sconfiggeremo la 'ndrangheta''..parola di pentito....

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http://www.strill.it/index.php?option=c ... &Itemid=86

di Claudio Cordova - “Collaborate con la giustizia, sconfiggiamo insieme la ‘ndrangheta”. Non è l’appello del leader di un movimento antimafia, ma quello del collaboratore di giustizia Consolato Villani, un soggetto imparentato con il clan Lo Giudice e condannato a trent’anni di reclusione per l’omicidio dei due carabinieri Fava e Garofalo, assassinati in un agguato nei primi anni ‘90.

Il collaboratore è stato ascoltato nell’ambito del procedimento “Agathos”, che vede alla sbarra, in particolare, il boss Carmelo Murina, ritenuto il capo del rione di Santa Caterina, periferia nord di Reggio Calabria. Il collaboratore, citato in aula dal pubblico ministero Giuseppe Lombardo, che negli ultimi mesi lo ha ascoltato decine di volte per tentare di ricostruire le dinamiche criminali della ‘ndrangheta cittadina, si è soffermato per diverse ore sull’importanza della cosca Tegano, sui suoi collegamenti con il clan Lo Giudice, cui era affiliato fino al momento della collaborazione, e sul ruolo, appunto, di Murina in seno all’organizzazione criminale.

Ma la parte più intensa, per certi versi toccante, della deposizione di Villani, arriva quando l’avvocato Francesco Calabrese, uno dei difensori di Carmelo Murina, chiede informazioni, in sede di controesame, sui motivi che hanno spinto Villani, legato da rapporti di sangue con Nino Lo Giudice e con gli altri esponenti del clan, a passare dalla parte della giustizia: “Volevo cambiare modo di vivere, ho fatto del male a delle persone, la ‘ndrangheta mi ha rovinato la vita”. Mentre Villani racconta la propria storia, ciò che portò all’omicidio dei carabinieri, in aula non vola una mosca. Anche i parenti degli imputati, che pure, nel corso dell’udienza, sono stati ripresi, anche dal pm Lombardo, non fiatano: “Avevo sedici anni, fui trascinato in quella storia da Giuseppe Calabrò, che poi rese una versione dei fatti non corrispondente al vero: io guidavo solo la macchina, non ero cosciente di ciò che stavo facendo, ero stato plagiato da quel pazzo”.

Collegato in videoconferenza da una località protetta, Villani lancia un messaggio accorato che sembra sincero. Sicuramente più efficace di tante pubblicità progresso: “Prima non riuscivo a guardare negli occhi le mie due bambine – dice – non stavo bene, non volevo farle crescere in un ambiente di violenza. Adesso, invece, sto bene, le abbraccio con orgoglio”. Una scelta non facile, quella di Villani, che con le proprie dichiarazioni ha contribuito a far finire in galera i propri parenti: “Ho reso dichiarazioni contro il mio stesso sangue ed
è una cosa che non auguro a nessuno. Ma sono fiero di quello che ho fatto” afferma ancora.

Stando alle sue parole, Villani potrebbe essere uno dei pochi collaboratori di giustizia a meritare, a tutti gli effetti, l'appellativo di "pentito". Alla fine dell'intervento in aula, infatti, arriva la parte più emozionante: “Chiedo perdono alle famiglie dei due carabinieri e chiedo a tutti gli uomini della criminalità organizzata di collaborare. Non siamo uomini, siamo bestie, ma insieme possiamo sconfiggere la ‘ndrangheta”.
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