Penati indagato per corruzione

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doddi
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http://www.ilgiornale.it/interni/bersan ... comments=1


Tangenti, Bersani insiste ancora: "Noi del Pd però siamo diversi..."
di Redazione
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Bersani in una lettera al Corriere: "Non rivendichiamo una diversità genetica, ma una diversità politica". Poi però ammette: "Non siamo immuni da sospetti". Penati annuncia le sue dimissioni da vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia. I pm: Di Caterina come Greganti. "100 milioni a Botteghe oscure". E si riapre pure il dossier Serravalle

Roma - "Noi non rivendichiamo una diversità genetica. Vogliamo dimostrare una diversità politica". Con queste parole il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, rompe finalmente il silenzio e commenta lo scandalo tangenti che ha colpito l'ex responsabile della segreteria, Filippo Penati. Per questo motivo, sottolinea l'esponente del Pd, "la magistratura faccia serenamente e fino in fondo il suo mestiere", con l'auspicio che Penati "possa vedere presto riconosciuta l’innocenza che rivendica con tanta forza".

"Non siamo immuni da sospetti" Bersani scrivendo una lettera al Corriere della Sera chiarisce quali sono i principi del partito nell’affrontare la vicenda che ha coinvolto Penati, indagato per corruzione, concussione e finanziamenti illeciti del partiti in merito all'inchiesta della procura di Monza sull'area Falck, dimessosi dai suoi incarichi nel Pd. "Il Pd è totalmente estraneo - prosegue Bersani - ai fatti oggetto di indagine a Monza e altrove. Ci tuteliamo e ci tuteleremo in ogni sede legale, contro chiunque affermi o insinui il contrario. In caso di inchiesta, le istituzioni e il partito, in attesa che le cose si chiariscano, non devono essere messi in imbarazzo e devono poter agire in piena serenità".

La questione morale Ma, Bersani non nega il "turbamento che ci viene dalle indagini in corso. Sappiamo, anche per il futuro, di non poter essere immuni da sospetti più o meno fondati e da rischi. Dobbiamo aprire quattro occhi e fare tutto quanto ci è possibile per migliorare procedure di garanzia ed evitare che venga oscurata la nostra missione".

Una legge anti corruzione Poi rilancia "una legge sui partiti che garantisca bilanci certificati, meccanismi di partecipazione e codici etici pena l’inammissibilità a provvidenza pubbliche o alla presentazione di liste elettorali". E' arrivato inoltre, secondo Bersani, il momento di approvare "una legge anti corruzione da troppo tempo insabbiata dal governo in Parlamento", per "togliere l’acqua in cui la corruzione può nuotare".




Della serie quando la salamella del festival dell'unità e l'euro "primario" non bastano neppure per la fotocopiatrice, ... latriceddhi :fifi: :fifi:
Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.
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http://www.libero-news.it/news/790587/I ... valle.html

Milano
Il sistema Pd viaggiava sulla Milano-SerravalleGavio, Binasco e la storia complicata dell'autostrada: "Bersani ordinava, Penati eseguiva" / MOTTOLA

«Bersani ha già parlato con lui (Penati) e gli ha detto che non decide niente».
Marcellino Gavio - storico latitante di Tangentopoli deceduto nel 2009 - lo diceva già nel 2004. La linea la detta la segreteria romana, non si può fare affidamento sui pesci piccoli. E Filippo Penati all’epoca rientrava nella categoria. Gavio lo ripeteva al telefono con Bruno Binasco, oggi indagato nell’inchiesta di Monza su mazzette e finanziamento illecito dei partiti. Telefonate che, rilette oggi, potrebbero tranquillamente far nascere il sospetto che il cosiddetto sistema-Penati non si fermasse a Sesto San Giovanni.

Le chiamate in questione riguardano l’operazione Serravalle, atto più significativo dei cinque anni di governo del centrosinistra in Provincia a Milano. Per chi non ricordasse, la giunta Pd nel 2004 aveva deciso di comprare a 8,973 euro azioni per cui Gavio aveva speso appena 2.9 euro pochi mesi prima. Un pessimo affare, ma Penati aveva deciso che era fondamentale raggiungere il 53% delle quote società. Voleva avere il controllo assoluto. Controllo che, come spiega da anni l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, era già saldamente nelle sue mani grazie a un accordo col Comune. Per di più, a causa di Penati, le azioni di Palazzo Marino si sono poi svalutate, per un danno stimato dalla vecchia giunta in 238 milioni di euro. La Provincia, invece, era stata costretta a indebitarsi per pagare Gavio, che è stato l’unico a guadagnare sul serio. La sua società ha realizzato una plusvalenza di 179 milioni di euro. Da notare che l’imprenditore pochi mesi dopo ha investito cinquanta milioni di euro per tentare la scalata a Unipol: per qualcuno potrebbe essere tutt’altro che un caso.
A dirigere tutta l’operazione Serravalle, infatti, non c’era solo il genio finanziario di Penati, che ha sempre difeso il suo ruolo nella vicenda spiegando che con queste mosse avrebbe potuto porre fine ad anni di presunto stallo amministrativo dovuto alla convivenza tra Comune e Provincia. A spingere per chiudere l’affare c’erano anche gli attuali vertici dei Partito Democratico. Per trovare dei nomi basta leggere la prima telefonata intercettata dalla Gdf tra Gavio e Penati. «Mi ha dato il suo numero di telefono l’onorevole Bersani», spiega l’ex presidente della Provincia, «volevo fare due chiacchiere». La conversazione è del luglio del 2004. In quel periodo i pm Alfredo Robledo e Stefano Civardi indagavano su Ombretta Colli, predecessore di Penati in Provincia. L’inchiesta è stata poi archiviata, ma ha documentato come con il suo gruppo Gavio stesse facendo di tutto per accreditarsi con i nuovi “padroni” di Palazzo Isimbardi. Al centro c’era proprio Pierluigi Bersani, all’epoca eurodeputato dei Ds, che pochi giorni prima della telefonata riportata aveva contattato Gavio per suggerirgli di incontrare il neopresidente «in modo riservato». Gavio aveva illustrato la proposta con il suo braccio destro Bruno Binasco (oggi indagato, come detto) per spiegare: «Bersani ha già parlato con lui (Penati) e gli ha detto che non decide niente». Prima di muoversi, bisogna chiedere alla segreteria.

In altre chiamate, invece, è lo stesso Bersani che spiega in prima persona di aver fatto pressioni su Penati perché la pratica Serravalle venisse accelerata. «Bersani dice che ha parlato con Penati», si legge nella sintesi della telefonata fatta dalla Gdf, «e questi gli ha chiesto una settimana, dieci giorni per fare mente locale, quindi Bersani dice a Gavio di cercarlo per incontrarsi in modo riservato, poi dice ancora “vedrà che si trova un modo, ora fermiamo tutto e fra una decina di giorni quando vi vedrete troverete un modo”. Gavio ringrazia». Per tutto il mese di luglio continuano le telefonate. «Gavio dice che lo ha chiamato Bersa (Bersani)», si legge in un altro resoconto di una “chiacchierata tra l’imprenditore di Tortona e Binasco, «che gli ha dato il via per incontrarsi fra una decina di giorni con lui (Penati) in un posto riservato. Binasco dice bene e che in questo momento si trova in macchina con Valori». Nella stessa intercettazione spuntano i dettagli per l’incontro: «Gavio dice che fra otto o dieci giorni hanno l’appuntamento, Bersani ha già parlato con lui (Penati) e gli ha detto che non decide niente. Binasco dice va bene e Gavio lo esorta a cercare di portare la decisione fra 20 giorni». La decisione dovrebbe essere la nomina del nuovo presidente della Serravalle.
A quanto pare, poi, i contatti del duo Gavio-Binasco non erano confinati ai Ds. Il trenta giugno i finanzieri avevano preso nota di una telefonata tra Binasco e tale Lusetti, che potrebbe essere, ma non è dimostrato, il vicecapogruppo della Margherita alla Camera, membro della commissione Trasporti: «Binasco dice se si ricorda di Lusetti, Gavio risponde affermativamente, Binasco dice che è lui il suo uomo a Milano. Binasco gli dice di fissare un incontro per domani, poi gli spiegherà a voce».
Pochi giorni dopo, infine, Penati e Gavio si sono incontrati «in privato», come suggerito da Bersani. L’affare è andato in porto. Gabriele Albertini ha presentato denunce per anni senza mai essere ascoltato. La magistratura, per il suo stupore, non ha mai neanche provato a indagare su un’operazione che, per usare un eufemismo, si può definire bizzarra. Un’operazione che, per altro, vede coinvolti i massimi vertici dell’opposizione.

di Lorenzo Mottola

26/07/2011


Mitico Bersa ... latriceddhi :read:
Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.
doddi
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Toh ... altri piccoli excomunisti con problemini di supremazia ideologica :fifi: :fifi:


http://www.asca.it/news-ABRUZZO__ARREST ... 637--.html


26-07-11
ABRUZZO: ARRESTI A SPOLTORE. ANCHE EX PRESIDENTE CONSIGLIO REGIONALE

(ASCA) - L'Aquila, 26 lug - L'ex presidente del Consiglio regionale d'Abruzzo, Marino Roselli (allora PD), attuale coordinatore regionale dell'Api e' stato arrestato dagli agenti del Corpo forestale dello Stato di Pescara nell'ambito di un'inchiesta sull'urbanistica, gli accordi di programma e i rifiuti al Comune di Spoltore (Pescara).

Assieme a Roselli, informa la Procura della Repubblica, sono stati arrestati anche il sindaco di Spoltore, Franco Ranghelli (PD) e il vicepresidente della societa' Ambiente Spa, Luciano Vernamonte. L'accusa per i tre, tutti ai domiciliari, e' di associazione per delinquere, corruzione, falso ideologico e abuso d'ufficio. Le misure cautelari sono state disposte dal gip del Tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea, su richiesta del pm Gennaro Varone. Tredici gli indagati. L'inchiesta ha preso il via un anno e mezzo fa circa con una serie di sequestri al Municipio di Spoltore. Le indagini sono state coordinate dall'ex comandante provinciale della forestale Guido Conti, attualmente in servizio in Umbria.

iso/gc/alf



..." _._ _._._ _ _. :read: "


:mrgreen:
Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.
fotina
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:xd gif: :xd gif: :xd gif: :xd gif: :xd gif: :xd gif: :xd gif: :xd gif: ...........Azzzzzzz....
http://inchieste.repubblica.it/it/repub ... 9432630%2F


E poi giusto con "Libero"? ottimo surrogato dei rotoloni regina!!!!!!!!! :okok: :okok: :okok:
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Regmi
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doddi ha scritto:
Che tipo di liquame è? Talquale, ecoballe o megaballe? :bash: :bash:

Latriceddhi :read:
La domanda mi sembra oltremodo arguta e in linea con il pervasivo vuoto pneumatico che notoriamente impedisce alla materia grigia di svolgere il suo dovere senza l'ausilio del mestolo e della caddara.
La prima risposta che d'istinto mi viene in mente è quello nel quale nuotano gli elettori del PDL e che con facilità si trova nelle nostre fogne
le quali, per alcuni inopportunatamente, troppo presto si sono aperte.
Ma, in attesa che qualche altra e più consona risposta mi passi per la testa, non lo scrivo perchè potrebbe sembrare troppo offensivo nei confronti, e solo per quelli, dei tanti creduloni.
La speranza appartiene ai figli.
Noi adulti abbiamo già sperato e quasi sempre perso.
doddi
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Regmi ha scritto:
doddi ha scritto:
Che tipo di liquame è? Talquale, ecoballe o megaballe? :bash: :bash:

Latriceddhi :read:
La domanda mi sembra oltremodo arguta e in linea con il pervasivo vuoto pneumatico che notoriamente impedisce alla materia grigia di svolgere il suo dovere senza l'ausilio del mestolo e della caddara.
La prima risposta che d'istinto mi viene in mente è quello nel quale nuotano gli elettori del PDL e che con facilità si trova nelle nostre fogne
le quali, per alcuni inopportunatamente, troppo presto si sono aperte.
Ma, in attesa che qualche altra e più consona risposta mi passi per la testa, non lo scrivo perchè potrebbe sembrare troppo offensivo nei confronti, e solo per quelli, dei tanti creduloni.
Questo è uno di quei messaggi, come il tuo precedente che ritengo offensivi, delle idee degli interlocutori.

Cmq la risposta alla mia domanda, specifica, non mi pare di averla letta nella risposta scomposta.

Compliments Monsieur Regmì :okok:
Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.
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doddi ha scritto:
Regmi ha scritto:
doddi ha scritto:
Che tipo di liquame è? Talquale, ecoballe o megaballe? :bash: :bash:

Latriceddhi :read:
La domanda mi sembra oltremodo arguta e in linea con il pervasivo vuoto pneumatico che notoriamente impedisce alla materia grigia di svolgere il suo dovere senza l'ausilio del mestolo e della caddara.
La prima risposta che d'istinto mi viene in mente è quello nel quale nuotano gli elettori del PDL e che con facilità si trova nelle nostre fogne
le quali, per alcuni inopportunatamente, troppo presto si sono aperte.
Ma, in attesa che qualche altra e più consona risposta mi passi per la testa, non lo scrivo perchè potrebbe sembrare troppo offensivo nei confronti, e solo per quelli, dei tanti creduloni.
Questo è uno di quei messaggi, come il tuo precedente che ritengo offensivi, delle idee degli interlocutori.

Cmq la risposta alla mia domanda, specifica, non mi pare di averla letta nella risposta scomposta.

Compliments Monsieur Regmì :okok:
Quali idee??
Le tue, quelle di Gasparri, di Alemanno, della Santadechè o di qualche altro strillone che, dietro lauto compenso, ci inondano quotidianamente di nefandezze utili solo al padrone di turno?
Caso mai nella foga di girare il mestolo ti fosse sfuggito, Il mio pensiero sull'argomento oggetto del 3D l'avevo esposto chiaramente e con coerenza nel mio precedente. Quando anche tu lo farai (non è poi tanto difficile) indiremo un raduno megagalattico per festeggiare l'evento a suon di tarantella, maccheroni col sugo di capra e fiumi di vino rigorosamente d'annata.
Per il conto nessun problema, me ne faccio carico personalmente

PS -Per i complimenti non posso che rifarmi ad altro topic dove ti chiedevo, inutilmente, se fossi stato oggetto del furto della Passw. Capirai (spero) che non è bello per nessuno, leggendoti, prendere schiaffi in pieno viso continuamente...anche le inanimate pietre alla fine reagiscono.
La speranza appartiene ai figli.
Noi adulti abbiamo già sperato e quasi sempre perso.
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Regmi ha scritto:
doddi ha scritto:
Regmi ha scritto: La domanda mi sembra oltremodo arguta e in linea con il pervasivo vuoto pneumatico che notoriamente impedisce alla materia grigia di svolgere il suo dovere senza l'ausilio del mestolo e della caddara.
La prima risposta che d'istinto mi viene in mente è quello nel quale nuotano gli elettori del PDL e che con facilità si trova nelle nostre fogne
le quali, per alcuni inopportunatamente, troppo presto si sono aperte.
Ma, in attesa che qualche altra e più consona risposta mi passi per la testa, non lo scrivo perchè potrebbe sembrare troppo offensivo nei confronti, e solo per quelli, dei tanti creduloni.
Questo è uno di quei messaggi, come il tuo precedente che ritengo offensivi, delle idee degli interlocutori.

Cmq la risposta alla mia domanda, specifica, non mi pare di averla letta nella risposta scomposta.

Compliments Monsieur Regmì :okok:
Quali idee??
Le tue, quelle di Gasparri, di Alemanno, della Santadechè o di qualche altro strillone che, dietro lauto compenso, ci inondano quotidianamente di nefandezze utili solo al padrone di turno?
Caso mai nella foga di girare il mestolo ti fosse sfuggito, Il mio pensiero sull'argomento oggetto del 3D l'avevo esposto chiaramente e con coerenza nel mio precedente. Quando anche tu lo farai (non è poi tanto difficile) indiremo un raduno megagalattico per festeggiare l'evento a suon di tarantella, maccheroni col sugo di capra e fiumi di vino rigorosamente d'annata.
Per il conto nessun problema, me ne faccio carico personalmente

PS -Per i complimenti non posso che rifarmi ad altro topic dove ti chiedevo, inutilmente, se fossi stato oggetto del furto della Passw. Capirai (spero) che non è bello per nessuno, leggendoti, prendere schiaffi in pieno viso continuamente...anche le inanimate pietre alla fine reagiscono.
Mi pare che tu abbia perso di vista la linea di confine. E confondi ruoli, vittime e schiaffeggiatori.
Anzi il mi pare leviamolo proprio.
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Politica
27/07/2011 - GIUSTIZIA
Inchiesta su Penati, la pista
della Procura porta alle coop rosse



Versati 2,4 milioni di euro
per consulenze fittizie. Il sospetto
dei pm: era un finanziamento ai Ds
PAOLO COLONNELLO

MONZA
Il "sisitema Sesto" è un po’ come il vaso di Pandora: ovunque ti giri, spuntano tangenti. Non tutte chiare, non tutte destinate all’ex sindaco di Sesto San Giovanni Filippo Penati e soprattutto non tutte servite per finanziare le attività politiche dei Ds tra la provincia e Milano. L’ultima traccia scoperta dagli inquirenti porta infatti ben oltre i confini della Lombardia anche se si dissolve tra i Lidi di Ravenna e le campagne di Modena.

E’ qui infatti che, inspiegabilmente, finiscono 2 milioni e 400 mila euro versati dall’imprenditore edile ed esponente del centrodestra Giuseppe Pasini a due società indicate dalle cooperative rosse di Bologna: la Fingest di Modena e la Aesse di Ravenna. Secondo il materiale raccolto dagli inquirenti monzesi, i pm Walter Mapelli e Franca Macchia, il passaggio di denaro, avvenuto nel 2002 in almeno 4 tranches da 619 mila euro ciascuna, non ha infatti una spiegazione plausibile, visto che le fatture emesse a fronte dei pagamenti di Pasini parlano di contratti per lavori inesistenti. Generiche consulenze per l’estero che poco sarebbero servite in quel periodo a Pasini, in lotta per ottenere dal comune di Sesto San Giovanni una deroga al Prg che gli consentisse di avere un aumento volumetrico sulle costruzioni da realizzare nell’area ex Falk. Secondo le accuse, ad indicare a Pasini le due società, i cui titolari, Francesco Aniello (avvocato siciliano) e Giampaolo Salami (professionista ravennate) erano legati al Consorzio Cooperative Costruzioni, sarebbe stato Omer Degli Espositi, il 63enne vicepresidente della Ccc ora indagato (insieme ai due consulenti) per concorso in concussione, corruzione e finanziamento illecito ai partiti.

Pasini ai pm avrebbe spiegato che dopo aver acquistato l’area Falk per 380 miliardi di lire arrivò a un accordo con Penati per non subire intralci burocratici che prevedeva il versamento di una tangente complessiva di 20 miliardi di lire, in pratica il 5 per cento sul valore dell’area. Una cifra che l’imprenditore, ora consigliere comunale del centrodestra, si sarebbe impegnato a versare in diverse modalità: 4 miliardi di lire subito (si parla del 2002) aprendo un conto in Lussemburgo che servì in gran parte per rifondere una parte dei finanziamenti a Penati ricevuti dall’imprenditore dei trasporti e Grande Accusatore, Piero Di Caterina. In pratica con quei soldi, Pasini consentì all’allora sindaco di Sesto di iniziare a far fronte ai suoi debiti con Di Caterina, tenendo per sè, o meglio per le spese della sua struttura politica, "solo" 500 milioni di lire, che vennero prelevati in Svizzera dal suo braccio destro Giordano Vimercati. Esistono le contabili bancarie e i numeri di conto corrente forniti dagli stessi imprenditori che non lasciano spazio a molti dubbi.

Un’altra parte dell’accordo tra Pasini e Penati, almeno secondo l’imprenditore, avrebbe previsto invece l’intervento della Ccc di Bologna per l’appalto di alcuni lavori nell’area. Infine, il versamento di quei famosi 2 milioni e 400 mila euro alle due piccole società di consulenza di Modena e Ravenna. Che fine hanno fatto quei soldi? A chi erano destinati veramente? Il sospetto degli investigatori, anche in questo caso, è che si sia trattato di un pagamento per i vertici nazionali del partito di Penati dell’epoca, ovvero i Ds.

Ieri intanto i magistrati di Monza hanno interrogato un altro indagato, Antonio Princiotta, segretario generale prima del comune di Sesto e poi della Provincia sempre con Penati. Accompagnato dal suo legale, l’avvocato Luca Giuliante (lo stesso di Lele Mora, nonchè tesoriere del Pdl lombardo), Princiotta è stato ascoltato per un paio d’ore. Secondo Di Caterina, il burocrate vicino a Penati avrebbe ricevuto la promessa e il versamento di 100 mila euro (in tranche da 2000 euro ciascuna, l’ultima nel 2008) per stendere la delibera della Provincia, firmata da Penati il 9 gennaio del 2009, che risolvesse il contenzioso dell’imprenditore con l’Atm di Elio Catania, obbligando l’azienda dei trasporti milanesi a versare alla Caronte 12 milioni di euro dovuti dagli introiti dei biglietti. Crediti tutt’ora vantati da Di Caterina, visto che l’esecutività della delibera è stata poi bloccata dalla nuova giunta di Podestà. Princiotta ha negato le accuse, sostenendo in pratica che Di Caterina sarebbe impazzito. Ma come si sa, talvolta la verità è patrimonio dei folli. E qui il manicomio è appena cominciato.


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Politica
26/07/2011 - INCHIESTA
"Soldi anche ai Ds nazionali"


Si allarga l’inchiesta su Penati
che lascia la vicepresidenza
del Consiglio regionale
PAOLO COLONNELLO

MILANO
Cercavano delle false fatture, hanno trovato la lista della spesa: decine di finanziamenti, alcuni leciti, altri no, finiti negli anni passati anche a «dirigenti nazionali dei Ds». Tra questi, almeno 100 milioni di lire nel 2000 con versamenti in contanti a uomini di Botteghe Oscure, «sempre su richiesta di Penati». È questa la novità dell’inchiesta sulle presunte tangenti finite all’ex presidente della Provincia ed ex sindaco di Sesto San Giovanni, nonché ex consigliere politico del leader Pd Pier Luigi Bersani, Filippo Penati, emersa dall’analisi dei documenti ritrovati nel maggio di un anno fa negli uffici della Caronte, la società di trasporti extraurbani di Piero Di Caterina, il Grande Accusatore, un po’ socio un po’ vittima del cosiddetto «sistema Sesto».

Tra queste carte, considerate un memorandum di operazioni in nero per decine di milioni di euro la cui destinazione è ancora da accertare, si nasconde il salto di qualità dell’inchiesta, non più circoscritta al solo Penati e al giro di amministratori e imprenditori locali che gravitavano attorno all’affare dell’ex area Falk e Marelli ma allargata anche a livello nazionale.

Gli inquirenti comunque preferiscono procedere con i piedi di piombo: il materiale raccolto in oltre un anno d’indagini, prima della Procura di Milano poi da quella di Monza, è talmente vasto da imporre tempi lunghi per gli accertamenti sui conti - vi sono diverse partite di giro con l’estero - e per i riscontri sulle parole di Di Caterina che, sentito più volte dal pm Laura Pedio, ha spiegato fin da subito il senso di quel giro turbinoso di quattrini: «Si è trattato di pagamenti in cambio di favori». L’imprenditore, che secondo i magistrati potrebbe avere svolto anche un ruolo di «collettore» per le presunte tangenti finite a Penati, ha spiegato di aver versato oltre 4 miliardi di lire dalla metà degli anni ‘90 fino almeno al 2003 in quanto «io avevo vantaggi visto che mi proteggevano da Atm e mi hanno fatto entrare nel consorzio trasporti di Sesto San Giovanni consentendomi di partecipare ad operazioni per me lucrose».

In guerra da tempo con l’azienda dei trasporti milanesi, concorrente anche sul territorio della provincia milanese, Di Caterina, aveva trovato in Filippo Penati una valida sponda per resistere al colosso dei trasporti metropolitano. «Questo è il motivo per cui mi ero messo in affari con Penati e Vimercati (il braccio destro del politico, ndr). Si è trattato di pagamenti in cambio di favori». Di Caterina infatti si descrive all’inizio più come un finanziatore dell’ex Presidente della Provincia di Milano che come un concusso perché «ero sicuro che le somme da me anticipate» a Penati, all’epoca sindaco di Sesto San Giovanni, «mi sarebbero state restituite in quanto era scontato che Pasini avrebbe pagato una tangente a Penati».

Ed ecco spiegato il motivo per cui a un certo punto il costruttore e consigliere comunale di centrodestra Giuseppe Pasini dice di aver dovuto pagare, versandoli in Svizzera, proprio 4 miliardi di lire che vennero ritirati dal fiduciario di Penati, Giordano Vimercati e dallo stesso Di Caterina. Evidentemente Di Caterina, che sostiene di aver versato direttamente a Penati altri 2 miliardi e 235 milioni di lire tra il 1997 e il 2003, non venne rifuso completamente e per questo, nel 2008, ha preso carta e penna per scrivere una lettera al suo amico d’infanzia Penati e all’amministratore delegato del gruppo Gavio (primo azionista di Impregilo) Bruno Binasco (arrestato diverse volte durante Mani Pulite e proprio per tangenti all’ex Pci) per chiedere la restituzione di altri soldi. Pagamento anche questo puntualmente avvenuto attraverso quella che gli inquirenti considerano la mancata vendita fittizia di un immobile che fruttò a Di Caterina la trattenuta di una caparra da due milioni di euro.

È appena il caso di notare che il ruolo di Binasco è legato all’acquisto assai oneroso delle azioni della Milano Serravalle detenute dal gruppo Gavio da parte della Provincia presieduta da Penati e che fece incassare a Gavio 179 milioni di euro. Ma la domanda è: si è mai visto un imprenditore che paga tangenti, chiedere e ottenere, almeno in parte, la restituzione delle stesse? Per questo il ruolo di De Caterina rimane al momento sospeso. Di certo l’uomo è rimasto schiacciato da una rete impressionante di affari e interessi che alla fine lo ha spinto a raccontare ciò che sapeva ai magistrati. Al centro di questo «sistema» ci sarebbe stato Filippo Penati che ieri ha deciso di «fare due passi indietro», dimettendosi da vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia e da tutti gli incarichi di partito: «Ribadisco - ha scritto in una lettera alla direzione del Pd - la mia totale estraneità ai fatti contestati».


...latriceddhi :read:
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http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07 ... in/148078/

Bersani risponde al Fatto Quotidiano
“Noi gente perbene. Ci metto la faccia”
Caro Direttore, il Fatto Quotidiano, peraltro in buona compagnia, mi attribuisce la tattica o l’imbarazzo del silenzio sul caso Penati. Per la verità, sono stato il primo a parlarne giovedì scorso alla festa de l’Unità di Roma trasmessa in diretta da Rai News e da YouDem, intervistato da Corradino Mineo davanti a 4000 persone. Qualcuno evidentemente mancava e non ha letto i resoconti delle agenzie di stampa. Quello che ho detto e scritto in questi giorni mostra forse una sottovalutazione del problema? Spero di no.

Noi non possiamo certo dividere il mondo mettendo i cattivi da una parte e i buoni dall’altra. Con ben altri mezzi si provvederà a questo nella valle di Giosafat. A noi tocca inderogabilmente rispettare la magistratura, pretendere che le istituzioni non siano esposte nel disagio e chi è coinvolto faccia un passo indietro, affermare la parità dei cittadini davanti alla legge, applicare la presunzione di innocenza, anche quella di Penati che la rivendica con forza. A noi tocca produrre riforme che tolgano possibilità alla corruzione. A noi tocca allestire nei partiti meccanismi di garanzia e di limitazione del rischio. Sfido qualsiasi altro partito italiano a paragonarsi con gli istituti che il Partito democratico ha allestito e sta allestendo.

Fin dall’inizio il Pd ha sottoposto il proprio bilancio alla certificazione di una società esterna; abbiamo un codice etico giustamente più stringente di un normale percorso giudiziario; chiediamo agli amministratori eletti nelle nostre liste di firmare un codice di responsabilità. Ma su questo ho già detto e non voglio scrivere oltre. Rispondo piuttosto alla domanda di Travaglio, reiterata in questi anni da lui stesso, da Albertini e da qualche testata della destra e che allude a una suggestiva triangolazione Gavio-Bersani-Penati. Ho già detto in altre occasioni ciò che ribadisco qui. Il ministro delle Attività produttive conosce tutti i principali imprenditori italiani. Li conosce, non li sceglie. Gavio, segnalandomi la preoccupazione per un contenzioso aperto con la Provincia di Milano, mi disse di non conoscere il presidente appena insediato e mi chiese di favorire un incontro con Penati. Così feci, via telefono. Nell’evocare questo episodio si intende forse alludere a una combine poco chiara o addirittura a illeciti che mi coinvolgerebbero? Se è così (e lo dico in tutte le direzioni!) si illustri chiaro e tondo qual è la tesi e si abbia il coraggio di affrontare una sonora querela.

Mi dispiace inoltre dover constatare molte inesattezze nelle affermazioni di Travaglio su Pronzato. Ho saputo dai giornali che Pronzato era “un mio uomo”. Non è mai stato mio consigliere alle Attività produttive. Lo trovai 11 anni fa al ministero dei Trasporti come consigliere ministeriale, lo confermai assieme agli altri consiglieri per il solo anno in cui fui ministro. Divenne consigliere ENAC parecchi anni dopo. Non fu mai responsabile dei trasporti; ha avuto la responsabilità tecnica sul trasporto aereo nel dipartimento trasporti del Pd diretto da Matteo Mauri. Quella del doppio incarico è una cosa inopportuna, ne convengo, e da non ripetere in casi analoghi. Non nego dunque di aver ricavato insegnamenti dalla vicenda, ma vorrei che la vicenda fosse messa nelle giuste dimensioni. Non dovrebbe essere troppo disagevole peraltro considerare quali siano le persone che davvero ho motivato e promosso in lunghi anni di vita amministrativa. Ho la presunzione di credere che verrebbe riconosciuto che si tratta di gente in gamba e di gente sicuramente perbene. Travaglio infine si è chiesto nei giorni scorsi se io sia la persona giusta per rappresentare il centrosinistra. Non tocca certo a me dirlo. Per le sue valutazioni Travaglio provi comunque a tener conto di una cosa, per quanto ai suoi occhi possa risultare poco credibile: sono talmente provinciale e paesano da mettere il buon nome che ho ricevuto davanti a qualsiasi cosa e a qualsiasi ruolo.

di Pier Luigi Bersani

... :read:
Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.
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mercoledì 27 luglio 2011, 12:29

Penati, spunta un nuovo filone nell'inchiesta Da Sesto all'Emilia spariti 2,4 milioni di euro

di Enrico Lagattolla

Gli inquirenti passano al setaccio un vorticoso giro di false fatture in giro per l'Italia: due milioni e mezzo di euro, nel 2002, sono finiti a due società emiliane come pagamento per prestazioni di dubbia natura e avrebbero avuto il solo scopo di produrre fatture false per accumulare fondi neri. E la cena d'affari non passa inosservata

Milano - La pista del denaro è lunga più o meno duecento chilometri. Parte da Sesto San Giovanni e scende fino all’Emilia, per poi sparire in un mistero di carte e operazioni finanziarie sospette. L’inchiesta sull’ormai ex vicepresidente del consiglio regionale lombardo Filippo Penati ha sempre di più una dimensione nazionale. Come scritto ieri dal Giornale, ci sono quei finanziamenti per 100 milioni di lire che nel 2000 dall’imprenditore Piero Di Caterina arrivano a Botteghe Oscure, e che sono finiti sotto la lente degli inquirenti. E ora si scopre dell’altro. Che altri due milioni e mezzo di euro, nel 2002, sono finiti a due società emiliane come pagamento per prestazioni di dubbia natura, e che secondo gli investigatori avrebbero avuto il solo scopo di produrre fatture false per accumulare fondi neri. Quel denaro, alla fine, scompare. Inghiottito da bilanci opachi. E ancora una volta, l’ipotesi della Procura è che quei soldi siano stati destinati al finanziamento della politica. Ecco cosa accadde.

Secondo quanto ricostruito dai pm di Monza, l’accordo per la riqualificazione dei terreni industriali ex Falck tra Filippo Penati e il costruttore Giuseppe Pasini sarebbe stato sottoscritto a tre condizioni, imposte dal politico del Pd. La prima. Penati - ha raccontato Pasini ai magistrati - avrebbe chiesto all’immobiliarista 20 miliardi di lire per favorirlo nell’operazione, una cifra pari al 5 per cento del valore dell’intero affare. Attenzione però, non 20 miliardi cash, ma spalmati in più operazioni. Una tranche della maxi tangente (circa 4 miliardi di lire) sarebbe stata versata in Lussemburgo. Altre operazioni immobiliari, poi, avrebbero garantito i passaggi di denaro fra le parti. La seconda condizione, invece, sarebbe stato il coinvolgimento nei lavori alla Falck della Ccc, il Consorzio cooperative costruzioni di Bologna. Quindi, il terzo aut aut. È il 2002. Sarebbe stato Omer Degli Esposti, vicepresidente del Consorzio, a chiedere a Pasini di versare 2 milioni e 400mila euro in consulenze a due società che con Sesto San Giovanni hanno poco o nulla a che fare. Si tratta della Aes srl di Ravenna e della Fingest di Modena. A che titolo, quelle consulenze? E soprattutto, che fine fanno quei 2,4 milioni partiti dall’hinterland milanese e finiti in Emilia Romagna? Spariti. Secondo la Procura e la Guardia di finanza, volatilizzati in un giro di false fatture. Destinazione finale, è l’ipotesi degli inquirenti, le tasche dei politici.


Ma l’inchiesta dei pubblici ministeri Walter Mapelli e Franca Macchia corre su binari paralleli. Accanto alla pista nazionale, c’è quella locale. E ieri è stato il turno di Antonino Princiotta, ex segretario generale di Palazzo Isimbardi durante la giunta Penati, sentito per due ore dai pm. Di lui aveva parlato ai magistrati Di Caterina, raccontando di aver «comprato» il suo appoggio nel contenzioso tra la sua Caronte srl e l’Atm di Milano, entrambe società di trasporti. Versamenti di denaro per ottenere una delibera che risolvesse la battaglia legale fra parti. L’allora segretario generale avrebbe ricevuto da Di Caterina varie tranche da 2mila euro alla volta, fino a raggiungere nel 2008 la cifra complessiva di centomila euro. E come finisce la vicenda? Che Penati, nel 2009, firma una delibera che impone ad Atm di versare al Consorzio dei trasporti pubblico 40 milioni di euro, 12 dei quali (più Iva) proprio alla Caronte....

Qualcosa, però, non funziona. Il contenzioso va avanti. E le elezioni bloccano tutto. Penati esce di scena, e il neo assessore provinciale ai trasporti Giovanni De Nicola blocca l’operazione. «Siamo assolutamente tranquilli - spiega l’avvocato Luca Giuliante, legale dell’ex segretario generale della Provincia -, chiariremo tutto con i magistrati. E comunque, nessuna tangente è stata presa».


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mercoledì 27 luglio 2011, 08:27 Pier Luigi, il leader degli intrighi al Palazzo rosso
di Gabriele Villa


Il segretario Pd rivendica la superiorità morale del suo partito. Ma non poteva non conoscerne certi traffici. Col Corriere si vanta per il "passo indietro" dei suoi. Ma è lui a doversi dimettere


Prendiamo atto, una buona volta: «loro» si sentono diversi. Nel «loro» partito ci sono dei «diversamente» ladri o, per amore di precisione, dei «presunti diversamente ladri». Ma nel partito, nel «loro» partito c’è anche un leader. E un leader non può essere diverso dagli altri leader. Un leader, come Pier Luigi Bersani, anche se impegnato - con buona pace dei cabarettisti - nei siparietti con Crozza, non può non sapere, non ha potuto non sapere, in tutti questi anni.
Se è vero che in una simpatica lettera inviata al Corriere della Sera il leader piddino chiede a tutti i suoi, che sono in odore di malaffare, di «fare un passo indietro», è anche vero che, tra i suoi, c’è qualcuno che il passo indietro vorrebbe che lo facesse lui. Perché, detto molto francamente, un leader che non sa, che è all’oscuro di tutto, anche se è nato e cresciuto a Botteghe Oscure, è poco credibile. Bersani non è indagato, bene inteso. Non è accusato di nulla, sempre ben inteso, ma tutte le inchieste avviate dai pm, che stanno circumnavigando il suo partito, stanno, inevitabilmente, pure girando intorno a lui, lo sfiorano, gli fanno ronzare le orecchie. E lui non può dire, non può farci credere, che ha sempre tenuto tappate le orecchie. In altre parole, anche se non formalmente accusato di nulla, anche se almeno, fino ad oggi, non è stato accertato alcun suo coinvolgimento nelle vere o presunte malefatte dei suoi compagni, sono gli stessi pm che, con le loro indagini, sembrano averlo già riconosciuto e identificato come leader. Leader degli intrighi di un palazzo rosso che, nonostante tutte le sue metamorfosi di nomi, non ha mai cambiato la sua pelle rossa e i suoi usi e costumi. Tanto che, se proprio vogliamo fare i precisini, l’unica differenza a proposito di diversità è che un tempo in quel palazzo giravano rubli e, puntualmente, arrivavano nelle casse del partito, mentre adesso fioccano gli euro. Ma il risultato non cambia e, come il capo di allora, quando il Pci si chiamava Pci, non poteva non sapere, anche il capo di adesso non può non sapere e non aver saputo. E quindi suona curioso che, proprio lui, il Bersani «diverso» che invoca «pulizia» e invita a tenere gli occhi non aperti ma spalancati per individuare nel cesto delle mele rosse, quelle marce, non abbia pensato, lui per primo, a fare quel passo indietro che chiede ai compagni implicati nelle inchieste. Che non abbia dunque pensato ad autosospendersi. Prima che qualcuno del suo stesso partito glielo chieda apertamente. Già perché a volte, anche nelle scuderie più disciplinate, c’è qualcuno che, a un certo punto non se la sente più di ubbidire agli ordini di scuderia. In buona sostanza, l’affaire Penati, per quanto sia un po’ datato, è un affare che arriva, o meglio arrivava giusto nell’orbita della segreteria del partito e che, nelle stanze attigue a quelle del potere, molto probabilmente si consumava.
Ora se in molti nel Pd hanno avviato il patetico tentativo di attribuire la colpa del poco o tanto di marcio che è venuto a galla agli infiltrati «socialisti», scaricando le colpe sui Ds, ovvero figli e figliocci di quei Democratici di sinistra che furono inventati a suo tempo da Massimo D’Alema e che porterebbero quindi il tanto sputtanato Craxi nel loro Dna, è altrettanto evidente che la manovra sottende un bersaglio ben preciso: Pier Luigi Bersani. Già. Perché se Filippo Penati con le sue scivolate, su tappeti o presunti tali di tangenti, è caduto nelle stanze attigue a quelle del potere, come si fa, come fa Bersani a sostenere di non sapere che Franco Pronzato uno dei suoi migliori amici, nonché suo consigliere sul fronte trasporti, nonché coordinatore dei voli ufficiali del Pd, avrebbe agito a sua insaputa? Avrebbe combinato (sempre che le abbia combinate) le sue marachelle tangentizie in seno all’Enac o fuori dall’Enac, a totale insaputa del suo amico Pier Luigi, e come se non bastasse, del segretario del partito a cui faceva riferimento? Di solito anche gli amici più timidi e riservati qualcosa confidano, o no?
Per questo Bersani, in versione Bersani, e non in versione Crozza, dovrebbe pensarci su sul suo passo indietro.
...Perché se una come Rosy Bindi, interprete dell’area cattolica, in sintonia con la sinistra giustizialista, se ne è uscita con riferimento al caso Tedesco con la frase «Ho visto morire la Dc perché c’erano i corrotti, non voglio vedere il mio nuovo partito turbato da un ex socialista» significa che nel partito i borbottii rischiano di diventare terremoti.
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onlyamaranto
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ta pigghjasti a cori :mrgreen: ...a proposito di penati, la radice del cognome...invece di "cazzate" si potrebbe dire "penate"...
è u caddu :lol:

"...e qualcosa rimane
tra le pagine chiare e le pagine scure... "
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mercoledì 27 luglio 2011, 08:29

Quelli che sapevano ma stavano zitti
di Paolo Bracalini

Albertini parlò del caso Serravalle con Di Pietro, D’Ambrosio e Borrelli: lessero le denunce senza fare nulla. Finirono in un cassetto le carte sulla plusvalenza ssuper incassata da Gavio


Roma - Il segreto di Pulcinella, così ben custodito che tutti sapevano, ma per non disturbare hanno aspettato. Persino i magistrati, persino Di Pietro, persino D’Ambrosio, il fior fiore del pool. Quante esitazioni davanti a quanti sospetti. C’è stato un cortocircuito: tutti erano d’accordo che si dovesse indagare, ma nessuno l’ha fatto. Per poi scoprire ora, a cose fatte, che il previsto si è avverato? Quando l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini sente puzza di bruciato, si presenta da Tonino (lo ha raccontato il Corriere della Sera), che legge le carte e consiglia una denuncia.
«Ai miei tempi, con una cosa così tra le mani, ci aprivi un’inchiesta, si incriminava qualcuno e forse si arrestava anche». Indizi evidenti di mazzette e tangenti, per quanto «ingegnerizzate», non più bustarelle ma consulenze, valutazioni gonfiate, incroci di favori tutti da ricostruire. Basta indagare quando si intravede il reato. E invece? Si conviene sulla gravità di quanto emerge, ma si attende fiduciosamente che altri facciano qualcosa.
Gherardo D’Ambrosio, ex Pm di Mani pulite, è adesso in una condizione di imbarazzo. Occupa uno scranno da senatore del Pd. Albertini parlò anche con lui, e con Borrelli, ricevendone sempre grandi consigli, come quello di rivolgersi al procuratore aggiunto Corrado Carnevali. Che prese le carte, le lesse, e poi basta. D’Ambrosio intervistato dal Tempo deve districarsi dall’imbarazzo. E allora, certo, «accadono fatti spiacevoli», però calma, «non sappiamo bene e fino in fondo come siano andate le cose», anche se «ciò che sta emergendo non fa piacere». La questione morale «esiste dappertutto», non solo a destra, «adesso scopriamo episodi incresciosi nella sinistra, finora tutti da verificare».
Ma a quanto pare si conoscevano già certi episodi, per quanto tutti da verificare, e li conoscevano in parte sia Di Pietro, che D’Ambrosio, che Borrelli. «L’accertamento andava fatto» spiega l’ex magistrato di Milano, che allora ravvisò gli estremi della truffa aggravata e dell’abuso di ufficio. Tuttavia ora sembra sorpreso dalla tangentopoli democratica, sprecandosi in un «forse ci si è limitati a prendere solo atto» delle parole di Berlinguer.
Tutti sapevano, salvo meravigliarsi dopo. Anche Saverio Borrelli fu edotto, «ascoltò ma non volle ricevere i documenti, pur apprezzando il mio orientamento legalitario», ha raccontato l’ex sindaco. Il meccanismo che aveva presentato ai magistrati era piuttosto chiaro. La Provincia di Milano, guidata da Penati, aveva comprato da Gavio il 15% delle azioni della Milano-Serravalle, pagando però 8,9 ogni quota, costata all’imprenditore molto meno, 2,9. In quel modo, nelle casse del costruttore erano finiti circa 179 milioni di utile netto. E qualche tempo dopo, entra nella cordata che acquista Unipol, gruppo vicino agli ex Ds, con 50 milioni di euro. È questa l’operazione che viene messa sotto gli occhi di magistrati esperti di tangenti, ma poi «come mai a nessuno dei pm che seguivano la vicenda non è venuta neppure la curiosità di approfondire?» si domanda Albertini.
Tutti sapevano, nessuno si mosse, tutti dopo si sorprendono che la questione morale investa anche il Pd. Per quanto non sia la prima, ma l’ultima di una lunga serie di indagini e arresti. Che evidentemente hanno radici in un sistema collaudato, ingegnerizzato come dice Di Pietro. «È l’idea di occupare posti di potere pubblici per poi approfittarne» spiega D’Ambrosio, sempre più meravigliato di quanto accade nel partito che lo ha portato al Senato.
...Tocca appendersi al Bersani che rivendica una «diversità non genetica, ma politica», una difesa da angolo estremo. Ormai anche chi non vuol sentire lo ha sentito.


... :read:
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onlyamaranto ha scritto:ta pigghjasti a cori :mrgreen: ...a proposito di penati, la radice del cognome...invece di "cazzate" si potrebbe dire "penate"...
è u caddu :lol:

Pare... e ripeto pare che vi sia un bubbone contenente altri macrobbubboni che causa caldo stà esplodendo o implodendo.

L'inchiesta, tra l'altro, al momento non presenta le solite fughe di notizie, nessun verbale, nessuna intercettazione. Insomma pare un'inchiesta seria 8-)

Caso strano a dire il vero per il mondo italico :fifi:
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mercoledì 27 luglio 2011, 08:32

La diversità degli ex Ds? Incassare soldi da Mosca

di Paolo Guzzanti




Bersani predica bene ma dimentica la storia del suo partito e i legami con i sovietici. Gli strani affari: dalle valigie piene di dollari al transito in Italia del tesoro del Pcus


Bersani, che è una persona perbene e che è stato anche un ottimo ministro dell’Industria, in una lettera al Corriere della Sera sviluppa la linea del candore assoluto per il suo partito, oggi Pd, ieri Ds, l’altro ieri Ulivo, poco prima Pds ma più che altro figlio legittimo e diretto del vecchio e a suo modo glorioso Pci. Un partito che, dai tempi di Greganti (l’amministratore del partito che andò in galera ma non volle parlare) e fino ai giorni di Penati è stato trovato spesso e volentieri, come si dice oggi, con le mani nella marmellata.

Qualcuno già dirà: ma basta con questi riferimenti al comunismo, parliamo di oggi. Sì, parliamone, ma sempre con un occhio nel buco della serratura della storia recente e un po’ meno recente. Bersani oggi effettivamente ne parla con civico e onorevole cipiglio e non trascura di accennare ai casi che riguardano il partito di cui oggi è segretario. Ma si sa com’è Bersani: è un «madro di famiglia», uno che si chiede sconsolato in che tempi viviamo, uno che si rivolge a quel tipo di essere umano che Alberto Arbasino ha creato sotto l’etichetta di «signora mia»: signora mia, quante brutte cose accadono, senza parlare delle mezze stagioni. Ora, per l’affetto e la stima che gli vogliamo, consiglieremmo a Bersani di avere finalmente coraggio e vuotare il sacco partendo dal fondo, e non soltanto ruspando in superficie.

Il passato mal digerito torna in gola come un bolo acido e dovrebbe valere il saggio detto per cui voltiamo sì, pagina, ma a condizione, prima, di averla letta accuratamente tutta. Poi la giriamo che partiamo freschi come fragoline di bosco. Ma oggi nessuno è fragolina di bosco, come sinceramente spererebbe Bersani, e quanto a corruzione, concussione, arricchimenti illeciti, mani nella marmellata ce n’è per tutti e con l’aggravante - è la nostra temeraria opinione - per cui «rubare per il partito» è molto peggio che rubare per le proprie tasche perché chi «ruba per il partito» altera le regole e il gioco stesso della democrazia.

Bisognerebbe in effetti voltare pagina ma in modo onesto, quando si tratta di affrontare, e risolvere, il problema incancrenito della corruzione legata alla politica e della politica legata a filo doppio con la corruzione, senza ricorrere, come fa Bersani, a espedienti retorici come dirsi sempre e comunque fiduciosi dell’equa magistratura, facendo l’apologia del «passo indietro».
Da cronista me ne sono occupato per anni di corruzione e concussione e mani nella marmellata: fu a me che un ministro democristiano legato ad Andreotti, Franco Evangelisti, confessò candidamente il sistema di finanziamento illecito e di scambio di favori fra partiti e imprenditori. Era lui che andava nelle sedi di tutti i partiti, Pci e Dc per primi, a chiedere, il libretto degli assegni alla mano, «A Fra’, che te serve?». E non si trattava di un caso isolato e remoto: la tecnica e il costume duravano allora e durano tutt’ora nel tempo. E Bersani, di cui l’inquisito Penati era nientemeno che il consigliere politico personale, avanza banalissime e non dettagliate proposte (codice etico? quale?) che a noi sembrano tanto oneste quanto mutilate perché in esse manca qualsiasi riferimento non soltanto storico, ma di cronaca recente, contestuale, salvo l’incipit in cui dichiara di non rivendicare, bontà sua, una diversità genetica del suo partito, ma una diversità politica.

La maggior parte dei lettori probabilmente non comprenderà il significato storico ed etico di questa rinuncia alla «diversità genetica»....

Di che si tratta? Bersani con queste parole prende le distanze da Enrico Berlinguer e dalla sua crociata per la «questione morale» (stiamo parlando degli anni Ottanta) che fu lanciata proprio all’insegna della «diversità genetica» dei comunisti ai quali fu indicata come esempio di moralità la santa cattolica Maria Goretti. Berlinguer non era pazzo: per lui questa era la via, l’unica, per sganciare il Pci dall’abbraccio stritolante dell’Unione Sovietica e aprirsi un varco «di tipo nuovo» nella società italiana lanciando appunto una «questione morale» che non era di ieri, non è solo di oggi e che viene dalle radici stesse della democrazia italiana, senza per questo omettere la pagina della corruzione in era fascista, quando si parlava di «greppie» e di gerarchi arricchiti. La questione morale, nella strategia di autonomia dall’Urss di Berlinguer, si reggeva proprio sull’invenzione alquanto razzista di una «diversità genetica» dei comunisti, ariani del bene, dalla marmaglia meticcia delle altre origini politiche, socialisti in prima fila. È dunque da quella operazione eroica e sciagurata di Berlinguer che oggi Bersani prende le distanze invocando, al posto di quella genetica, il surrogato della «diversità politica» che sta alla prima come le uova di lompo stanno al caviale. Che appare tanto limpida quanto retorica e in definitiva banale: è ovvio che ogni partito rivendichi la propria diversità e la marchi, ci mancherebbe.

Ma dicevamo che c’è qualcosa che manca e abbiamo fatto cenno soltanto allo sforzo, persino eroico e suicida di Enrico Berlinguer che tentò vanamente di tagliare il cordone ombelicale anche economico che legava Botteghe Oscure con la stanza del compagno Ponomariov al Cremlino, dove Gianni Cervetti (è lui che lo racconta) andava almeno ogni anno ad incassare una valigia di dollari che poi Cossiga (è lui ad avermelo raccontato) si preoccupava di far cambiare Oltretevere nella banca dello Ior, sotto l’occhio attento ma non ostile della Cia alla quale importava soltanto che i dollari non fossero falsi.

Archeologia? E che dire allora del capitolo nerissimo ed oscurato, appena venti anni fa, del transito in Italia del tesoro del Pcus e del Kgb, denunciato dall’ambasciatore Adamishin a Cossiga presidente della Repubblica, caso per cui e su cui fu messo ad indagare Giovanni Falcone che probabilmente, con il suo carattere, andò troppo oltre nell’inchiesta? La lettera odierna di Bersani è onesta, o gentile, è piacevole alla lettura come lo è il «Libro Cuore» di De Amicis, ma la politica non è la storia della piccola vedetta lombarda ma semmai quella di Franti che fa rima con tutti i briganti della politica e dell’area circostante.

Il fatto è che non si può oggi presentarsi soltanto e sempre come il buono di turno che con parole mielate si propone nelle vesti di cerusico di fronte al male che dilaga, perché rischia di sentirsi dire: medico, cura te stesso prima di insegnare agli altri qual è la medicina giusta da prendere. E ci sembra che il Pd, non essendo nato ieri ma molti decenni fa, sia pure nascosto da una selva di sigle, prima di somministrare ricette dovrebbe dimostrare di essere sano. E Bersani stesso ammette nella sua lettera che così non è. Ed è questo il punto.

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http://www.corriere.it/politica/11_lugl ... 0d8b.shtml


I casi penati, pronzato, tedesco
Il Pd e le inchieste, l'ira di Bersani
«Macchina del fango non ci fa paura»
Il segretario dei democratici: «Partono le querele.
Allo studio una class action di tutti gli iscritti»


Pier Lugi Bersani
MILANO - Pier Luigi Bersani non ci sta. Le critiche che i giornali muovono al Pd, travolto e «turbato» dalle vicende di Tedesco, Penati e Pronzato, fanno andare su tutte le furie il segretario dei democratici. Che promette battaglia. Se la prende con le «macchine del fango che iniziano a girare» il numero uno del Partito democratico. E avverte: «Se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso. Le critiche le accettiamo - sottolinea Bersani - le aggressioni no, le calunnie no, il fango no. Da oggi iniziano a partire le querele e le richieste di danni. Sto facendo studiare la possibilità di fare una class action» da parte di tutti gli iscritti al Pd. Il leader difende il suo partito, dice che il Pd «è totalmente estraneo a tutte le vicende di cronaca di cui si parla» e assicura: «Il turbamento non ci farà chiudere la bocca». I democratici, osserva Bersani, «si stanno muovendo su quattro principi: il rispetto assoluto della magistratura, il principio per cui, onorevoli o meno, tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, quello per cui chi è investito di una funzione pubblica, quando è indagato, fa un passo indietro per non imbarazzare il partito, al netto della presunzione di innocenza. E infine chiediamo che si faccia una legge sulla trasparenza dei partiti».

«ERRORI» - In una conferenza stampa alla Camera, Bersani ammette anche che nella gestione della vicenda dell'arrivo del senatore Tedesco a Palazzo Madama ci sono stati errori da parte del Pd. All'epoca, l'attuale segretario non aveva nessuna responsabilità, «anche se questa cosa viene attribuita a me», ci tiene a puntualizzare l'interessato. Ai democratici però, secondo Bersani, va comunque riconosciuta una cosa: «Siamo andati alla Camera e al Senato a chiedere l'arresto» di Papa e Tedesco. «Questa cosa non può passare in cavalleria. Siamo stati coerenti. Lo si riconosca».


INVITO ALLA LEGA - Da Bersani arriva, infine, un invito alla Lega. «Non è più tempo di guerre guerreggiate tra maggioranza e opposizione - dice -, è tempo di prendere decisioni di fondo. Chi nella destra comincia a percepire l'insostenibilità della cosa, la Lega o altri, crei le condizioni per andare al Quirinale».

LETTERA AL FATTO - In una lettera al Fatto Quotidiano il numero uno del Pd affronta il caso Penati, suo ex braccio destro coinvolto nell'inchiesta sulle presunte tangenti a Sesto San Giovanni e sui rapporti con l'imprenditore Marcellino Gavio. «Non dovrebbe essere troppo disagevole considerare quali siano le persone che davvero ho motivato e promosso in lunghi anni di vita amministrativa. Ho la presunzione di credere che verrebbe riconosciuto che si tratta di gente in gamba e di gente sicuramente perbene», scrive Bersani. E spiega: «Il ministro delle Attività produttive conosce tutti i principali imprenditori italiani. Li conosce, non li sceglie. Gavio, segnalandomi la preoccupazione per un contenzioso aperto con la Provincia di Milano, mi disse di non conoscere il presidente appena insediato e mi chiese di favorire un incontro con Penati. Così feci, via telefono». Il leader democratico chiede poi di mettere la vicenda Pronzato «nelle giuste dimensioni». «Ho saputo dai giornali che Pronzato era un mio uomo. Non è mai stato mio consigliere alle Attività produttive», scrive Bersani. «Lo trovai 11 anni fa al ministero dei Trasporti come consigliere ministeriale, lo confermai assieme agli altri consiglieri per il solo anno in cui fui ministro. Divenne consigliere Enac parecchi anni dopo». «Quella del doppio incarico è una cosa inopportuna», aggiunge. «Non nego dunque di aver ricavato insegnamenti dalla vicenda, ma vorrei che fosse messa nelle giuste dimensioni».

Redazione online
27 luglio 2011 14:44


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( :mrgreen: )
Se coloro che vincono le gare hanno certificati antimafia ma sono in strette relazioni con altre imprese sottoposte all'attenzione della mafia,tutte munite di certificazioni delle prefetture,allora è un problema diverso che non compete a me valutare. I.F.
mohammed
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i latriceddi sono il primo partito, i ladroni pedofili vanno verso la dissoluzione, così va il mondo...
Allah è grande, Gheddafi è il suo profeta!
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