Buste paga: molta carta pochi soldi

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Il_Molestatore
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http://www.zoomsud.it/index.php?option= ... Itemid=136

LAVORARE A REGGIO. Busta paga da 1100 euro per 40 ore e se ne incassano 500 per 55 di ANTONIO CALABRO' - Ormai Reggio è ai vertici delle strategie aziendali di gestione del personale : superata ogni logica della contrattazione collettiva già da un decennio, è diventata un esempio mondiale sulle modalità d’uso e di pagamento dei lavoratori dipendenti.    Naturalmente non è stato facile giungere a tali livelli di perfezione; ci si è arrivati dopo vari passaggi, ai quali hanno collaborato, appassionatamente insieme,  le quattro grandi forze della città: l’economia, la politica, la massoneria e la ‘ndrangheta.  E solo grazie a questa proficua concertazione d’intenti se oggi Reggio è un esempio luminoso per le aziende di tutto il mondo.    Il primo e necessario atto da compiere, al quale hanno contribuito tutti i (lungimiranti) governi nazionali dall’Unità d’Italia in poi, è stato quello di creare un vasto bacino di disoccupati. Deve aggirarsi attorno al venticinque per cento della forza lavoro, e a Reggio tale risultato è stato raggiunto sin dagli anni sessanta. Nel 1987 i disoccupati sotto i 25 anni erano il 27 %. Oggi queste cifre fanno sorridere.    Questo passaggio è cruciale: costituisce infatti la “Garanzia” dei politici, il loro autentico mandato, la loro ragione di esistere, a parte la chiacchiere a vuoto e gli elefantiaci progetti pro-campagna elettorale.    Risalta, in modo esemplare, la diffusione trasversale del modello politico calabrese: superata ogni sciocca diatriba ideologica, destra, sinistra e centro sono compatti nella marcia verso la società perfetta, quella teorizzata dal premio Nobel Milton Friedman che ciarlava di “deregulation” già negli anni 60.    Ma a Reggio la deregulation è da anni roba vecchia. Qui le invenzioni e le sottigliezze per rendere più umana la vita delle aziende sono degne non di uno, ma di cento premi Nobel.    Fino a qualche anno fa si assumeva semplicemente in nero; senza contributi e con stipendi consoni allo status di poveri (se uno è povero deve prendere uno stipendio da povero, mi sembra logico), orari di lavoro dettati esclusivamente dalle esigenze commerciali, e gli altri diritti concessi paternamente col contagocce dal capo.    Poi i soliti comunisti hanno pensato bene d’inventare uffici di controllo tipo l’Ispettorato del Lavoro o gli Uffici Vertenze dei sindacati; ed allora si è cambiata strategia: buste paga finte per non dare nell’occhio, i famosi “contratti formazione lavoro” usati a volontà (con minime trasformazioni a tempo indeterminato), ed altre sottigliezze contabili.    Molte aziende continuano a fare buste paga finte, con l’ultima fantastica novità: rilasciano l’assegno circolare d’importo identico a quanto scritto in saldo alla busta, poi inviano il dipendente in banca a cambiarlo e si fanno restituire la differenza. Così il dipendente risulta percepire un salario di 1100 euro, ma in realtà ne prende 500. Così come risulta lavorare massimo 40 ore a settimana, ma arriva tranquillamente a 55-60, così come risulta godere delle ferie stabilite dal CCNL, ma ne usufruisce della metà, ed altre bellezze simili. Altro che deregulation. Milton Friedman nella tomba piange di gioia.    Ma il top è arrivato adesso, e proprio per merito di questo salto nel futuro che è il mondo della comunicazione commerciale: molti(non tutti) call-center sono i nuovi campi di cotone degli schiavi; le grandi aziende che concedono il franchising, proprio quelle che investono milioni euro in pubblicità luminose dove siamo tutti belli, ricchi, amici e innamorati, sono il top mondiale delle relazioni industriali.    Prendono un giovane, laureato naturalmente, perché a Reggio chi cerca lavoro è molto spesso laureato, gli promettono mari e monti, e poi gli fanno un contratto da “Stagista”. Questa è l’iperbole della creatività aziendale. La figura dello “Stagista”.    Lo “stagista” lavora appunto come un nero del 1848 nei campi di cotone della Virginia. Ma lo fa per apprendere il mestiere, naturalmente. Diventare commesso richiede una lunga e pesante preparazione infatti. Due, tre anni di stage a 500 euro al mese. Per non parlare poi di quanto tempo ci vuole ad imparare a telefonare ! Altro che anni ! Decenni.    Lo fanno per loro, ovviamente. I ragazzi devono fare gavetta, non è che quanto studiano un po’ di matematica e fisica o di letteratura e filosofia e subito hanno diritto ad uno stipendio normale. Ci vuole, la gavetta, è necessaria.  Inoltre così si è in regola con tutte le noiose pastoie burocratiche che impediscono al mercato del lavoro di esprimersi in libertà.    Tra altro, con una silente norma approvata dal rigoroso governo precedente, i controlli possono avvenire massimo una volta ogni sei mesi. Così, subitone uno, per 180 giorni si avrà mano libera totale.    Non è che tutti agiscono così: ci sono anche quelli, poveri illusi, che seguono una superata modalità etica fatta di correttezza e rigore. Ma vedrete che presto il mercato li condannerà,  e non gli resterà altra scelta che adeguarsi o chiudere.    Tutto questo luccicare di vetrine. Tutta questa pubblicità ridanciana. Tutto questo apparire lussuosi, dinamici. Tutto questo “Fare impresa”. Tutto questo è solo un maledetto tombino che nasconde questa maledetta fogna maleodorante che è il mercato del lavoro reggino  nel quale sguazzano, a bordo delle loro schifosissime auto di superlusso,  quei topi di fogna che sono gli imprenditori che sfruttano i dipendenti.    Possa la loro ricchezza andargli di traverso e strafogarli, a questi nemici del genere umano,vigliacchi impuniti, alleati di gangster e lestofanti, autentica “Malarazza” che contribuisce in modo decisivo alle sventure della nostra terra.
Le feci tener su le scarpe coi tacchi alti. Sono un freak.
Il corpo al naturale non lo reggo, ho bisogno di farmi ingannare.
Gli psichiatri hanno un termine specifico per questo,
ed io ho un termine specifico per gli psichiatri.
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:salut :salut :salut


anche a me è successo

contratto di 40 ore settimanali
ma ne facevo 45

busta paga da 1348,00€
ovviamente tutto pagato con assegno

ma in realtà dovevo tenermene solo 800€ e gli altri da restituire al mittente.

dopo 2 anni che continuava sta storia
mi sono ribellato con la titolare (chiedendo il mio stipendio per intero)
e ovviamente le mie ferie (mai avuto un gg in 2 anni)

lei non ha battuto ciglio e il giorno dopo mi ha presentato una lettera scritta da lei
(ma ovviamente a nome mio)
ed io ho dovuto aggiungere solo la firma
per le mie "dimissioni volontarie"
'' A Reggina Esti Comu U viagra... faci 'nchianari i cazzi "

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DoubleD ha scritto::salut :salut :salut


anche a me è successo

contratto di 40 ore settimanali
ma ne facevo 45

busta paga da 1348,00€
ovviamente tutto pagato con assegno

ma in realtà dovevo tenermene solo 800€ e gli altri da restituire al mittente.

dopo 2 anni che continuava sta storia
mi sono ribellato con la titolare (chiedendo il mio stipendio per intero)
e ovviamente le mie ferie (mai avuto un gg in 2 anni)

lei non ha battuto ciglio e il giorno dopo mi ha presentato una lettera scritta da lei
(ma ovviamente a nome mio)
ed io ho dovuto aggiungere solo la firma
per le mie "dimissioni volontarie"
bastava deneunciarla e non firmare
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goldenboy ha scritto:
bastava deneunciarla e non firmare

denunciare?
si si... poi devi aver paura di tornare a casa però

dipende sempre dai titolari, ricordalo!
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DoubleD ha scritto:
goldenboy ha scritto:
bastava deneunciarla e non firmare

denunciare?
si si... poi devi aver paura di tornare a casa però

dipende sempre dai titolari, ricordalo!

vero...ma calare la testa è peggio... in casa ci siamo passati,alla fine hanno pagato tutto :salut
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personalmente buste paga ne ho viste solo 8 in 41 anni..
ciesse
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di GIOACCHINO CRIACO* - Vado anch’io a Reggio, qualche volta. L’ho fatto venerdì scorso. Volevo comprare qualcosa, piccole cose da regalare. Ho passato il pomeriggio, avanti e indietro, sul corso di Reggio Calabria. La strada era piena di gente, tutti in giro a far compere pensavo, come è normale del resto nel fine settimana.

Qualcosa non quadrava però. Tutti in giro, ma tutti a mani vuote. Ho fatto una piccola statistica personale, per quel che può valere. Solo un passante su dieci aveva un sacchetto in mano. Ho iniziato a guardare le vetrine, per scegliere i regali. Fuori era pieno di gente che guardava, dovevi sgomitare per un posto in prima fila. Dentro il deserto. Un cliente, due, nessuno. Per tutto il corso era così. Spento era lo sguardo delle commesse dentro i negozi di lusso e anche in quelli a buon mercato. Fra le scarpe, i cappotti, i telefoni. Sguardi spenti che si illuminavano per un attimo incrociando un potenziale cliente, per spegnersi subito dopo, quando il passante andava oltre a illudere qualcun altro.

Un vuoto assoluto che non avevo mai visto prima. Nessuno comprava se non cose da poco. A fine anno si saranno fatti i conti e i tanti, tutti, commercianti che speravano di raddrizzare gli affari con le feste si saranno ritrovati la cassa vuota. E le tante, tutte, le commesse del centro che speravano di allungarsi il lavoro con le feste, si saranno ritrovate a gennaio a evitare lo sguardo dei proprietari, tappandosi le orecchie per non sentire i ti devo parlare, che avrebbero significato solo resti a casa, il lavoro è finito.

Avevo la carta di credito intonsa, carica dei 1.500 euro di disponibilità mensile, così ho scelto i negozi più vuoti, le commesse più tristi. Ho fatto spese pazze, e preso tante di quelle cose da riempire l’auto. Cose inutili si intende. Ma anch’io ho un cuore e pagherei milioni per un sorriso di ragazza. Ma all’ennesimo negozio visitato, il sorriso della commessa si smorza, la piega della bocca diventa smorfia. La commessa mi ha guardato come fossi un truffatore. Non lo sono ma il credito era esaurito e la transazione rifiutata.

Mi sono messo a pensare. A quando Reggio era grande, quando era la Rise carolingia e dal suo porto salpavano le navi cariche dei paladini di Riccardo cuor di leone. Ho visto la Croce di Turpino benedire i crociati. Ho udito declamare i versi della Chanson d’Aspromonte. E indietro e avanti ho ripercorso la splendida storia di una città magica, quella di Morgana. Sono arrivato in avanti fino al ciclo magico di Falcomatà, carico di speranze e avrei voluto, nonostante i miei sinistri ideali, che proseguisse col giovane Scopelliti.

E ora, abbasso gli occhi davanti a quelli di una commessa del centro, mi dico che Reggio chiude. E chiude male, sotto buchi di bilancio, accessi antimafia al Comune, crisi economica e ideale. Chiude con la sparizione di una politica forte, autonoma, coesa oltre gli schieramenti. E mi spiace, nonostante io venga dalla Locride e dentro mi scorra il ricordo di contrasti secolari, amo Reggio. E solo una Reggio forte potrebbe dare aria alla Locride e speranza alla Calabria. Ma Reggio chiude e chiude nell’ignominia di un 27% di densità mafiosa. Chiude sotto il peso di una falsa realtà alla quale solo pochi illusi si oppongono. Ho guardato nel fondo dell’anima della commessa, ho visto le speranze tradite, sue e di una città. Non potevo farci nulla, ho ritirato la carta di credito e salutato. Reggio chiude, bella ciao.

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ciesse ha scritto:di GIOACCHINO CRIACO* - Vado anch’io a Reggio, qualche volta. L’ho fatto venerdì scorso. Volevo comprare qualcosa, piccole cose da regalare. Ho passato il pomeriggio, avanti e indietro, sul corso di Reggio Calabria. La strada era piena di gente, tutti in giro a far compere pensavo, come è normale del resto nel fine settimana.

Qualcosa non quadrava però. Tutti in giro, ma tutti a mani vuote. Ho fatto una piccola statistica personale, per quel che può valere. Solo un passante su dieci aveva un sacchetto in mano. Ho iniziato a guardare le vetrine, per scegliere i regali. Fuori era pieno di gente che guardava, dovevi sgomitare per un posto in prima fila. Dentro il deserto. Un cliente, due, nessuno. Per tutto il corso era così. Spento era lo sguardo delle commesse dentro i negozi di lusso e anche in quelli a buon mercato. Fra le scarpe, i cappotti, i telefoni. Sguardi spenti che si illuminavano per un attimo incrociando un potenziale cliente, per spegnersi subito dopo, quando il passante andava oltre a illudere qualcun altro.

Un vuoto assoluto che non avevo mai visto prima. Nessuno comprava se non cose da poco. A fine anno si saranno fatti i conti e i tanti, tutti, commercianti che speravano di raddrizzare gli affari con le feste si saranno ritrovati la cassa vuota. E le tante, tutte, le commesse del centro che speravano di allungarsi il lavoro con le feste, si saranno ritrovate a gennaio a evitare lo sguardo dei proprietari, tappandosi le orecchie per non sentire i ti devo parlare, che avrebbero significato solo resti a casa, il lavoro è finito.

Avevo la carta di credito intonsa, carica dei 1.500 euro di disponibilità mensile, così ho scelto i negozi più vuoti, le commesse più tristi. Ho fatto spese pazze, e preso tante di quelle cose da riempire l’auto. Cose inutili si intende. Ma anch’io ho un cuore e pagherei milioni per un sorriso di ragazza. Ma all’ennesimo negozio visitato, il sorriso della commessa si smorza, la piega della bocca diventa smorfia. La commessa mi ha guardato come fossi un truffatore. Non lo sono ma il credito era esaurito e la transazione rifiutata.

Mi sono messo a pensare. A quando Reggio era grande, quando era la Rise carolingia e dal suo porto salpavano le navi cariche dei paladini di Riccardo cuor di leone. Ho visto la Croce di Turpino benedire i crociati. Ho udito declamare i versi della Chanson d’Aspromonte. E indietro e avanti ho ripercorso la splendida storia di una città magica, quella di Morgana. Sono arrivato in avanti fino al ciclo magico di Falcomatà, carico di speranze e avrei voluto, nonostante i miei sinistri ideali, che proseguisse col giovane Scopelliti.

E ora, abbasso gli occhi davanti a quelli di una commessa del centro, mi dico che Reggio chiude. E chiude male, sotto buchi di bilancio, accessi antimafia al Comune, crisi economica e ideale. Chiude con la sparizione di una politica forte, autonoma, coesa oltre gli schieramenti. E mi spiace, nonostante io venga dalla Locride e dentro mi scorra il ricordo di contrasti secolari, amo Reggio. E solo una Reggio forte potrebbe dare aria alla Locride e speranza alla Calabria. Ma Reggio chiude e chiude nell’ignominia di un 27% di densità mafiosa. Chiude sotto il peso di una falsa realtà alla quale solo pochi illusi si oppongono. Ho guardato nel fondo dell’anima della commessa, ho visto le speranze tradite, sue e di una città. Non potevo farci nulla, ho ritirato la carta di credito e salutato. Reggio chiude, bella ciao.

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stesse impressioni che ho avuto io sotto feste in giro per il corso....
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Non c'è nenti!
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ciesse ha scritto:di GIOACCHINO CRIACO* - Vado anch’io a Reggio, qualche volta. L’ho fatto venerdì scorso. Volevo comprare qualcosa, piccole cose da regalare. Ho passato il pomeriggio, avanti e indietro, sul corso di Reggio Calabria. La strada era piena di gente, tutti in giro a far compere pensavo, come è normale del resto nel fine settimana.

Qualcosa non quadrava però. Tutti in giro, ma tutti a mani vuote. Ho fatto una piccola statistica personale, per quel che può valere. Solo un passante su dieci aveva un sacchetto in mano. Ho iniziato a guardare le vetrine, per scegliere i regali. Fuori era pieno di gente che guardava, dovevi sgomitare per un posto in prima fila. Dentro il deserto. Un cliente, due, nessuno. Per tutto il corso era così. Spento era lo sguardo delle commesse dentro i negozi di lusso e anche in quelli a buon mercato. Fra le scarpe, i cappotti, i telefoni. Sguardi spenti che si illuminavano per un attimo incrociando un potenziale cliente, per spegnersi subito dopo, quando il passante andava oltre a illudere qualcun altro.

Un vuoto assoluto che non avevo mai visto prima. Nessuno comprava se non cose da poco. A fine anno si saranno fatti i conti e i tanti, tutti, commercianti che speravano di raddrizzare gli affari con le feste si saranno ritrovati la cassa vuota. E le tante, tutte, le commesse del centro che speravano di allungarsi il lavoro con le feste, si saranno ritrovate a gennaio a evitare lo sguardo dei proprietari, tappandosi le orecchie per non sentire i ti devo parlare, che avrebbero significato solo resti a casa, il lavoro è finito.

Avevo la carta di credito intonsa, carica dei 1.500 euro di disponibilità mensile, così ho scelto i negozi più vuoti, le commesse più tristi. Ho fatto spese pazze, e preso tante di quelle cose da riempire l’auto. Cose inutili si intende. Ma anch’io ho un cuore e pagherei milioni per un sorriso di ragazza. Ma all’ennesimo negozio visitato, il sorriso della commessa si smorza, la piega della bocca diventa smorfia. La commessa mi ha guardato come fossi un truffatore. Non lo sono ma il credito era esaurito e la transazione rifiutata.

Mi sono messo a pensare. A quando Reggio era grande, quando era la Rise carolingia e dal suo porto salpavano le navi cariche dei paladini di Riccardo cuor di leone. Ho visto la Croce di Turpino benedire i crociati. Ho udito declamare i versi della Chanson d’Aspromonte. E indietro e avanti ho ripercorso la splendida storia di una città magica, quella di Morgana. Sono arrivato in avanti fino al ciclo magico di Falcomatà, carico di speranze e avrei voluto, nonostante i miei sinistri ideali, che proseguisse col giovane Scopelliti.

E ora, abbasso gli occhi davanti a quelli di una commessa del centro, mi dico che Reggio chiude. E chiude male, sotto buchi di bilancio, accessi antimafia al Comune, crisi economica e ideale. Chiude con la sparizione di una politica forte, autonoma, coesa oltre gli schieramenti. E mi spiace, nonostante io venga dalla Locride e dentro mi scorra il ricordo di contrasti secolari, amo Reggio. E solo una Reggio forte potrebbe dare aria alla Locride e speranza alla Calabria. Ma Reggio chiude e chiude nell’ignominia di un 27% di densità mafiosa. Chiude sotto il peso di una falsa realtà alla quale solo pochi illusi si oppongono. Ho guardato nel fondo dell’anima della commessa, ho visto le speranze tradite, sue e di una città. Non potevo farci nulla, ho ritirato la carta di credito e salutato. Reggio chiude, bella ciao.

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Racconto romanzato ma la sostanza è quella.
Purtroppo quella di "detrarre" dalla busta paga ongi tipo di spesa per il datore di lavoro è prassi oltremodo diffusa a Reggio, ad ogni livello.
Sono davvero poche le imprese che si comportano secondo legge... e fanno fatica a stare su questo mercato drogato.
Denunciate e ribellatevi ma soprattutto non accettate compromessi.
Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.
Mariotta
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ciesse ha scritto:di GIOACCHINO CRIACO* - Vado anch’io a Reggio, qualche volta. L’ho fatto venerdì scorso. Volevo comprare qualcosa, piccole cose da regalare. Ho passato il pomeriggio, avanti e indietro, sul corso di Reggio Calabria. La strada era piena di gente, tutti in giro a far compere pensavo, come è normale del resto nel fine settimana.

Qualcosa non quadrava però. Tutti in giro, ma tutti a mani vuote. Ho fatto una piccola statistica personale, per quel che può valere. Solo un passante su dieci aveva un sacchetto in mano. Ho iniziato a guardare le vetrine, per scegliere i regali. Fuori era pieno di gente che guardava, dovevi sgomitare per un posto in prima fila. Dentro il deserto. Un cliente, due, nessuno. Per tutto il corso era così. Spento era lo sguardo delle commesse dentro i negozi di lusso e anche in quelli a buon mercato. Fra le scarpe, i cappotti, i telefoni. Sguardi spenti che si illuminavano per un attimo incrociando un potenziale cliente, per spegnersi subito dopo, quando il passante andava oltre a illudere qualcun altro.

Un vuoto assoluto che non avevo mai visto prima. Nessuno comprava se non cose da poco. A fine anno si saranno fatti i conti e i tanti, tutti, commercianti che speravano di raddrizzare gli affari con le feste si saranno ritrovati la cassa vuota. E le tante, tutte, le commesse del centro che speravano di allungarsi il lavoro con le feste, si saranno ritrovate a gennaio a evitare lo sguardo dei proprietari, tappandosi le orecchie per non sentire i ti devo parlare, che avrebbero significato solo resti a casa, il lavoro è finito.

Avevo la carta di credito intonsa, carica dei 1.500 euro di disponibilità mensile, così ho scelto i negozi più vuoti, le commesse più tristi. Ho fatto spese pazze, e preso tante di quelle cose da riempire l’auto. Cose inutili si intende. Ma anch’io ho un cuore e pagherei milioni per un sorriso di ragazza. Ma all’ennesimo negozio visitato, il sorriso della commessa si smorza, la piega della bocca diventa smorfia. La commessa mi ha guardato come fossi un truffatore. Non lo sono ma il credito era esaurito e la transazione rifiutata.

Mi sono messo a pensare. A quando Reggio era grande, quando era la Rise carolingia e dal suo porto salpavano le navi cariche dei paladini di Riccardo cuor di leone. Ho visto la Croce di Turpino benedire i crociati. Ho udito declamare i versi della Chanson d’Aspromonte. E indietro e avanti ho ripercorso la splendida storia di una città magica, quella di Morgana. Sono arrivato in avanti fino al ciclo magico di Falcomatà, carico di speranze e avrei voluto, nonostante i miei sinistri ideali, che proseguisse col giovane Scopelliti.

E ora, abbasso gli occhi davanti a quelli di una commessa del centro, mi dico che Reggio chiude. E chiude male, sotto buchi di bilancio, accessi antimafia al Comune, crisi economica e ideale. Chiude con la sparizione di una politica forte, autonoma, coesa oltre gli schieramenti. E mi spiace, nonostante io venga dalla Locride e dentro mi scorra il ricordo di contrasti secolari, amo Reggio. E solo una Reggio forte potrebbe dare aria alla Locride e speranza alla Calabria. Ma Reggio chiude e chiude nell’ignominia di un 27% di densità mafiosa. Chiude sotto il peso di una falsa realtà alla quale solo pochi illusi si oppongono. Ho guardato nel fondo dell’anima della commessa, ho visto le speranze tradite, sue e di una città. Non potevo farci nulla, ho ritirato la carta di credito e salutato. Reggio chiude, bella ciao.

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eh già. Solo in pochi illusi. E aundi su?
Il dolore ci rimette in mezzo alle cose in modo nuovo.
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