultimo abbiamo ottenuto anche la possibilità di derogare ai trattamenti minimi economici in caso di giustificati motivi».

Non fosse chiaro, Squinzi rincara la dose: «Vorrei tanto essere capace di convincere la Fiat a tornare nella Confindustria». «Ma vorrei pure ricordare che nelle relazioni industriali non si deve andare per scontri. Si deve cercare l’accordo. Questo è un Paese che ha bisogno di ritrovare la concordia che c’era ai tempi di Palmiro Togliatti e di Alcide De Gasperi».
Un mezzo endorsement centrista? «Di me» risponde «hanno detto che sono grande amico di Silvio Berlusconi e di Romano Prodi, che sto con Comunione e liberazione e con il Pd. A me piace descrivermi come un indipendente. E anche se fossi eletto presidente vorrei mantenere la mia libertà di giudizio e dagli schieramenti politici. Non solo, vorrei evitare di trasformarmi in un presidente professionista; punterei a risultati importanti, ma senza perdere il contatto con la mia azienda e con i problemi concreti di ogni giorno. Per intenderci, la presidenza di Montezemolo a me non è piaciuta soprattutto per l’eccesso di attenzione all’immagine, oltre che per la quotazione del Sole 24 ore».

Al contrario, Squinzi s’impegna a cercare risultati concreti. Al primo posto la lotta alla burocrazia: «Dobbiamo tornare ad attrarre investimenti» proclama «e qui ci sono troppi ostacoli. Oggi una valutazione d’impatto ambientale richiede anche due o tre anni, contro una media europea di 60-90 giorni».

Da questo punto di vista il decreto «cresci Italia» offre qualche buono spunto, ma il candidato chiede di andare oltre: «Non è liberalizzando taxi e farmacie che si riparte. La deburocratizzazione è molto, molto di più. Il governo di Mario Monti sta facendo cose buone. La mia speranza è che regga il consenso, e che ne faccia molte altre».

Per esempio in campo fiscale: «La Mapei paga imposte in circa 40 paesi, con un’aliquota media al 34 per cento, mentre in Italia siamo al 50. Per questo chiediamo con forza l’abolizione dell’Irap». Infine l’energia. Nuclearista convinto («Ma so che non ci torneremo forse mai più»), Squinzi chiede nuovi investimenti e rigassificatori: «Oggi ne funziona uno solo, a Rovigo, altri sette sono fermi». Serve infine «l’adeguamento delle infrastrutture, materiali e immateriali: e penso anche alla banda larga, dove siamo in grave ritardo».

La gara, adesso, è davvero aperta.


Finalmente un imprenditore serio e interessante e non un negriero.
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Paolo_Padano
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forza questa riforma non deve passare, no alla svendita dei posti di lavoro

RIFORMA DEL LAVORO
Art.18, lavoratori in sciopero da Nord a Sud
E dieci anni fa la Cgil "invase" la Capitale
Operai Fincantieri che si astengono dalle attività a Palermo, Castellammare di Stabia, Monfalcone, insieme a quelli di altre aziende in Toscana e Liguria, per manifestare contrarietà soprattutto all'impossibilità del reintegro nel licenziamento economico. Nel 2002 provarono a infrangere il tabù Berlusconi e Maroni. Alle manifestazioni di questi giorni aderiscono a livello territoriale anche altre sigle sindacali
(ansa)
Articolo 18, bloccato il varco portualeSpeciale
lavoro, la grande crisiLink
La politica che c'è ROMA - Dieci anni dopo, la Cgil chiama ancora alla mobilitazione in difesa dell'articolo 18 e contro la riforma del mercato del lavoro. Il sindacato diretto da Susanna Camusso ha già annunciato uno sciopero generale di 8 ore, in data da definirsi, più altre giornate di astensione dal lavoro che saranno utilizzate nel prossimo periodo per sostenere la battaglia contro le modifiche alla normativa sul lavoro indicate come "il via ai licenziamenti facili". E alle proteste in corso in questi giorni, aderiscono anche - a livello territoriale - appartenenti alle altre sigle sindacali.

Nel 2002, la Cgil portò in piazza al Circo Massimo (secondo il sindacato), tre milioni di persone contro le ipotesi di modifica dell'articolo 18 paventate dal governo Berlusconi con l'allora ministro del Lavoro Roberto Maroni. Oggi ci riprovano i tecnici dell'esecutivo Monti, Elsa Fornero l'ariete. E il mondo del lavoro risponde all'invito del sindacato di Corso Italia, da Nord a Sud, incrociando le braccia nei cantieri, nelle fabbriche, negli stabilimenti, accompagnando la protesta con picchetti e presidi, bloccando la viabilità, distribuendo volantini. Nel mirino, soprattutto l'eliminazione della possibilità di reintegro del lavoratore licenziato per ragioni economiche.

Sciopero Fincantieri a Palermo. Le Rsu di Fiom, Fim, Uilm, Ugl e Cisal del cantiere navale hanno indetto quattro ore di stop a inizio turno, con presidio davanti ai cancelli contro la riforma dell'articolo 18 e i "licenziamenti facili". Il primo sit-in è stato programmato dalle 6 alle 10. Dopo avere organizzato un picchetto ai cancelli, gli operai hanno effettuato un blocco stradale, paralizzando il traffico nella zona del cantiere. Una iniziativa unitaria, come sottolinea il segretario provinciale della Fiom, Francesco Piastra: "Hanno aderito tutte le sigle sindacali, un segnale importante di compattezza perché sui diritti fondamentali non ci si può dividere. E non lo faremo".

Le altre iniziative in Sicilia. Cgil molto attiva in Sicilia, dove per le prossime ore si contano molteplici iniziative a difesa dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In mattinata sit-in presso la prefettura di Agrigento, mentre davanti alla prefettura di Messina si sono dati appuntamento i lavoratori della Triscele (ex Birra Messina). Previsto anche il volantinaggio da parte dei lavoratori dell'agroindustria ai caselli autostradali messinesi e l'esecutivo della Camera del lavoro di Catania. Domani si svolgerà l'esecutivo della Cgil di Siracusa, per decidere le iniziative da mettere in campo. Lunedì 26 è in programma l'assemblea dei metalmeccanici della Cicli Lombardo spa di Buseto Palizzolo (Trapani) in vista dello sciopero generale. Mercoledì 28, a Palermo, un dibattito su giovani e precariato.

Sciopero Fincantieri a Castellammare (Napoli). Bloccate per due ore le attività dei cantieri navali da parte dei lavoratori Fincantieri di Castellammare di Stabia (Napoli). Anche qui la protesta vede unite tutte le organizzazioni sindacali di categoria, Fiom, Fim, Uilm, Ugl e Cisal, presenti nello stabilimento. "E' una decisione che nasce - spiega Giovanni Sgambati, segretario generale Uilm Campania - dopo le chiusure manifestate dal governo di fronte a chi aveva apprezzato i provvedimenti sugli ammortizzatori sociali. Sull'articolo 18, invece, non è stata accolta nessuna modifica. Già vi era un forte disagio tra i lavoratori. Se il Parlamento non dovesse accogliere le modifiche sui licenziamenti economici, rischia di aprirsi un problema di tenuta sociale tra i lavoratori". La protesta di oggi fa seguito a quella di ieri alla Indesit di Teverola, nel Casertano.

Chiavari (Genova), sciopero alla Lames. Dopo la Fincantieri di Riva Trigoso, oggi a scioperare è la Lames, la seconda più importante azienda del Golfo del Tigullio. La protesta in atto alla Lames è organizzata dalle rappresentanze sindacali di Fiom Cgil e Fim Cisl, assente, invece, Uilm. Quattro ore di astensione, in ogni turno, per protestare contro le modifiche all'articolo 18. Gli esponenti delle sigle sindacali parlano di "massiccia adesione" allo sciopero, come accaduto ieri, quando mille lavoratori della Fincantieri di Riva hanno incrociato le braccia.

Viabilità bloccata nel pisano dagli operai Asso Werke. Gli operai della Asso Werke, azienda metalmeccanica di Fornacette, hanno scioperato per quattro ore stamani, dalle 6 alle 10, bloccando la viabilità lungo la statale Tosco Romagnola a Calcinaia (Pisa), contro la riforma del mercato del lavoro. Sciopero indetto dalle Rsu in modo unitario. Il corteo, durato un'ora, si è snodato lungo la statale Tosco Romagnola con forti ripercussioni per il traffico: la zona interessata è un punto cruciale per la circolazione ed è avvenuto in un'orario di punta. C'è stato anche un momento di tensione tra alcuni operai e un passante, poi fatto allontanare dalle forze dell'ordine che presidiavano il corteo. I lavoratori, terminata la manifestazione, sono tornati in fabbrica.

Torino, sciopero di quattro ore alla Graziano. In difesa dell'articolo 18, i dipendenti della Graziano di Torino hanno scioperato per quattro ore, uscendo dallo stabilimento e percorrendo in corteo corso Francia. Agitazione promossa unitariamente dai delegati di Fiom-Fiom-Uilm. Commenta Vittorio De Martino, della segreteria provinciale della Fiom: "Il governo affronta la crisi punendo e mortificando i lavoratori quando sarebbe necessario creare le condizioni per il rilancio industriale e occupazionale del Paese, in un momento in cui la disoccupazione continua a mordere. Nella zona di Collegno, con le difficoltà di aziende come De Tomaso, Lear o Saturno, siamo in presenza di una perdita continua di posti di lavoro".

Monfalcone, scioperi ad Ansaldo e Fincantieri. Indetta unitariamente dalle Rsu, si è svolta un'ora di sciopero alla Ansaldo Sistemi Industriali di Monfalcone (Gorizia). Ma è solo l'inizio: il blocco delle attività è servito a informare i lavoratori sulla riforma del mercato del lavoro e art.18 e "organizzare le azioni dei prossimi giorni". Si tratta del secondo sciopero della settimana indetto dalle Rsu; il primo ha avuto luogo martedi 20 marzo, quando i lavoratori si sono astenuti dal lavoro le ultime due ore di ogni turno. Sempre a Monfalcone, due le ore di sciopero proclamate unitariamente dalle Rsu Fim-Fiom-Uilm allo stabilimento Fincantieri, con presidio delle portinerie. Il primo turno ha scioperato dalle 6 alle 8; i giornalieri dalle 8 alle 10; gli altri turni sciopereranno le ultime due ore.
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Il bulldog ominide susy camusso parla di lacrime di coccodrillo riferendosi al Ministro Fornero. (Aqua mode on 8-) )
Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.
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a me questa riforma piace molto, finalmente si rendono non convenienti i contratti a termine e si punta su quello indeterminato, allo stesso tempo si fa una stretta sulle false partite Iva quelle che per intenderci alcuni datori di lavoro fanno fare per registrare i propri dipendenti come collaboratori esterni in modo da non avere spese.
L'importante non è vincere ma partecipare, con onore, alla sconfitta dell'avversario.
reggino
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Modello tedesco: un operaio della Volkswagen guadagna il doppio di un collega della Fiat
A confronto le buste paga erogate dai due grandi gruppi automobilistici: 2600 euro netti contro 1.400. Il lavoratore italiano prende di meno, paga più tasse e si ritrova welfare e servizi più scadenti. Eppure i bilanci della casa di Wolfsburg battono alla grande quelli del concorrente torinese. Intanto Marchionne chiede nuovi sacrifici e aiuti all'Europa
Marta Cevasco e Jurgen Schmitt sono due operai metalmeccanici. Hanno quasi la stessa età: 52 anni la signora italiana e 50 il suo collega tedesco, un’anzianità di servizio simile, entrambi tengono famiglia (coniuge e un figlio) e fanno più o meno lo stesso lavoro non specializzato. Qual è la differenza tra i due colleghi? Semplice: lo stipendio. Jurgen guadagna molto di più. A fine mese l’operaia italiana arriva a 1.436 euro, quasi la metà rispetto al metalmeccanico tedesco, che porta a casa una retribuzione 2.685 euro. A conti fatti, Marta e Jurgen sono divisi da 1. 250 euro. Chiamatelo, se volete, lo spread del lavoro. E anche qui, come succede per la finanza pubblica, vince la Germania. O meglio vince Volkswagen e perde Fiat, perché i due operai che abbiamo scelto per questo confronto sono dipendenti delle due più importanti aziende automobilistiche dei rispettivi Paesi. Jurgen passa le sue giornate alla catena di montaggio dello stabilimento di Wolfsburg. Marta invece lavora in una fabbrica del gruppo del Lingotto.

I nomi sono di fantasia, ma le buste paga, pubblicate in questa pagina, sono reali. E i numeri suonano come la conferma della superiorità del modello tedesco. Un sistema che garantisce retribuzioni più elevate. Ma non solo. Anche in Germania, ancora più che in Italia, lo stipendio è falcidiato da pesanti prelievi sotto forma di tasse, e, soprattutto, contributi previdenziali e assicurativi. In cambio, però, questa montagna di soldi contribuisce a finanziare un welfare che nonostante i tagli degli anni scorsi (a cominciare dalle riforme varate tra il 1998 e il 2004 dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder) rimane ancora uno dei più efficienti d’Europa. Dalle nostre parti, invece, i contributi restano alti, ma il welfare si sta squagliando.

Vediamo un po’ più nel dettaglio il caso tedesco. Jurgen parte da una paga base di poco superiore a 3 mila euro e con alcune ore di straordinario notturno arriva a superare un compenso mensile lordo di 3. 700 euro. Le trattenute previdenziali e assicurative sfiorano i 700 euro, di cui 336 per la pensione e 267 euro di cassa malattia. Se si considera che l’imponibile ammonta a 3. 380 euro circa, i contributi pesano per il 20 per cento circa. Marta invece paga circa 170 euro per la pensione. Poi però ci sono circa 18 euro per il fondo previdenziale integrativo e altri 16 euro sono destinati all’assicurazione sanitaria supplementare. Alla fine questi contributi assorbono l’ 11 per cento di un imponibile pari a circa 1. 800 euro, contro il 20 per cento di Jurgen. Poi ci sono le tasse, che pesano sullo stipendio per meno del 10 per cento (9,89 per cento) nel caso dell’operaio Vw. Le ritenute fiscali della dipendente Fiat, al netto delle detrazioni, valgono invece il 13 per cento circa dell’imponibile. Morale: per Marta meno stipendio e più tasse. Peggio ancora: anche se le imposte sono maggiori, l’operaia italiana riceve servizi meno efficienti rispetto al collega di Wolfsburg.

Va detto che anche in Germania la situazione può cambiare, anche di molto, da un’azienda a un’altra. E spesso anche tra i reparti della medesima fabbrica. Alla Volkswagen di di Wolfsburg abbondano, anche se restano comunque in netta minoranza, i lavoratori part time e a tempo determinato, con retribuzioni anche del 20-30 per cento inferiori a quella dei loro colleghi (qui il reportage di Vittorio Malagutti da Wolfsburg). Jurgen e Marta però fanno parte entrambi della stessa categoria di, per così dire, privilegiati: gli assunti a tempo indeterminato. Resta il fatto che nel regno di Sergio Marchionne l’operaio se la passa molto peggio rispetto al collega delle fabbriche tedesche della Volkswagen. Il capo del Lingotto però chiede ancora di più. Chiede nuovi sacrifici e maggiore flessibilità. Solo così Fiat tornerà grande, dice.

Il gruppo di Wolfsburg si muove diversamente. Negli ultimi anni ha spostato una parte importante della produzione in aree del mondo a basso costo del lavoro (Cina, Slovacchia, Messico), ma quasi la metà dei suoi 500 mila dipendenti vivono comunque in Germania e di questi la gran parte percepisce stipendi ben più elevati rispetto a quelli della Fiat. Eppure Volkswagen, anche al netto delle partite straordinarie, vanta profitti ben più elevati del concorrente italiano. Non sarà che l’arma vincente dei tedeschi sono i prodotti, pensati e realizzati grazie a imponenti investimenti in ricerca e sviluppo? Marchionne su questo punto resta un po’ vago. In compenso, da buon liberista all’italiana, continua a chiedere all’Europa interventi straordinari, con soldi pubblici, per ridurre la sovracapacità produttiva in Europa. Da Wolfsburg rispondono: noi non ne abbiamo bisogno.

Da Il Fatto Quotidiano del 25 marzo 2012http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/25/mod ... co/199991/
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Viaggio nel cuore della Volkswagen, la fabbrica di auto che vende auto
Reportage da Wolfsburg, Germania del Nord, ultima factory town d'Europa. Diversamente dal modello autoritario Fiat, che precipita sui mercati e taglia i posti di lavoro, nel colosso tedesco i manager e gli operai decidono insieme e l’azienda vola
Ciminiere all’orizzonte: quattro, altissime. Le scorgi da lontano, chilometri prima di entrare in città. Comincia da lì il passato che non se ne vuole andare. Catena di montaggio, fabbrica, operai. Un esercito di tute blu: quasi 20 mila. Fine del turno del mattino, eccoli. Escono a migliaia dai cancelli dello stabilimento. Una scena ormai neppure immaginabile dalle nostre parti. Questa è Wolfsburg, Germania del Nord, l’ultima factory town d’Europa. Una città con il marchio Volkswagen, la multinazionale dell’auto più efficiente del mondo, un gigante che l’anno scorso ha macinato ricavi per 159 miliardi di euro, quasi tre volte Fiat-Chrysler, con profitti per 15, 8 miliardi, più che raddoppiati rispetto al 2010. Il cuore e il cervello di questa macchina da soldi, stanno nella cittadina di 120 mila abitanti in Bassa Sassonia dove Hitler nel 1938 decise di costruire il primo nucleo dell’industria automobilistica di Stato. Dalla immensa fabbrica di Wolfsburg escono 800 mila auto all’anno, circa 100 mila più di quanto produce in totale la Fiat nei suoi cinque impianti italiani.

E’ un successone la Volkswagen guidata dall’amministratore delegato Martin Winterkorn, premiato da uno stipendio, da record pure questo, di 17, 5 milioni. Un successo che è quasi un miracolo, perché negli anni scorsi il gruppo tedesco è riuscito a delocalizzare la produzione, dal Messico alla Cina via Slovacchia, senza tagliare un posto di lavoro in Germania. E i lavoratori, quelli dei sei stabilimenti Volkswagen, sono al centro di un sistema di welfare, dentro e fuori la fabbrica, che da noi, per molti aspetti, è ormai un lontano ricordo. Per non parlare degli stipendi. La paga base di un operaio si aggira, al netto di tasse e contributi, sui 2. 700 euro, ma con qualche ora di straordinario è facile arrivare a quota 3 mila. In altre parole, a Wolfsburg il lavoro alla catena di montaggio è pagato all’incirca il doppio rispetto a Mirafiori o nelle altre fabbriche Fiat. Qui in Sassonia, nell’impianto da 51 mila dipendenti compresi gli amministrativi e un esercito di ricercatori, tutto si muove esattamente nella direzione opposta a quella indicata da Sergio Marchionne alla Fiat. È il mondo alla rovescia rispetto al verbo della fabbrica normalizzata e obbediente predicato dal numero uno del Lingotto.

Qui il sindacato è forte, fortissimo. La IG Metall, a cui è iscritto il 95 per cento circa degli operai di Wolfsburg, partecipa a ogni singola scelta aziendale: dalle grandi strategie fino all’assunzione a tempo indeterminato di un giovane apprendista. C’è il consiglio di fabbrica: 65 delegati in rappresentanza di tutti i reparti. E poi, al vertice del gruppo, il sindacato nomina la metà dei 20 membri del consiglio di sorveglianza, l’organo di controllo sulla gestione. Regolazione minuziosa di ogni aspetto della vita aziendale contro deregulation. Condivisione invece di verticismo autoritario. Questa, in breve, è la ricetta della cogestione, la Mitbestimmung che ha fatto grande l’industria tedesca e continua, pur tra mille difficoltà, a produrre profitti e benessere. “Difficile fare confronti con l’Italia”, dice Franco Garippo, sindacalista a Wolfsburg da quasi 30 anni. “Ormai per noi la cogestione è diventato un modo di pensare, più che un modello organizzativo”.

Per questo, conclude Garippo, è “inutile immaginare trapianti parziali o totali del sistema tedesco nella realtà italiana”. Resta un fatto, difficile da smentire. Il modello Volkswagen, quello basato sulla mediazione continua, ha dato fin qui ottimi risultati. Mentre Marchionne si rifiutava di condividere con il sindacato perfino le grandi linee del fantomatico piano di investimenti “Fabbrica Italia”, i vertici del gruppo di Wolfsburg hanno negoziato con la IG Metall una serie di importanti novità contrattuali. Sintetizzando al massimo, si può dire che la scelta dei dipendenti è stata quella di concedere maggiore flessibilità, per esempio su orari e salario, in cambio della tutela assoluta del posto di lavoro.

Una garanzia su tutte: fino al 2014 l’organico dei stabilimenti tedeschi non potrà diminuire. In cambio, ormai da otto anni tutti i nuovi assunti lavorano 35 ore settimanali invece delle 33 degli operai con maggiore anzianità. A Wolfsburg si è tornati a lavorare su tre turni nell’arco delle 24 ore, ma dall’anno scorso è stato introdotto una forma di premio di rendimento (80-100-120 euro al mese) che viene negoziato su base individuale dall’operaio con il suo capo squadra, ovviamente sotto la sorveglianza della consiglio di fabbrica. Dopo molte resistenze il sindacato ha dato via libera all’ingresso in fabbrica di lavoratori a tempo determinato, con salari del 20-30 per cento inferiori a quello dei colleghi assunti in pianta stabile. Questi dipendenti precari, che ormai a Wolfsburg ammontano ad alcune migliaia, sono però formalmente alle dipendenze di una società mista tra enti pubblici e Volkswagen. Funziona molto bene anche l’apprendistato.

Ogni anno 1. 250 giovani delle scuole superiori entrano nei sei stabilimenti tedeschi (600 solo a Wolfsburg) per un periodo di formazione di 36 mesi. Di solito quei contratti si trasformano in assunzioni a tempo indeterminato dopo il via libera di una commissione mista tra sindacati e ufficio del personale. Perché la regola resta sempre e comunque la stessa: tutto viene negoziato, compresi gli investimenti e gli eventuali straordinari. Il risultato è che dopo anni di grande moderazione salariale adesso tira aria di premi. I dipendenti dei sei stabilimenti tedeschi di Volkswagen si sono appena visti riconoscere un bonus di 7. 500 euro, calcolato sulla base dello straordinario aumento dei profitti del gruppo.

Proprio in questi giorni sta cominciando la trattativa per il nuovo contratto aziendale. A Wolfsburg, su una parete del quartier generale del sindacato lampeggia un numero, il 6, 5 per cento. Questo è l’aumento in busta paga chiesto dalla IG Metall. L’azienda corre a tutta velocità e i sindacati passano alla cassa. Anche perché non si sa fino a quando potrà durare questa nuova età dell’oro. A metà marzo, in occasione della presentazione del bilancio 2011, il numero uno Winterkorn ha già messo le mani avanti. Per quest’anno, ha detto il manager, non si prevede un nuovo aumento degli utili, che, comunque, restano elevatissimi. Nel 2011 i profitti operativi del gruppo, quelli legati all’attività industriale, hanno raggiunto il 7 per cento dei ricavi. La Fiat, grazie più che altro al traino della Chrysler, arriva a malapena al 4 per cento. Il gruppo tedesco naviga nell’oro e può permettersi di finanziare agevolmente investimenti per oltre il 5 per cento del fatturato. In altre parole il denaro guadagnato non viene accumulato in cassaforte sotto forma di liquidità, come fa Marchionne ormai da anni. Alla Volkswagen le risorse servono invece a finanziare impianti, macchinari e soprattutto lo sviluppo di nuovi modelli. Tanta abbondanza diventa una garanzia per il futuro di Wolfsburg e del suo modello di gestione. Tra meno di due anni, nel 2014, scade la garanzia assoluta per i posti di lavoro. Il sindacato verrà chiamato a una nuova sfida, forse la più dura dal 1993, quando per far fronte a una crisi eccezionale ed evitare il taglio di 30 mila dipendenti si decise di ridurre a 28 ore l’orario di lavoro settimanale. Questa volta la concorrenza arriva dal lavoro a basso costo e iperflessibile così abbondante nel mondo globale. Non solo in Cina o in Sudamerica. A pochi chilometri da Wolfsburg, nei territori che un tempo erano Germania Est, le fabbriche offrono anche meno di 10 euro l’ora. Meno della metà dello stipendio lordo dell’operaio Volkswagen.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03 ... ne/198251/
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Monti lancia un messaggio chiaro a PD, CGIL e il resto della sinistra italiana:

http://www.corriere.it/politica/12_marz ... primopiano


Monti avvisa: «Se il Paese non è pronto, il governo potrebbe anche non restare»

«Ma finora l'Italia si è mostrata più pronta del previsto». Poi cita Andreotti: «Mi interessa lavorare, non tirare a campare»


MILANO - «Se il Paese attraverso le sue forze sociali e politiche non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro non chiederemmo di continuare per arrivare a una certa data». Il premier Mario Monti usa queste parole parlando della riforma del lavoro, rimarcando però che il Paese si è mostrato più pronto del previsto. Poi cita Giulio Andreotti, non per nome ma per quella frase ormai icona per ogni politico, quella sul tirare a campare o tirare le cuoia. Crisi? «Rifiuterei il concetto: a noi è stato chiesto di fare un'azione nell'interesse generale. Un illustrissimo uomo politico diceva: "meglio tirare a campare che tirare le cuoia". Per noi nessuna delle due espressioni vale perché l'obiettivo è molto più ambizioso della durata ed è fare un buon lavoro».

LA DATA DEL 2013 - Non serve agitare lo spettro di una crisi sulla riforma del mercato del lavoro, perché «rifiuterei il concetto stesso di crisi» e perché c'è un altro elemento che il Professore, da Seul, mette sotto agli occhi della politica: «Se il Paese, attraverso le sue forze sociali e politiche, non si sente pronto a quello che secondo noi è un buon lavoro, non chiederemo certo di continuare per arrivare a una certa data». Si voterà nel 2013 e Monti non nasconde ai giornalisti che Paesi sede di fondi sovrani e istituzioni private che investono anche nel nostro Paese hanno «il palpabile desiderio di capire se, come e quanto intensificare i loro investimenti in Italia», timorosi del ritorno di «vecchi vizi» come l'invadenza della politica nell'economia. È vero che «alla fine di questo test quando la politica tradizionale tornerà non sarà quella tradizionale» ma, se non bastasse, Monti avverte che «finora il Paese si è mostrato più pronto di quello che immaginassi e se qualche segno di scarso gradimento c'è stato è andato verso altri protagonisti del percorso politico. Ma non verso il governo».

KAZAKISTAN - In precedenza Monti aveva parlato dal Kazakistan, dopo aver avuto un colloquio con il premier kazako all'aeroporto di Astana. Lì con un gioco di parole, spiegava che si era trattato di «uno scalo tecnico di importanza politica». A bordo dell'Airbus di Stato che proseguiva la sua rotta verso Seoul, Monti prendeva atto con soddisfazione dei report che le banche consulenti del Paese ospite, come gli aveva riferito l'omologo Masimov, stilano sui progressi del risanamento in Italia. Ma non solo. Il premier rispondeva anche ai cronisti che gli chiedevano se fosse sereno nonostante le polemiche in Italia sul delicato fronte della riforma del mercato del lavoro: «Sento il peso di decisioni non facili» dettate dal fatto che la situazione «dell'Italia era piuttosto grave» ma abbiamo «cercato di essere equi nel distribuire i sacrifici» per risanare l'Italia.

RISPETTO PER LE PARTI - «La situazione dell'Italia come si trovava nel momento in cui ci è stata affidata questa responsabilità - aveva aggiunto - era, lo sappiamo tutti, piuttosto grave e abbiamo cercato in questi mesi di essere equi nel distribuire i sacrifici o i contributi delle diverse parti economiche e sociali al risanamento dell'Italia». «Poi - sottolineava- quando si tratta di lavoro, di sindacati, di forze sociali, di elemento umano è chiaro che il rispetto per tutti i soggetti coinvolti nella consultazione è grande».

IL PARLAMENTO - «Ci rendiamo conto delle difficoltà di ciascuno, e ci rendiamo conto che alla fine deve essere il Parlamento a decidere. Ed è responsabilità del governo quella di presentargli una proposta che riteniamo equa e abbastanza incisiva». Allo stesso tempo è dovere dell'Esecutivo «prospettare al Parlamento le ragioni per le quali, pur essendo le Camere sovrane, cercheremo di avere un risultato finale in tempi non troppo lunghi e che sia il più vicino possibile a quanto abbiamo presentato» concludeva Monti .

NON SARÀ FATTO A POLPETTE - Sulla stessa lunghezza d'onda del premier il ministro del Welfare Elsa Fornero. «Questa è una riforma seria ed equilibrata. Spero che i partiti capiscano: modifiche se ne possono fare, ma il governo non accetterà che questo disegno di legge venga snaturato o sia ridotto in polpette». In un colloquio con Repubblica, il ministro lancia un appello alle Camere: «Questo provvedimento potrà anche subire qualche cambiamento, ma chiediamo che il Parlamento sovrano ne rispetti l'impianto e i principi basilari. In caso contrario dovrà assumersi le sue responsabilità e il governo farà le sue valutazioni». Quanto alla formulazione «salvo intese». «Non vuol dire - spiega - che la discussione è ancora aperta e che per un'altra settimana riparte la giostra. Il provvedimento è quello».

Redazione Online
26 marzo 2012 | 19:19
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Monti avvisa: «Se il Paese non è pronto, il governo potrebbe anche non restare»

tantu piaciri a nocca :salut
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Paolo_Padano ha scritto:Monti avvisa: «Se il Paese non è pronto, il governo potrebbe anche non restare»

tantu piaciri a nocca :salut
Anche oggi dal lontano oriente ha rilanciato.
Stessa posizione tenuta ieri sera a ballarò da Catricalà che si può tradurre in un “o così o tutti a casa”.
Peccato che un simile aut aut non si sia registrato quando c’era da affrontare i tassisti, gli ordini professionali o piuttosto le banche e le loro commissioni.
E’ tutta una questione di coerenza, che mina le fondamenta di uno dei punti cardine della sua azione (la credibilità), la quale, se ci fosse stata avrebbe contribuito a mandar giù la “pillola” in modo meno doloroso.
Messa così diventa invece inaccettabile e bene fa Bersani a non lasciarsi intimorire.

Un capitolo a parte è rappresentato da quelli che io definisco gli utili idioti Bonanni e Angeletti , i quali, dopo aver assentito al tavolo, oggi hanno deciso scendere in piazza. Fantastico.
La speranza appartiene ai figli.
Noi adulti abbiamo già sperato e quasi sempre perso.
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io2 ha scritto:a me questa riforma piace molto, finalmente si rendono non convenienti i contratti a termine e si punta su quello indeterminato.
ma non si risolve il problema..il contratto a termine verrà pagato meno al lavoratore,anzi,potrebbe portare una dittà a non assumere proprio per i costi superiori dello stesso,specie se non hanno intenzione di avere personale a tempo indeterminato.
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Lo "scontro" è sempre più acceso, si potrebbe andare verso la fiducia al governo :


http://www.corriere.it/politica/12_marz ... 1649.shtml

L'Intervento dal giappone

Tensioni tra Monti e i partiti:
ora il Professore pensa alla fiducia

Il premier non intende fare passi indietro sulla riforma




I l primo gancio l'avevano assorbito, anche se dopo la citazione andreottiana i leader della «strana maggioranza» si erano interrogati sulle reali intenzioni di Monti. E durante il vertice per le riforme, l'altro ieri, erano nate due scuole di pensiero.
C'era chi sosteneva che il premier avesse voluto mandare un avvertimento ai partiti, che avesse voluto cioè solo spronarli per farli riallineare alla linea del governo. E c'era invece chi riteneva che il Professore - con l'approssimarsi della fase economica più difficile per gli italiani - avesse iniziato a scaricare le tensioni sulle forze politiche. Tutti comunque immaginavano che Monti non sarebbe andato oltre, nessuno pensava all'uno-due. Perciò l'uppercut di ieri li ha colti di sorpresa.


Ma c'è un motivo se l'Abc della politica ha reagito in modo diverso all'affondo del premier contro i partiti, se l'ex ministro Brunetta - incontrando Alfano - l'ha consigliato a tenere il Pdl fuori dal ring della polemica: «Tanto Monti non ce l'ha con noi ma con il Pd». È il provvedimento sul mercato del lavoro al centro dello scontro, e il Professore - che si è sentito politicamente e istituzionalmente «abbandonato» - non intende cedere né fare passi indietro rispetto all'impianto della riforma.
E poco importa se le tensioni provocate hanno incrinato anche i rapporti con il Colle. Il premier ne fa una questione di principio e una di merito. Intanto non accetta di esser stato chiamato a far «l'aggiustatore» per poi essere scaricato alla bisogna. L'idea poi di venir additato come una sorta di dittatore al soldo dei mercati e di mancare di rispetto alle prerogative del Parlamento, lo rende meno sobrio anche nel linguaggio. È pronto infatti alla mediazione sull'articolo 18, nel senso che è pronto a discutere una diversa formulazione della norma, ed è disposto - come è successo già per altri provvedimenti - ad accettare una «soluzione alternativa che sia confacente». Se così non fosse, però, presenterebbe il testo redatto dal governo, lo sigillerebbe con il voto di fiducia, e a quel punto «ognuno ne trarrebbe le conseguenze».


Il progetto è chiaro, e per Monti anche obbligato. Il fatto è che il suo percorso entra in rotta di collisione con il Pd, dove il profilo del Professore inizia ad assomigliare a quello del Cavaliere, e non perché il premier cita i sondaggi per tenersi a debita distanza dal giudizio che i cittadini hanno nei riguardi dei partiti. Bersani non intende cedere perché altrimenti vedrebbe minacciati gli «interessi della ditta». Ed è in quel nome che non desiste, anzi rilancia: nelle parole del presidente del Consiglio scorge una «minaccia», «così si aprono dei varchi pericolosi all'anti-politica».


Di pensierini andreottiani ne fanno anche al quartier generale dei Democrat, dove c'è chi immagina addirittura una manovra internazionale tesa a impedire che il Pd possa andare a palazzo Chigi. Non è dato sapere se il segretario condivida questa analisi, è certo che Bersani non accetta di fare il cireneo e di venire anche flagellato: «Ci è stato detto che l'emergenza economica imponeva di non disturbare più di tanto il manovratore. Ma poi la gente ferma me per strada...».


Ed è questo il punto. Dopo quattro mesi di governo, i provvedimenti lacrime e sangue varati da Monti iniziano ad impattare sul Paese: in questi giorni l'addizionale regionale Irpef sta alleggerendo le buste paga dei lavoratori; prima dell'estate l'Imu appesantirà le dichiarazioni dei redditi dei possessori di case; in autunno il secondo aumento dell'Iva farà galoppare ancor di più i prezzi... Il rischio per i partiti è che si realizzi la profezia di Bossi, quel «finché la gente non s'incazza» che è vissuto come un incubo da chi oggi sostiene l'esecutivo tecnico. Il rischio aggiuntivo per Bersani è che «l'opinione pubblica possa iniziare a pensare come si stava bene prima», cioè con Berlusconi...


Così nella «strana maggioranza» è iniziata una manovra degna di un equilibrista: stare con il Professore e tenersene però a distanza, appoggiare il governo senza tuttavia assecondarlo. Il gioco si è disvelato al crocevia della riforma sul mercato del lavoro ed è così che gli equilibri sono saltati. Persino Casini - che si era sempre schierato dalla parte del premier «senza se e senza ma» - nei giorni dello scontro tra palazzo Chigi e i sindacati si è defilato, prima dicendo che «ad una nuova legge noi preferiamo un buon accordo», poi avvisando che «il Parlamento non sarà un passacarte». E ieri, dopo le parole pronunciate da Monti in Estremo Oriente, ha criticato il linguaggio del Professore, definendolo un «errore di comunicazione».


Non si era mai visto in effetti un capo di governo che attacca così la propria maggioranza, per quanto «strana». Il fallo di reazione è stato commesso da chi si è reso conto di non avere più nemmeno la totale copertura del Colle. Il problema è che anche Napolitano ora ha pochi margini di manovra, dato che il Quirinale si è trasformato a sua volta in un parafulmini. Nel braccio di ferro tra il premier e il Pd, viene lambita infatti anche la figura del capo dello Stato, che ieri aveva invitato a rinviare il giudizio sulla riforma del mercato del lavoro «quando sarà presentato il testo». Bersani invece il giudizio l'ha dato, eccome, ravvisando «elementi di incostituzionalità» nel provvedimento. Il leader democratico ha ripreso la tesi sostenuta in Consiglio dei ministri dal titolare della Salute, Balduzzi, e definita dal Pdl «un'interpretazione sovietica del diritto».


Si attende il rientro di Monti per cercare un compromesso tra le ragioni dei tecnici e quelle dei politici. Nel frattempo ieri lo spread è risalito a quota 327.

Francesco Verderami
29 marzo 2012 | 9:20
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Lo spread schizza a 350, e di questo passo arriverà a breve a 400, spero che Monti metta la fiducia così almeno finisce l'agonia..visto che saranno tempi biblici e non penso ce lo possiamo permettere.
Paolo_Padano
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leggo da tutte le parti sui modleli tedesci, svedesi e compagnia bella, sicuramente c'è più flessibiliutà ma andete a vedere le loro tabelle salariali, con quegli stipendi ci sto alle grandi sfide contro la flessibilità
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Polillo: “Esodati, l’accordo si può annullare” Ma il ministero: “Se ha la ricetta faccia pure”
Il sottosegretario all'Economia: "Hanno firmato con le aziende; se cambiano le condizioni, secondo i principi dell'ordinamento giuridico, possono chiedere che sia nullo". Ma è smentito dal dicastero del Lavoro. La Cgil: "Improvvisazioni irresponsabili". L'Italia dei Valori: "Come fa a essere così superficiale?"
Anche sugli esodati il governo smentisce se stesso. E’ di nuovo il sottosegretario al Tesoro Gianfranco Polillo, non nuovo alle uscite in solitaria (si ricorderà quella sulle commissioni bancarie), a dare fuoco alle polveri, dichiarando a In Onda, su La7, che il problema degli esodati è presto risolto: “Gli accordi che i lavoratori hanno firmato con le aziende possono essere annullati. Tuttavia se la dichiarazione fa imbufalire l’Italia dei Valori provoca anche la reazione del ministero del Lavoro che, anche se non ufficialmente, manda a dire tramite le agenzie di stampa che “se Polillo ha la ricetta, se ne faccia carico personalmente”.

Polillo aveva parlato durante il programma de La7 dove aveva risposto senza tentennamenti alla domanda sugli esodati. Il senso delle sue risposte? Questo: il governo non si opporrà all’abolizione della norma che obbliga gli esodati a non lavorare e comunque gli esodati possono chiedere l’annullamento degli accordi presi con l’azienda. A giudizio del sottosegretario, infatti, “gli esodati hanno firmato un accordo con le aziende; se cambiano le condizioni che hanno legittimato quell’accordo, secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico, possono chiedere che quell’accordo sia nullo”.

Nel dettaglio, ha aggiunto, “abolire la norma che obbliga gli esodati a non lavorare? Siccome è una norma che non costa posso dire fin da adesso che il ministro dell’economia non si opporrà ad una norma di questo genere, in Parlamento ci sono orecchie sensibilissime su questo”. Più in generale, “io non so quelle che saranno le soluzione legislative prese, questo governo ha fatto dell’equità uno dei cardini della sua azione politica e non lasceremo per strada delle persone che non hanno nessuna colpa rispetto agli accordi che hanno sottoscritto con le aziende. Questo governo né quelli futuri potranno ignorare la loro situazione”.

Ma al sottosegretario, come detto, è arrivata la replica di un altro ministero, quello del Lavoro, oberato direttamente dalla intricatissima e complicata questione:. “Se il sottosegretario al ministero del Tesoro ha un buona ricetta per risolvere il problema degli esodati – mandano a dire fonti del dicastero tramite le agenzie – se ne faccia carico personalmente”.

La Cgil: “Improvvisazioni irresponsabili”. Di improvvisazione parla invece la Cgil, con il segretario nazionale Vera Lamonica: “La soluzione al problema dei lavoratori esodati va trovata per tutti gli interessati senza nuove lotterie e senza improvvisazioni irresponsabili come quella del sottosegretario Polillo” dichiara, chiedendo a questo punto se il sottosegretario parli o no “a nome del governo”. ”Se è così – prosegue Lamonica – siamo ansiosi di vedere tutte le aziende che hanno licenziato di riprendersi i lavoratori esodati, anche quelle aziende che non esistono più, o che non hanno più i servizi nei quali quei lavoratori erano impiegati, o che hanno riorganizzato funzioni e produzione. In un tempo in cui purtroppo il tema è diventato la libertà di licenziare si scopre che qualcuno nel governo pensa che si possano annullare accordi tra le parti, magari sottoscritti dallo stesso governo”. “E’ stata avvisata Confindustria? – si chiede ancora l’esponente Cgil -. C’è troppa propaganda e troppa improvvisazione da parte del governo. La verità è che rispetto ad una manovra sulle pensioni, sbagliata che ha prodotto gravi conseguenze sociali il governo non è in grado di indicare una soluzione e si arrampica sugli specchi”.

Idv: “Quale film ha visto Polillo?”. L’uscita del membro del governo ha fatto imbufalire anche l’Italia dei Valori: ”E’ pazzesco come il sottosegretario all’Economia riesca ad essere così superficiale su un tema tanto delicato come quello degli esodati, dicendo che essi possono annullare gli accordi presi con le aziende” scrive in una nota il responsabile lavoro e welfare Maurizio Zipponi. “Vorremmo ricordare a Polillo – aggiunge – che gli accordi di cui parla si chiamano Irisbus, Termini Imerese. Aziende che non ci sono più. In altri casi, gli accordi sono fondamentali per non far saltare per aria le imprese”.

“Non sappiamo quale film abbia visto il sottosegretario, ma – continua Zipponi – le conseguenze di una prospettiva simile sarebbero disastrose, poichè si lascerebbero per strada gli esodati o, nel caso di accordi per aziende in ristrutturazione, si farebbero saltare le aziende stesse, aggiungendo altre migliaia di lavoratori a quanti già stanno perdendo il posto. Sarà meglio che questo governo di professori studi un pò e si documenti prima di parlare sul destino delle persone”.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04 ... he/201683/


il governo dei somari,altro che dei professori...
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Pare che oramai sia fatta, con buona pace di tutti.


http://www.corriere.it/economia/12_apri ... 4509.shtml


Trovata l'intesa nell'esecutivo, il ddl è stato trasmesso alle Camere

Monti: «Lavoro, riforma storica per l'Italia»
Fornero: «Non blindare i lavoratori al posto»

Il presidente del Consiglio: dà prospettiva di crescita e intende realizzare un mercato dell'occupazione inclusivo e dinamico



MILANO - Il governo ha trovato un'intesa sulla riforma del mercato del lavoro, il cui Ddl è stato trasmesso al presidente Napolitano prima di passare al vaglio delle Camere. Il premier Mario Monti ha sottolineato che si tratta di una «riforma di rilievo storico per l'Italia». Lo ha detto il premier Mario Monti in una conferenza stampa a Palazzo Chigi con il ministro del Welfare, Elsa Fornero. «È una riforma che intende realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico - ha aggiunto il capo del governo -. È una riforma per la crescita e per il lavoro». Il capo del governo ha spiegato anche che la riforma delle pensioni viene considerata in tutto il mondo «un punto di avanguardia dell'economia e della società italiana» ipotizzando che anche quella del lavoro possa avere analogo riscontro. «La decisione del governo mette anche in campo un ammodernamento delle rete di sicurezza universale rendendo più efficiente, coerente ed equo l'assetto degli ammortizzatori sociali».

Monti: «Una riforma che rivoluzionerà il mercato del lavoro»«PIU' LAVORO E PRODUTTIVITA'» - Il ministro Fornero, dal canto suo, ha parlato di una riforma che dà molti più vantaggi che svantaggi, soprattutto a livello macro, con quello che ha definito «un guadagno netto per la collettività». Ovvero, «un mercato del lavoro capace di dare più occupazione». Fornero ha parlato poi dell'esigenza di arrivare ad una maggiore produttività del sistema nel suo complesso. «Abbiamo cercato di tenere conto degli interessi di tutto il Paese - ha poi sottolineato il ministro -, e non singole categorie. E di fare una riforma che sia per il medio e lungo periodo. Non è una riforma per il 2012 o il 2013. E' una riforma che guarda al futuro». E poi con una battuta ha indirettamente risposto alle parole pronunciate martedì dal segretario della Uil, Luigi Angeletti: «Saranno gli italiani a decidere se questo ministro debba essere licenziato per giusta causa».

I CONTRATTI - Fornero ha spiegato che l'obiettivo principale è che il contratto dominante diventi quello a tempo indeterminato, preceduto da un periodo di apprendistato. «Con una modifica equilibrata dell'art. 18 - ha sottolineato - non blindiamo più il lavoratore ad un singolo specifico posto di lavoro». L'idea è quella di combattere il «dualismo» tra ipergarantiti e iperflessibili. «Vogliamo ridurre l'area della precarietà contrastando la flessibilità cattiva» ha sintetizzato la responsabile del Welfare. Di qui anche la scelta di rendere più oneroso il contratto a tempo determinato, perchè «è un fattore produttivo e i fattori produttivi si pagano». Con conseguente recupero di risorse per il finanziamento dell'Aspi che coprirà gli ammortizzatori sociali.

GLI AMMORTIZZATORI - Il capitolo degli ammortizzatori è considerato fondamentale dal governo. L'Aspi, nelle intenzioni dell'esecutivo, è destinato ad essere universale, diversamente dagli attuali ammortizzatori - cassa integrazione, mobilità, etc - di cui usufruisce solo una parte dei lavoratori. «Circa 4 milioni su 12 milioni potenziali» ha sottolineato Fornero. «L'Aspi avrà la stessa entità degli attuali ammortizzatori - ha aggiunto - ma sarà per tutti e avrà una durata inferiore perché bisognerà lavorare sul reinserimento occupazionale e non sull'abbandono a se stessi dei lavoratori in cambio di un'indennità protratta magari per anni».

FLESSIBILITA' IN USCITA - «L'articolo 18 è stata una grande conquista, ma il mondo nel frattempo è cambiato - ha osservato ancora il ministro del Lavoro -. L'attuale rigidità in uscita contribuisce ad un deficit di investimenti esteri e ad una fuga di aziende italiane verso l'estero, una tendenza purtroppo già in atto». Per evitare un nuovo dualismo nel mercato del lavoro italiano, ha detto l'esponente del governo, è dunque stato scelto di non limitare la riduzione delle tutele ai soli giovani o ad un determinato lasso di tempo. Tra le novità c'è il ritorno del reintegro: nel caso di licenziamenti giustificati dalle aziende con la motivazione economica, il lavoratore potrà rivolgersi al giudice qualora ritenga che la motivazione stessa sia infondata. Il testo parla di «insussistenza» delle motivazioni: in questo caso il giudice potrà optare sia per il reintegro sia per l'indennizzo da 12 a 24 mensilità (nella prima versione si parlava del solo indennizzo per un importo pari a 15-27 mensilità).

L'INVITO DELLA FIOM - In chiusura di conferenza stampa il ministro ha spiegato di avere ricevuto un invito dalla Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil. «Credo che accetterò - ha annunciato -. Intendo spiegare a tutti lo spirito di questa riforma. So che c'è gente arrabbiata e pronta a contestare. Ma questa riforma è nell'interesse della collettività. Qualcuno, tra coloro che fino ad oggi si consideravano "blindati", potrà ritenersi più a rischio. Ma aumentano le prospettive per tutti quei lavoratori che fino ad oggi erano tenuti al di fuori della cittadella delle tutele».

BERSANI - Positivo il primo giudizio sulla riforma da parte del Pd. «Quell' articolo non è scritto con la mia penna ma è un passo avanti importantissimo e risponde alle ansia che si stava diffondendo in milioni di lavoratori» spiega il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani commentando il nuovo articolo 18 alla luce delle modifiche sui licenziamenti economici, auspicando «ora un percorso celere in Parlamento con perfezionamenti».

Redazione Online
4 aprile 2012 | 19:18
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Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.
Mariotta
Forumino Malato
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Iscritto il: 12/05/2011, 19:24

secondo quanto riportato da Vespa a Porta a Porta ieri, il testo della riforma pubblicato dal corriere conterrebbe degli errori :o.o:

...sarà stata una bozza, o il professore si è dimenticato di segnare gli errori in rosso? :fifi:
Il dolore ci rimette in mezzo alle cose in modo nuovo.
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