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Moderatori: NinoMed, Bud, Lilleuro

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NinoMed
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Regmi ha scritto:
E meno male, un passo avanti è stato fatto. Pensavo peggio supponendo che ci sia anche il prof.
Ma, ahimè ahinoi, i risultati di quei bei voti, che giustificano in parte l'etichetta di "genio incompreso", oltre al citato accellerare sono anche questi.
Qui e ora abbi il coraggio di conoscere, se vuoi prendere il mio posto devi studiare bene però :D
quindi ti puoi iscrivere anche tu all'università tematica finanziata da Polidori e autorizzata dal MIUR nonostante il parere negativo del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario.
Have a Nice Day
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DALTANIUS
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NinoMed ha scritto: Qui e ora abbi il coraggio di conoscere, se vuoi prendere il mio posto devi studiare bene però :D
Mi sto battendo strenuamente affinchè nessuno possa prendere il tuo posto in questo forum.

Tu sei il classico esempio, proiettando le dinamiche forumine sul sistema "Itagliano", che anche l'autodidatta, nella sua insipienza totale della materia, può moderare altre persone, l'importante, naturalmente, è buttarla "in caciara", anche scrivendo "ad minkiam", argomenti vari e disparati che non hanno alcuna attinenza.
Ecco perchè tu, non puoi dimetterti da questo forum, ergo la mia cancellazione definitiva!!!!
Tu rappresenti il mondo attuale e perciò sei imprenscindibile in questo spazio.
NinoMed ha scritto: quindi ti puoi iscrivere anche tu all'università tematica finanziata da Polidori e autorizzata dal MIUR nonostante il parere negativo del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario.
Ah lazzarone!!!!! Sei un Wikipedia-dipendente ecco perchè sei cosi preparato. Pur non sapendo, essendo insipiente sull'argomento, con quattro frasi su Google nè vieni fuori in scioltezza, palla al piede, come il vecchio Beckenbauer.

A Roma si direbbe: "Il parere del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario sò stoppamo ar ca....". Ma qui non è il caso.

Molto presto per questioni logistiche dovrò trasferirmi all'Università Bicocca, appena dietro casa mia. Un vero peccato.
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reggino
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Io sono dell'idea che se uno ha voglia di studiare, qualunque università va bene. Da questo punto di vista non esistono università di serie a e università di serie b, così come non esistono scuole di serie a e scuole di serie b.
Io ho un amico che ha fatto l'alberghiero e si laureato a messina, in tempo, mentre altri che hanno fatto il classico, sono al secondo anno fuori corso.
Questo per dire che se uno è determinato e ha voglia di apprendere, se il libro x te lo consiglia l'università y piuttosto che l'università z, non ha importanza, ciò che è importante è che quel libro uno lo apra.
Parliamoci chiaramente: nelle università sono pochissimi quelli che frequentano i corsi, preferiscono prendersi i libro e studiarselo autonomamente, io in sede d' esame ho conosciuto ragazzi che non sapevano neanche chi fosse il professore che li avrebbe interrogati.
Perché come mi è stato detto:" abbiamo vent'anni, non quattordici che abbiamo bisogno delle lezioni del prof, per capire il libro", a questo aggiungici che molti lavorano per mantenersi gli studi oppure sono fuori sede e non possono tutti i giorni andare ad ascoltarsi le lezioni.
Quindi voglio dire io:
se l'80-85%% degli studenti studia da solo a casa(parlo di quelle università in cui la frequenza è facoltativa) e poi riesce a prendersi le materie con voti più alti, magari di chi frequenta, sul piano "formativo" l'università non è che dia tanto.
Ed infatti secondo me l'università dovrebbe formare i ragazzi facendoli entrare nel mondo del lavoro se non subito, quantomeno, una volta preso il "pezzo di carta", altrimenti quale è il ruolo delle università?
secondo me l'idea vecchia basata sul nozionismo, non va più bene, e alla luce dei dati occupazionali allarmanti, servirebbe che le università investissero più sulla pratica che sulla teoria, che è quello che, del resto, fanno alcune università private in Italia.
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Lilleuro
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reggino ha scritto:Io sono dell'idea che se uno ha voglia di studiare, qualunque università va bene. Da questo punto di vista non esistono università di serie a e università di serie b, così come non esistono scuole di serie a e scuole di serie b.
Io ho un amico che ha fatto l'alberghiero e si laureato a messina, in tempo, mentre altri che hanno fatto il classico, sono al secondo anno fuori corso.
Questo per dire che se uno è determinato e ha voglia di apprendere, se il libro x te lo consiglia l'università y piuttosto che l'università z, non ha importanza, ciò che è importante è che quel libro uno lo apra.
Parliamoci chiaramente: nelle università sono pochissimi quelli che frequentano i corsi, preferiscono prendersi i libro e studiarselo autonomamente, io in sede d' esame ho conosciuto ragazzi che non sapevano neanche chi fosse il professore che li avrebbe interrogati.
Perché come mi è stato detto:" abbiamo vent'anni, non quattordici che abbiamo bisogno delle lezioni del prof, per capire il libro", a questo aggiungici che molti lavorano per mantenersi gli studi oppure sono fuori sede e non possono tutti i giorni andare ad ascoltarsi le lezioni.
Quindi voglio dire io:
se l'80-85%% degli studenti studia da solo a casa(parlo di quelle università in cui la frequenza è facoltativa) e poi riesce a prendersi le materie con voti più alti, magari di chi frequenta, sul piano "formativo" l'università non è che dia tanto.
Ed infatti secondo me l'università dovrebbe formare i ragazzi facendoli entrare nel mondo del lavoro se non subito, quantomeno, una volta preso il "pezzo di carta", altrimenti quale è il ruolo delle università?
secondo me l'idea vecchia basata sul nozionismo, non va più bene, e alla luce dei dati occupazionali allarmanti, servirebbe che le università investissero più sulla pratica che sulla teoria, che è quello che, del resto, fanno alcune università private in Italia.
Condivido il tuo discorso, ma più che la frequenza obbligatoria o facoltativa, credo conti la tipologia di corso di studio. Io per esempio ho seguito tutte (o quasi) le lezioni di tutte le materie che ho dato all'università e solo per alcuni corsi avevo l'obbligo di frequenza...l'ho fatto perché mi sono reso conto che studiare a casa non era la stessa cosa, i professori (la maggior parte) avevano la capacità di spiegare i concetti fondamentali delle materie in maniera più chiara e ampia di qualunque libro, spesso a lezione facevano riferimento a cose che poi sui testi non ritrovavo, per non parlare dei tanti casi studio o dei semplici consigli utili a comprendere determinate situazioni reali, le esperienze di laboratorio, le escursioni, eccetera, eccetera...oltre al fatto che a lezione puoi chiarirti qualsiasi dubbio avendo il docente a disposizione, mentre a casa se non capisci qualcosa il libro non può aiutarti. Poi all'esame posso assicurarti che gli studenti (pochi) che non avevano seguito i corsi li riconoscevi con una certa facilità.

Nel mio caso parlo di materie scientifiche, non posso esprimermi su giurisprudenza...ma in generale credo che il corso di studio sia uno dei fattori che determinano se è importante seguire o meno le lezioni
Come si dorme non è importante, come si è svegli è importante

Cit. Vadinho
reggino
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Lilleuro ha scritto:[quote

Condivido il tuo discorso, ma più che la frequenza obbligatoria o facoltativa, credo conti la tipologia di corso di studio. Io per esempio ho seguito tutte (o quasi) le lezioni di tutte le materie che ho dato all'università e solo per alcuni corsi avevo l'obbligo di frequenza...l'ho fatto perché mi sono reso conto che studiare a casa non era la stessa cosa, i professori (la maggior parte) avevano la capacità di spiegare i concetti fondamentali delle materie in maniera più chiara e ampia di qualunque libro, spesso a lezione facevano riferimento a cose che poi sui testi non ritrovavo, per non parlare dei tanti casi studio o dei semplici consigli utili a comprendere determinate situazioni reali, le esperienze di laboratorio, le escursioni, eccetera, eccetera...oltre al fatto che a lezione puoi chiarirti qualsiasi dubbio avendo il docente a disposizione, mentre a casa se non capisci qualcosa il libro non può aiutarti. Poi all'esame posso assicurarti che gli studenti (pochi) che non avevano seguito i corsi li riconoscevi con una certa facilità.

Nel mio caso parlo di materie scientifiche, non posso esprimermi su giurisprudenza...ma in generale credo che il corso di studio sia uno dei fattori che determinano se è importante seguire o meno le lezioni
Idem, pure io ho preferito frequentare, soprattutto perché c'era la possibilità da parte di chi frequentava di usufruire di esoneri e di essere interrogati dal docente di cattedra, senza passare dagli assistenti, altrimenti in alcuni discipline, per i non frequentanti c'era il doppio esame.
Io per un rapporto costo- benefici, ho preferito frequentare le lezioni, eccetto le discipline sotto gli 8 cfu.
Per domande ed approfondimenti, invece, preferivo usufruire dei ricevimenti, perché notavo che c'era anche un rapporto meno distaccato tra alunno e docente.
Ecco: laboratorio, escursioni, sono cose pratiche che secondo me formano e plasmano bene la mente di uno studente.
Io questo "invidio" di coloro che intraprendono studi scientifici, cioè il fatto che già hanno a che fare con cose pratiche.
Mentre chi studia lettere, giurisprudenza, filosofia, scienze politiche, è costretto a fare 5 anni di studio nozionistico, e poi mettersi alla prova con la pratica.
Tirocini, Tfa, Stage, e via dicendo...
Secondo me, nei campi non scientifici, le università sono strutturate in modo obsoleto, non riescono a garantire prospettive
buone al livello occupazionale ai giovani.
Ma è un limite più che altro al sud, dove non ci sono collegamenti con aziende, con l'europa, non ci sono progetti appetibili, il mio intervento precedente era un po' provocatorio, nel senso che secondo me il vero obiettivo di un'università, soprattutto al sud dove un giovane su due non ha occupazione,è quello di aiutare un laureato a trovare un posto di lavoro, invece molti giovani una volta raggiunto il pezzo di carta si trovano in mezzo alla strada.
Però alla Luiss o alla Bocconi, per fare qualche esempio non è così.
Mi si dirà:"però la Luiss e la Bocconi, costano un botto di soldi" ok, ma vedete che anche le università pubbliche oggi come oggi non scherzano, se vai fuori corso, ti conviene ritirarti, perché sennò ti aumentano ancora di più le tasse.
Quindi al netto di un investimento corposo che viene fatto dagli studenti, mi sembra il minimo che gli vengano creata da parte dell'Ateneo delle prospettive occupazionali, altrimenti sarò brutale ma per me non ha senso la sua esistenza.
Se come dice il 24 ore le università del sud, sono poco competitive anche sul piano occupazionale, è un grosso problema, vuol dire negare ad uno studente di affermarsi sul piano lavorativo, nel paese in cui ha studiato.
:salut
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Andrew
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Le tasse, per un ateneo piccolo come il nostro, sono salite veramente a dismisura nell'arco di 6 anni. Ecco perché il calo delle iscrizioni
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Andrew ha scritto:Le tasse, per un ateneo piccolo come il nostro, sono salite veramente a dismisura nell'arco di 6 anni. Ecco perché il calo delle iscrizioni
E' un'ipotesi.
Meglio aspettare il parere di riggiuriggiu.
:wink
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Andrew ha scritto:Le tasse, per un ateneo piccolo come il nostro, sono salite veramente a dismisura nell'arco di 6 anni. Ecco perché il calo delle iscrizioni
E se le tasse sono aumentate invece, perché c'è stato in questi anni proprio un crollo delle iscrizioni?
:salut
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Il crollo delle matricole nelle università del Sud

di Gianni Trovati
Quando posa il proprio sguardo sull’università, la manovra che ha appena iniziato al Senato il proprio cammino parlamentare lo fa per sbloccare gli scatti dei docenti, in linea con il problematico “scongelamento” dei contratti per il resto del pubblico impiego, e per lanciare il nuovo piano straordinario di reclutamento dei ricercatori con le parole d’ordine ormai consuete di “merito” ed “eccellenza”. Nemmeno una parola, e quindi neanche un euro, vengono però spesi per una voce che riguarda da vicino studenti e famiglie: il diritto allo studio.

Con questo silenzio, a dire il vero, la legge di Stabilità non si discosta troppo dalle manovre che l’hanno preceduta, ma questa volta il fatto che borse di studio e simili non facciano nemmeno una comparsa nelle 88 pagine che compongono il testo spedito a Palazzo Madama rischia di fare più rumore del solito. Per due ragioni: il sistema sta provando con scarso successo a digerire le nuove regole dell’Isee, che fanno salire i parametri di molte famiglie escludendole dal raggio d’azione delle borse di studio; il ministero, che sul punto ha appena avviato un tavolo di confronto con le rappresentanze degli studenti, aveva preparato un pacchetto di interventi per rinvigorire un po’ la dote del welfare accademico. A inquietare chi si occupa di università è infatti un fenomeno che negli ultimi anni si è gonfiato, e che con il rachitismo del diritto allo studio all’italiana è strettamente collegato: si tratta del vero e proprio esodo di studenti dagli atenei del Sud, che hanno registrato un crollo nelle immatricolazioni.

I numeri, tratti dall’anagrafe nazionale con cui il ministero registra ingressi e vita di ogni studente universitario, parlano chiaro. Tra il 2011 e il 2015 l’università italiana ha perso nel suo complesso il 6,8% di immatricolati, ma se al Nord la situazione è più o meno stabile (-0,99%) e registra tendenze in qualche caso spiegabili anche con le dinamiche demografiche, la flessione si concentra quasi integralmente nel Mezzogiorno, dove ha raggiunto il -14,5%, con punte del -40% a Reggio Calabria, del -31% alla Parthenope di Napoli e del -28,1% a Messina, mentre i primi segnali del nuovo anno accademico sembrano in linea con le tendenze generali fin qui riscontrate. Tutti i confronti europei confermano che l’Italia continua ad avere meno laureati rispetto ai Paesi “pari grado” della Ue, e che il problema si intensifica a Sud in un circolo vizioso che alimenta i divari strutturali di competitività.

Ma che cosa c’entra tutto questo con le borse di studio? C’entra parecchio, e per capirlo bisogna dare uno sguardo ad altri due numeri, relativi al grado di copertura del diritto allo studio. Il tema, con una scelta rivelatasi infelice, è stato affidato nel 2001 alle Regioni ed è finito quindi nel vortice dei problemi di bilancio che spesso hanno finito per tagliare le spese considerate dai governatori meno problematiche sul piano politico ed elettorale. In questo panorama il diritto allo studio ha giocato un ruolo da cenerentola, generando il fenomeno tutto italiano degli “idonei non beneficiari”.

In pratica, lo studente fa domanda per ottenere lo sconto parziale o totale delle tasse d’iscrizione, l’ente per il diritto allo studio certifica che l’interessato ha tutte le carte in regola per ottenere l’aiuto ma poi non gli dà un euro perché i soldi non ci sono. La geografia dei buchi del diritto allo studio - qui sta il punto - si sovrappone quasi perfettamente a quella dei “deficit” più intensi nelle serie storiche sulle immatricolazioni. Con l’eccezione della Basilicata, dove la copertura è totale, le falle sono enormi e vedono in Sicilia la borsa di studio garantita solo al 32,3% degli studenti che ne avrebbero diritto, mentre in Calabria si arriva al 42,1% e in Sardegna al 56 per cento. Al Nord la copertura più o meno integrale è la regola, ma anche qui c’è l’eccezione rappresentata dal Piemonte. Nasce da qui la media nazionale, che vede garantire la borsa di studio solo a tre quarti degli studenti “idonei” e di fatto trasforma il “diritto” allo studio in un favore.

La morale della favola a questo punto è evidente. Il welfare accademico ha il fiato più corto proprio dove se ne dovrebbe sentire di più il bisogno, perché i redditi medi delle famiglie sono inferiori e la propensione agli studi universitari trova sulla propria strada più ostacoli economici e sociali che altrove.

In un panorama come questo, non può che rafforzarsi la dinamica segnalata nell’ultimo rapporto di AlmaLaurea, il consorzio di atenei che censisce i risultati accademici e professionali dei laureati italiani: in molte regioni l’università rischia di essere una prospettiva riservata ai benestanti, soprattutto per le famiglie che possono sobbarcarsi i costi dell’emigrazione accademica del proprio figlio a Roma o al Nord, mentre «gli studenti più capaci, ma meno mobili e residenti nei contesti sfavoriti» devono fare i conti con «il peggioramento progressivo della qualità dei servizi», nell’attesa sempre più lunga di un ascensore sociale che rischia di non passare mai.

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