peppe sculli uomo d'onore

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04Giu2012
IL PERSONAGGIO: Giuseppe Sculli, calciatore d’onore tra gol e violenza. La partita-salvezza venduta al MESSINA CALCIO del 2002. “Con Campolo (capitano del Messina) ho litigato. Mi ha detto: ‘Tu non sei un uomo d’onore’. A me! Gli ho detto: non permetterti di dirlo più, perché ti aspetto fuori e ti do una passata di botte, porcheria”Postato da Enrico Di GiacomoCommentaCronaca da Messina e dintorni, Inchieste“Nella mia famiglia non si dice mai di no. A nessuno. Siamo così purtroppo e non possiamo farci niente”. Alla fidanzata di allora, “l’uomo d’onore” Giuseppe Sculli diceva la verità. Dieci anni dopo l’orizzonte non è cambiato. Esistono i rapporti di forza. I dinieghi che si possono sostenere, i messaggi da mandare all’esterno, le maglie di cui simbolicamente è meglio non svestirsi e i sì che è necessario dire.

LE RADICI. Il rischio. Il destino. Quello riservato all’ala del Genoa è di poter volare nei limiti di una gabbia. Con l’illusione di essere libero, esercitando la propria forza in uno zoo di deboli. Forte con i tifosi, ubbidiente con i vincoli ancestrali. In prigione comunque. Presto o tardi. Da eccesso vivente, attrazione bullesca da circo, parodia involontaria, per frequentazioni, linguaggio, inclinazioni, di veri profili criminali. Suo nonno, Peppe Morabito, feudatario di Africo, era un temuto ras della ‘ndrangheta. Peppe Sculli ha provato a fuggire dalla Calabria, imitando l’ossessione dei latitanti. Evadere. Dalla periferia del pallone e dalla normalità. Uno in mezzo a mille. Da non confondere con i colleghi. Da prendere a schiaffi come il centrocampista serbo Bosko Jankovic. O da insultare. “Questo è coglione”, dice dell’attaccante Luca Toni mentre ipotizza di ricattarlo a mezzo foto per qualche allegra serata a distanza di sicurezza dalla compagna Marta, chiamata, tra gli sghignazzi, “Carabinerovic”. Sculli ha il suo codice. Silenzio e opportunismo. Sa quando annuire (l’ultrà Massimo Leopizzi insulta il portiere Sebastian Frey, “una merda”, e Peppe concorda: “Hai pienamente ragione”) e quando incassare la sottomissione del suo presidente, Enrico Preziosi. Uno che gli paga lo stipendio, commercia in giocattoli senza capire che quello principale è andato in pezzi e ancora oggi, scisso tra ambiguità e terrore (la moneta bifronte scambiata in questi strani giorni) sostiene di continuare a “volergli bene”. Prima di ritornare a gennaio in Liguria, ancora sentimentale di una valigia sempre aperta tra Juve, Verona, Modena (dove diventò amico di Stefano Mauri e Omar Milanetto) e Messina, Sculli giocava nella Lazio. Non ci sarebbe mai arrivato se non fosse partito da Crotone. In tribuna si appollaiava suo padre Francesco, geometra del comune di Bruffano Zeffirio, Aspromonte. Nel 2002, in occasione delle elezioni, la famiglia di Sculli appoggiò una lista civica. “Uniti per Bruzzano”. E il ragazzo, tra le 1.200 anime del paese, seppe darsi da fare. Il 22 maggio dello stesso anno, intercettato come un Cetto La Qualunque qualsiasi, Sculli raccontava al telefono i metodi di persuasione in atto. Un certo A. S. non era convinto dell’opportunità offerta da “Uniti per Bruzzano”, ma, spiegò Peppe, seppe ravvedersi: “L’ho fatto stringere dal Barbazza… È andato il Barbazza con la Mercedes lo voleva investire. Gli ho detto che deve venire con me e prendere la scheda controllata e finiamola qua”.

SISTEMI RAPIDI. Replicati anche il 2 giugno 2002. A Crotone, con la squadra di casa già retrocessa in C, ormeggia un Messina disperato. Per non disputare lo spareggio con il Cosenza i siciliani devono vincere e sperare che il Bari, contestualmente, batta la Ternana. Risultati che si verificano (doppio 2-1) e festa dal conto salato. Quando il cugino di Sculli, Rocco, chiede “Ma i ‘capicolli’ li hanno portati?”. Peppe esulta: “Minchia (…) 4 qua e 6 li hanno dati al Bari e hanno affondato la Ternana”. Sculli voleva la sua parte. Qualcuno aveva deciso senza di lui e Peppe, allora, si era incazzato. Facendo quello per cui gli ingenui soffrono. Segnando il gol dell’1-1. Un avvertimento. A fine primo tempo, come rivelò lo stesso Sculli al cugino, accadde di tutto: “Gli ho fatto stringere il culo sull’uno a uno. Nel sottopassaggio siamo finiti a botte. Gli ho detto caccia le mani. Via di qua. Non mi cacate il cazzo, minchia. Un macello è successo. Sull’uno a uno sai come se la facevano addosso. Sembrava che mi avessero dato il nandrolone. A 300 andavo. Non mi prendevano mai, tunnel, controtunnel. Con Campolo (all’epoca capitano del Messina, ndr) ho litigato. Mi ha detto: ‘Tu non sei un uomo d’onore’. A me! Gli ho detto: ‘Non permetterti di dirlo più, perché ti aspetto fuori e ti do una passata di botte, porcheria (…). Poi ho litigato con un dirigente, gli ho sparato un pugno in testa”. Viuuleenzaaa. Coerenza. (Ma. Pa.) (Il Fatto Quotidiano)


CALCIO / L’INCHIESTA DI REGGIO CALABRIA -
La mezzala è uomo d’onore

DALL’ARCHIVIO DELL’ESPRESSO -
Trattative prima del match. E nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo minacce e poi l’accordo. Così, secondo i carabinieri, Sculli ha venduto al Messina la partita-salvezza.
Quando la fidanzata di Giuseppe Sculli ha visto il suo ragazzo che si dirigeva verso la palla per battere la punizione, non credeva ai suoi occhi. Sculli è un’ottima mezzala. Nel 2004 è stato nazionale Under 21 ed è riuscito a vincere in una sola estate gli Europei e il bronzo olimpico. Però non è uno specialista nelle punizioni. E invece quel 2 giugno del 2002, durante Crotone-Messina, arrivò a scansare un compagno per tirare lui. La palla andò fuori. Il Crotone (dove allora militava) finì in serie C e il Messina (dove oggi gioca Sculli) vinse la partita e si salvò dalla retrocessione a spese della Ternana. Oggi, grazie all’inchiesta del pm antimafia Nicola Gratteri di Reggio Calabria, si scopre perché Sculli ci teneva tanto a sbagliare la punizione. Secondo le informative dei carabinieri, che ‘L’espresso’ ha letto, i crotonesi sono stati pagati per perdere e i baresi per vincere con la Ternana, battuta 2 a 1 in quel finale di campionato definito già allora dal presidente del Cagliari, Massimo Cellino, “sospetto”. Nelle intercettazioni si parla di ‘capocolli’ che sarebbero partiti da Messina alla volta di Bari e di Crotone. Per la Procura non si tratta dei prelibati salumi calabresi, ma di soldi sonanti o regali di valore. Secondo i carabinieri, Sculli è il protagonista della combine, ma altre quattro persone avrebbero (il condizionale è d’obbligo visto che non sono indagati) avuto un ruolo. Sono il presidente del Crotone Raffaele Vrenna, il calciatore del Messina Leo Criaco, oggi in forze all’Avellino, e il direttore tecnico del Messina Nicola Salerno, ora al Cagliari come pure il team manager del Messina Ciccio La Rosa, citato in una telefonata. A svelare il mistero della punizione sbagliata è Sculli stesso. La fidanzata lo chiama due ore dopo la partita sul cellulare e gli chiede: “Perché l’hai battuta tu la punizione ? La prima punizione della tua vita. Voleva battere l’altro…”. Il calciatore spiega: “Eh sì, amore, perché c’era un ‘ventello’. Se batteva l’altro faceva goal amore e io perdevo… i venti… il ventello amore. Ti compro un bel telefonino”. I due ridono di gusto e cominciano a parlare del modello di cellulare, ma alla ragazza rimane un dubbio: “E perché hai segnato?”. Sculli non risponde. Eppure la domanda non è stupida. Un bomber è pagato per segnare, ma il gol dell’uno a uno al ventesimo del primo tempo insaccato nella rete del Messina sarebbe servito solo a Sculli, non al Crotone, già matematicamente retrocesso. Quel gol doveva servire a far paura al Messina e indurlo a sganciare qualcosa al calciatore: è questa la perversa logica del calcio al contrario che, secondo i carabinieri, emerge dalle telefonate trascritte. In quel periodo Sculli era intercettato non in qualità di calciatore , ma in qualità di nipote del boss dei boss della Calabria: Giuseppe Morabito da Africo, detto il Tiradritto. Il nonno di Sculli, padre di sua mamma, è stato arrestato nel 2004 dopo 12 anni di latitanza, proprio grazie alle indagini dei carabinieri nelle quali ora è rimasto impigliato il calciatore. Alla vigilia dell’ultima di campionato, Crotone-Messina, nel maggio 2002, i carabinieri si imbattono in un paio di telefonate sospette tra Sculli e Leo Criaco, che militava nel Messina e che però è di Africo come la famiglia del Tiradritto. Tra compaesani certi discorsi vengono meglio e così Sculli, secondo gli investigatori, chiede a Criaco ‘quattro capocolli’ per vendere al Messina la partita. Tutto fila liscio fino a due giorni prima del match. Il 31 maggio 2002 però Sculli racconta a suo cugino Rocco che i vertici del Messina lo hanno scavalcato, concordando direttamente con il presidente del Crotone, Raffaele Vrenna, il risultato dell’incontro. Il presidente, dice Sculli, vuole “mangiare da solo”. Ecco allora spiegato il gol al ventesimo del bomber. Secondo i carabinieri “Sculli aveva ammonito il presidente Vrenna per tale comportamento e lo aveva minacciato di ribaltare le sorti dell’incontro”. È lo stesso Sculli a raccontarlo al cugino: “Gli ho detto: figlioli il pallone è rotondo!”. E il cugino Rocco chiosa: “Se si deve mangiare un pezzo di pane lo devono mangiare tutti”. Il Messina poche ore prima dell’incontro cerca di correre ai ripari, Criaco dice a Sculli: “Se ti comporti bene… qualcosa personale si può fare”. Ma lui non vuole elemosine e quando alla vigilia un amico gli chiede se il Crotone avrebbe mandato in campo una riserva al suo posto, lui ribatte ridendo: “Ma che fai scherzi? Io domani devo giocare la partita della mia vita”. Il Crotone era già retrocesso e il bomber calabrese stava per essere venduto. Dove trovava Sculli questa carica? I carabinieri scrivono: “Voleva boicottare gli accordi tra le due società circa il risultato finale dell’incontro”. E ci riesce. Con un tiro di piatto destro al ventesimo pareggia il gol dell’uno a zero e spalanca al Messina il baratro dello spareggio con il Cosenza, appaiato al quartultimo posto. Poi arriva il secondo tempo e la musica cambia. Sculli si spegne e il cronista della ‘Gazzetta dello Sport’ scrive: “La ripresa era al limite della noia. Il Crotone effettuava (si fa per dire) l’unico tiro da 40 metri di Sculli al 32esimo. Poi la folla giallorossa scatenava tutta la sua gioia alla notizia della fine della gara di Bari che sanciva la retrocessione della Ternana e la salvezza del Messina”. Cosa è accaduto nell’intervallo? Lo racconta Sculli al solito cugino: “Gli ho fatto stringere il culo sull’uno a uno. Nel sottopassaggio sono venuti a prendermi dalla maglia. Siamo finiti a botte. Gli ho detto caccia le mani. Via di qua. Non mi cacate il c… Minchia, si è alzato anche il presidente. Un macello è successo. Sull’uno a uno sai come se la facevano addosso. A me sembrava che mi avessero dato il nandrolone. A trecento andavo. Non mi prendevano mai, tunnel, controtunnel, i loro difensori non mi vedevano. Con Campolo (capitano del Messina) ho litigato. Mi ha detto: ‘Tu non sei un uomo d’onore’. A me! Gli ho detto: non permetterti di dirlo più, perché ti aspetto fuori e ti do una passata di botte, porcheria. Un macello è successo, poi ho litigato con un dirigente, gli ho sparato un pugno in testa, lì nel sottopassaggio”. Il cugino Rocco va al sodo: “Ma i ‘capicolli’ li hanno portati?”. Sculli risponde: “Minchia se li hanno portati. Ne hanno portati quattro qua e sei glieli hanno dati a Bari e hanno affondato la Ternana”. Il gip ha trasmesso tutto alla Procura ordinaria perché questi fatti non provano che Sculli faccia parte di un gruppo mafioso, ma configurano solo “responsabilità di tipo disciplinare (di competenza degli organi sportivi) o anche penale (di competenza di altra autorità giudiziaria)”. Il pm antimafia Nicola Gratteri ha contestato l’associazione mafiosa non tanto perché Sculli ama farsi chiamare ‘uomo d’onore’, bensì per i metodi che il calciatore avrebbe usato per convincere i suoi compaesani a votare per chi diceva lui alle elezioni del 2002. Bruzzano Zeffirio è un centro dell’Aspromonte teatro di una faida sanguinosa dove il padre di Sculli, Francesco, è capo dell’ufficio tecnico e la sua famiglia muove i fili della politica dietro le quinte. Il calciatore però entra nella campagna elettorale a gamba tesa. Il 22 maggio del 2002 Sculli racconta al telefono come ha convinto un certo A. S. a votare la lista sostenuta dalla famiglia: “L’ho fatto stringere dal Barbazza…. È andato il Barbazza con la Mercedes lo voleva investire. Voleva investirlo con la Mercedes… Gli ho detto che deve venire con me e prendere la scheda controllata e finiamola qua”. Per dimostrare la vicinanza di Sculli al clan del nonno, gli investigatori citano anche altre telefonate. Quando arrestano un paio di persone vicine al Tiradritto, per esempio, il calciatore chiede: “Ha cantato qualcuno?”. Un giorno del 2002 i carabinieri intercettano questo sms del calciatore: “Domani mattina alle 05,00 devo ritornare. Non devi fare come oggi perché non mi posso portare il cellulare. Devo camminare tanto a piedi e ho paura che mi cade e lo perdo. Vado per quella terra che ti avevo raccontato perché a lei gliela vogliono levare perché se ne è andata a Milano e lui si è arrabbiato tanto”. Secondo i carabinieri, una telefonata del giorno dopo tra Sculli e la fidanzata spiega il senso di quella passeggiata: Sculli si sarebbe recato dal nonno latitante. In realtà la telefonata spiega molto di più. Alla ragazza che contesta le sue scelte, Sculli replica: “Io non faccio le scelte amore. Tu lo sai che ho una famiglia particolare. Lasciami stare perché è meglio”. Lei chiede: “Ma è necessario?”. E lui replica: “È necessario amore. Perché nella mia famiglia non si dice no. Nella tua forse si dice no. Nella mia famiglia non si dice mai di no. A nessuno. Siamo così purtroppo e non possiamo farci niente. Non vieni certo tu a cambiare la cosa”. MARCO LILLO - ha collaborato Roberto Gugliotta - L’Espresso 4-11-05
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_naka
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notizia vecchissima....
PIU' VIVO PIU' TI AMO ! Tu sempre tu ,canterò sempre di più !! Ho visto la reggina mi sono innamorato e non la lascerò mai più !
Forza Toro
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E' un bravo ragazzo (cit).
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