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Cisterna smentisce contrasti tra Dna e DDa ma invita alla moderazione, "anche nell'orchestrare le fughe di notizie"...
Domenica 15 Maggio 2011 20:08
Dal Procuratore Aggiunto Direzione Nazionale Antimafia, Alberto Cisterna, riceviamo e pubblichiamo
Caro Direttore, apparteniamo a una città in cui ciascuno di noi vive in una sfera di cristallo, in un palcoscenico in cui tutto della propria vita, della propria carriera, finanche dei propri errori è noto a molti, se non a tutti. Potrei, quindi, invocare venticinque anni di carriera, decine di ergastoli, la cattura di alcuni tra i più pericolosi latitanti della ndrangheta. Scelgo, invece, la linea dei documenti e delle prove inoppugnabili. Ma, intanto, per tranquillizzare l’opinione pubblica della nostra città, mi faccia precisare che i rapporti di collaborazione tra la Procura di Reggio e la DNA sono ottimi. Tra l’altro, tra Grasso e Pignatone, i capi dei due uffici, esiste un legame umano e professionale molto denso che impedisce disaccordi o tensioni. Grasso lo ha ricordato di recente anche in televisione da Fazio davanti a milioni di italiani: il nostro nemico comune sono le mafie e nessuno speri di dividerci su questo terreno.
Ciò posto, mi rendo conto sia inusuale che io mi esponga in prima persona in questa vicenda, ma l’accumularsi di fatti inquietanti, ancora non si capisce bene da chi pilotati, e la distribuzione “a rate” di brandelli di atti e di verbali, perfino fornendo sottili interpretazioni giuridiche, consigliano di mettere alcuni punti fermi.
Nessuno, caro Direttore, certamente non io, accetterebbe la divisione in cittadini di serie A e di serie B dinnanzi alla legge e alle dichiarazioni dei pentiti. Il punto da tenere fermo è che le dichiarazioni di chiunque, pentito o no, senza riscontri sono solo aria fritta. Chiarisco per l’ennesima volta che nessuno discute dell’attendibilità del pentito Lo Giudice Antonino, attendibilità però che non costituisce un atto di fede, ma la risultante tra ciò che il Lo Giudice dice e ciò che i magistrati hanno riscontrato sulle sue dichiarazioni, sia a Reggio che a Catanzaro. Lo Giudice, quindi, è sicuramente attendibile quando le cose che dice vengono riscontrate e verificate dai magistrati ed è altrettanto sicuramente un calunniatore quando riferisce cose smentite dai fatti e, nel mio caso, anche dalle sue stesse parole.
Invece, circolano spezzoni di verbali, tracce di intercettazioni in cui si registrano i colloqui di soggetti e, per ora, mi fermo solo su alcune anomalie. Anomalie ben evidenti negli atti, ma curiosamente ignorate a vantaggio di incomprensibili obiettivi.
Faccio a lei e ai suoi lettori un esempio decisivo che da solo modifica in modo radicale tutte le insinuazioni e le calunnie fin qui accumulate in questa storia. C’è una intercettazione ambientale, quella del 20 maggio 2010, tra Lo Giudice Luciano e la moglie Florinda, registrati a loro insaputa in un carcere del Nord, che viene sistematicamente manipolata prima di essere data in pasto alla pubblica opinione, nonostante che una nota ANSA del 16 aprile 2011, di esemplare chiarezza, abbia informato tutti i giornalisti italiani su come stavano esattamente le cose.
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Leggiamola tutta intera questa intercettazione, senza maliziose cancellature «Luciano riferisce a Florinda (la moglie, ndr) di mettersi in contatto con l'avvocato di Roma (il sottoscritto, ndr) per un incontro con lui che va al modello 13 comunica che come arriva a Reggio di chiamare l'avvocato di Roma e di dirgli "... ha detto Luciano che APPENA METTE PIEDE A REGGIO VA IN MATRICOLA E SI SEGNA CHE VUOLE PARLARE CON VOI, PERCHÉ VUOLE COLLABORARE CON VOI.>> Lei dice che lo farà, si lamenta (Luciano, ndr) che sono sette mesi che è dentro, dice che se vogliono, di dirglielo che gli avvocati se li toglie e poi li raggiunge (aggiunge, ndr) a modo suo, COSÌ ESCE LUI (LUCIANO, NDR) E NE ENTRANO CENTO, NOVANTANOVE DELLA QUESTURA E QUALCHE MAGISTRATO PURE».
E’ un proposito evidente, quello di Lo Giudice Luciano: si vuole pentire affidandosi a me. Invece, anche oggi, questa decisiva intercettazione viene maliziosamente manipolata, cancellando il diretto collegamento tra la volontà del Lo Giudice di pentirsi e la sua richiesta di colloquio con me che finisco con il sembrare, e non si sa perché, come convocato da un detenuto. E’ del tutto evidente che userò tutti gli strumenti di legge per i gravi danni arrecati al mio onore e alla mia professionalità.
Nessuno può far finta, perfino ora parecchio tempo dopo quel 20 maggio 2010, di non aver capito. Lo Giudice mi indica come «l’avvocato di Roma». (E apro qui una parentesi: con “l’avvocato di Roma” i Lo Giudice indicano persone diverse. E’ facilmente comprensibile dalla lettura dei documenti ed è questione che verrà chiarita a chi di dovere).
In quel 20 maggio 2010, però, a Tolmezzo con l’espressione «l’avvocato di Roma» Lo Giudice Luciano e sua moglie si riferiscono certamente a me, e non come in quasi tutte le altre occasioni, ai suoi reali avvocati o ad altre persone. Il «modello 13», caro Direttore, è il modulo con cui i detenuti chiedono di parlare con un magistrato senza la presenza del proprio difensore; il primo passo quando un detenuto vuole collaborare con la giustizia. Quindi Lo Giudice dice di voler cambiare avvocati su richiesta del magistrato con cui farà il colloquio (cioè col sottoscritto), poiché nessuno si pente alla presenza del proprio difensore di fiducia.
E poi affida alla moglie una chiarificatrice anticipazione che suona testualmente: «così esce lui (Lo Giudice Luciano dal carcere, ndr) e ne entrano cento, novantanove della Questura e qualche magistrato pure».
Insomma, Lo Giudice Luciano intende creare un vero e proprio sconquasso. Per crearlo vuole rivolgersi a me evidentemente considerandomi distante dai presunti «cento», a suo parere, corrotti. Rileggo: «APPENA METTE PIEDE A REGGIO VA (Lo Giudice Luicano ndr) IN MATRICOLA E SI SEGNA CHE VUOLE PARLARE CON VOI, PERCHÉ VUOLE COLLABORARE CON VOI (cioè con me ndr)».
Ho letto questa intercettazione il 16 febbraio 2011 e mi sono chiesto cosa sarebbe accaduto se la moglie o altri mi avessero informato. Forse ci saremmo risparmiati la bomba contro l’abitazione di Salvatore Di Landro e il bazooka contro Pignatone. Ma non sono rimasto sorpreso, anche perché il 3 marzo 2010 Lo Giudice mi aveva spedito in ufficio un telegramma: «Mi hanno trasferito a Tolmezzo vorrei vedervi al più presto nell'attesa vi mando un abbraccio Luciano». Avevo intuito da quel telegramma che Lo Giudice si volesse consegnare alla giustizia. Per questo informai per iscritto immediatamente il procuratore Grasso perché valutasse l’invio di un altro magistrato (io non mi occupavo più di questioni calabresi) a Tolmezzo per interrogare il Lo Giudice. Tutto mi sembra chiarissimo, voleva pentirsi. Punto e basta.
Così sono andate le cose. Non si abusi oltre della mia pazienza quando tutti, e ripeto tutti, i verbali del pentito saranno noti mi si dice che ne vedremo delle belle e invito tutti, e ripeto tutti, a non prestarsi alla scrittura di uno sceneggiato a puntate che ancor prima dei fatti tenti un linciaggio costruito sulle chiacchiere e la suggestione.
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Un ultimo punto. In Sicilia la cattura di latitanti di primo piano, penso, da ultimo, a capi mafia come Nicchi e Falsone, è avvenuta con la conclamata e pubblicizzata collaborazione dei servizi di informazione che sono un pilastro della Nazione, al di là di qualche vicenda. La cattura di Pasquale Condello, e di altri primari latitanti non solo calabresi, è stata una priorità assoluta, anche per il mio ufficio allora retto da Piero Vigna. Il ROS con un sacrificio enorme ha raggiunto questo straordinario risultato sotto la guida di Salvatore Boemi e un decennio di indagini svolte con raro impegno di Francesco Mollace, Giuseppe Lombardo, Mario Andrigo ed altri. Io e i miei colleghi in DNA abbiamo fatto ciascuno la propria parte. Per anni nessuno ha saputo nulla, nessuno ha fatto conferenze stampa o rilasciato interviste. Mai abbiamo messo in pericolo la vita di qualcuno.
Constato il danno subito. Per mesi ho taciuto pur di fronte ad azioni scriteriate per tutelare gli interessi superiori dello Stato. Continuo a farlo. Invito, però, tutti alla moderazione, anche nell’orchestrare le fughe di notizie.
Alberto Cisterna - Procuratore Aggiunto Direzione Nazionale Antimafia