Andrea Agnelli "Così va cambiato il calcio"

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Cit. Vadinho
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L'intervista al presidente della societa' bianconera
Agnelli: «Così va cambiato il sistema calcio»
Da Calciopoli a Conte, da Del Piero alla nuova Serie A: il pallone secondo il numero uno della Juventus
L'intervista al presidente della societa' bianconera

Agnelli: «Così va cambiato il sistema calcio»

Da Calciopoli a Conte, da Del Piero alla nuova Serie A: il pallone secondo il numero uno della Juventus


Andrea Agnelli (Ansa)
TORINO - Il bambino di nome Andrea con i calzoni corti è in piedi vicino alla panchina dove siede suo padre Umberto e guarda avanti. Distanti un paio di metri, ma la direzione degli occhi è la stessa.
Sulla panchina, accanto al padre Umberto c'è un signore. «Mi hanno detto chi è, ma non ricordo il nome, è qualcuno di Villar Perosa». Juventus dinastica e popolare. La foto l'ha trovata rivoluzionando (anche) l'arredamento della sede sociale. Andrea Agnelli, il rinnovatore.

È stato allora che ha pensato: farò il presidente della Juventus?
«Non l'ho mai pensato, gli eventi si evolvono e possono portare ad assumere certe responsabilità. Il fatto che ci sia stato l'impegno diretto di uno della famiglia dimostra quanto la Juve stia a cuore a tutti noi».

Come affronta questo peso?
«Uno un po' ci cresce, ti motivano. Una medaglia ha sempre due facce, privilegi e responsabilità».




Andrea Agnelli e John Elkann ascoltano Conte (LaPresse)
Dopo un anno e mezzo da presidente, com'è la bilancia?
«L'elemento che mi ha colpito di più è la totale assenza di un sistema di governo e di regole che possa permettere al calcio di svilupparsi. Mi sono confrontato con un sistema in stallo che paghiamo col ranking Uefa e la difficoltà a proporci in Europa come organizzatori di grandi eventi. Al pari del Paese, anche il sistema dello sport ha necessità di riformarsi».

E invece per quello che riguarda la Juventus?
«Qui siamo padroni del nostro destino. Quello che non si vede è stato il profondo rinnovamento della società. Uno semina, lavora e dopo arrivano i frutti».

I frutti già si vedono, la Juve è prima.
«Ha ragione Conte: se l'avessero detto a luglio che a dicembre saremmo stati primi in classifica e imbattuti nessuno l'avrebbe creduto. La direzione è giusta. Da qui possiamo cominciare a costruire inserendo, in un impianto esistente, uno o due giocatori all'anno».

Perché ha scelto Conte?
«La sua determinazione, la sua competenza, la sua grinta, la sua voglia di far bene sposavano appieno il cambiamento che io ho portato in Juventus. Il rapporto con lui è vecchio di vent'anni, l'ho rivisto e ho capito cosa poteva trasmettere».

Discute le sue scelte tattico-tecniche?
«Non esiste che un presidente dica: facciamo giocare questa formazione. Esistono responsabilità e competenze. E mi comporterei allo stesso modo se parlassimo di una fabbrica di bulloni. Dopo si commenta».

Ha paura di gennaio, il mese nero della Juve?
«Non sono scaramantico. A Tokyo, prima della finale della Coppa Intercontinentale del 1996 comprai una giacca. Mi sono chiesto: la metto o non la metto? L'ho messa. Se bastasse mettere o non mettere una giacca per vincere o non vincere saremmo campioni tutti gli anni».

Chi era lo juventino della sua adolescenza-giovinezza?
«Sono cresciuto prima con Gentile e poi con Montero. Nessuna finezza in campo. Sono un difensore, ho giocato fino ai giovanissimi, poi sono andato in Inghilterra e ho continuato lì. E continuo ancora».

Ah, la famosa partitella del giovedì con Nedved.
«Con venti persone tra cui anche Pavel».

Milan-Juve, foto d'altri tempi.
«Non c'è solo il Milan. Si gioca partita dopo partita e i conti si fanno a maggio».

La sorpresa del campionato?
«È un campionato altamente incerto, con squadre medio-piccole che stanno facendo bene anche grazie alla redistribuzione dei diritti tv: il Chievo con il solo differenziale dei diritti tv paga tutto il monte ingaggi».

Questo per voi «grandi» non è giusto.
«Non è questione di giusto o sbagliato, tolta la Spagna, tutte le altre nazioni viaggiano su un principio di diritti collettivi. Il fatto è che l'anno scorso con accordi presi e documenti già firmati, una delibera ha modificato il sistema di quantificazione del bacino d'utenza: 200 milioni. Noi avevamo una pianificazione di un certo tipo e ci è cambiata in corsa».


Con Alex Del Piero (LaPresse)
Lei sarebbe per una riduzione delle società professionistiche?
«Drastica. Io sarei per allinearci alla Spagna, 40, 42. Serie A, serie B, una riga qua. Quando uno fa dalla A alla B già ha degli sconquassi, dalla B alla C non ne parliamo. Prendete la classifica della Lega Pro: accanto a metà delle squadre c'è l'asterisco: 2, 3, 4 punti di penalizzazione. Non giustifico nessuno ma quando si scommette sugli avvenimenti sportivi e io non ti pago lo stipendio, poi è più facile rubare».

Inevitabile capitolo sullo scudetto 2006 e dintorni. A che punto siamo?
«Sono uscite delle notizie importanti, anche se da verificare. Nell'esposto nel maggio del 2010 chiedemmo se sussistevano le condizioni per le quali il commissario straordinario assegnò lo scudetto all'Inter. La relazione di Palazzi dice di sì, l'intervista pubblicata dal Corriere dello Sport ieri svela che l'inchiesta fu sommaria. Non ci si rende conto di quello che ha determinato il 2006 per noi. Abbiamo richieste, le più diverse, di risarcimento danni per circa 600 milioni di euro. Con la nostra siamo a quasi un miliardo che pende. Chiudere con "fu giustizia sommaria ci spiace", come si voleva fare con il documento non firmato al tavolo del Coni, non è semplicissimo».

Lei difende i 29 scudetti della Juve, parla di squadra che vinceva sul campo, ma non menziona mai i dirigenti.
«Innanzitutto scomponiamo. Noi abbiamo un anno sotto inchiesta, il 2004-2005. Il 2005-2006 è pulito: subiamo la penalizzazione su un anno in cui non c'è niente e i designatori arbitrali sono cambiati. Se il capo dello sport e quello del calcio mi parlano di giustizia sommaria, quali che fossero i dirigenti, fu giustizia sommaria. E poi siamo entrati in un procedimento penale: i giudizi li possiamo dare solo alla fine».

Ma lei non crede che, comunque, quel sistema in cui controllati e controllori erano tutti amici e commensali fosse da estirpare?
«Sì. Ma di arbitri si parla ancora adesso e poi, conoscendo il carattere delle persone, c'è chi è più riservato e c'è chi è più colorito, anche quando parla al telefono».

Altra obiezione. Le telefonate di Moggi sono molto diverse, nei toni, da quelle di Facchetti.
«Perché allora si accusa la Juventus di articolo 1 e l'Inter di articolo 6? Se io sto a quello che è l'impianto accusatorio del procuratore federale, nei confronti dell'Inter è molto più severo. Questo è Palazzi, risponde lui».

Proposta di pace: la Juve rinuncia ai due scudetti e l'Inter a quello a tavolino. Amen.
«No. Credo che ci sia la necessità di fare chiarezza, quando avremo il quadro completo si potrà passare a una negoziazione politica».


Con Pavel Nedved (LaPresse)
Lei e Moratti che rapporti personali avete?
«A monte di tutto c'è l'educazione e la civiltà. Abbiamo posizioni diverse, ma senza astio o mancanza di rispetto».

Nessun astio neanche con Del Piero, da lei prepensionato?
«A me affascina, lo confesso, il sistema di prendere delle affermazioni e rivoltarle. Fu Alex, cinque mesi prima, a dire che avrebbe firmato il suo ultimo contratto con la Juve».

Per il popolo Del Piero è ancora il supereroe.
«Il bello di Del Piero è che lo sarà sempre un supereroe della Juve».

E il suo, in questa squadra?
«Il supereroe è sempre la squadra, il gruppo».

Ma chi si avvicina a Gentile e Montero?
«Un duro come Chiellini».

Quanto tempo dedica alla Juve?
«La mia giornata lavorativa va dalle 8 alle 20 e la Juve in questo momento prende nove, dieci ore».

Da suo padre dirigente che cosa ha ereditato?
«Le due epoche sono troppo diverse. Per quello che riguarda il resto anche il fatto che mi dicano che gli assomiglio è già moltissimo».

Ha appena avuto il secondo figlio, che cosa spera per i suoi bambini?
«Uno per i figli spera sempre il meglio, non pensa al contesto. A proposito: Giacomo Dai è Davide in gaelico. Mia moglie ha questa origine. Non è una stranezza».

Daniele Dallera
Roberto Perrone
24 dicembre 2011 (modifica il 25 dicembre 2011)
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