BONAZZOLI LA REGGINA NEL CUORE
Inviato: 08/04/2014, 12:26
http://gianlucadimarzio.com/news/italia ... ungherese/
Non so a voi ma a me viene da piangere leggendo i ricordi i Emiliano..
Comu ndi cumbinammu
Italians, Bonazzoli si racconta: dalla Nazionale al Marano con la Reggina nel cuore. E un presente che parla ungherese
20/03/2014 - 10:00
Honvéd, uno spicchio d’Italia in Ungheria. Una vera e propria colonia tricolore: dietro la scrivania il ds Cordella, in panchina Marco Rossi; sul campo Arturo Lupoli, Andrea Mancini, Raffaele Alcibiade ed Emiliano Bonazzoli. Proprio lui. Quell’attaccante con un fisico bestiale e il gol nel sangue. Trentacinque anni e non sentirli, il calcio come ragione di vita. La voglia di respirare i profumi del campo, la stessa di quando ragazzino si avvicinava a quel mondo del pallone di cui sarebbe diventato protagonista per diverse stagioni. Un girovago del calcio, Emiliano Bonazzoli. Undici maglie diverse indossate in carriera, a cui aggiungere quella azzurra della Nazionale. Era il novembre 2006. Oggi, otto anni dopo, Bonazzoli corre ancora dietro un pallone. La fame di gol è sempre la stessa, la voglia di rimettersi in gioco lo ha spinto fino in Ungheria. Nuove emozioni sempre diverse, come lo stesso Emiliano Bonazzoli racconta a GianlucaDiMarzio.com
Che emozioni si provano a ripartire da zero ed affrontare una nuova realtà come quella del calcio ungherese? Cosa l’ha spinta a trasferirsi all’Honvéd?
Sinceramente, è da un paio di anni che avevo voglia di fare un’esperienza all’estero: fosse stato in Ungheria, in America, in Cina per me sarebbe stato uguale. Avevo questo desiderio di cambiare, di giocare in un campionato diverso. Ad inizio gennaio mi è arrivato questa proposta e mi sono subito rimesso in gioco.
Ma che genere di calcio ha trovato in Ungheria? Fuori dal campo, invece, che atmosfera c’è intorno al movimento pallone?
Innanzitutto è un campionato, non dico conosciuto come Italia, Spagna e Inghilterra, ma è pur sempre una Serie A. Si gioca un calcio fisico, ho trovato squadre con molti “picchiatori”. Magari c’è poca tattica rispetto all’Italia, ma c’è davvero molta fisicità. E’ la prima volta che sono all’estero, per me è tutto nuovo. Abito da solo, ed esco soltanto quando c’è mia moglie altrimenti faccio casa e campo. Il calcio è abbastanza seguito, sia quello nazionale che i campionati esteri. La Serie A italiana ha un posto speciale: pensa, che c’è un canale che segue da vicino il Milan, mostrano gli allenamenti a Milanello, interviste ai giocatori.
Com’è stato il primo impatto con la nuova realtà? Ha fatto fatica ad ambientarsi?
Nella squadra dove gioco ci sono tanti italiani, iniziando da mister Rossi e proseguendo con il direttore sportivo , Fabio Cordella, senza dimenticare i numerosi compagni di squadra: Lupoli, Mancini, Alcibiade e Diarra che è malese ma ha giocato per tanti anni in Italia. Ecco, loro mi hanno aiutato molto ad inserirmi. Noi italiani siamo visti molto bene, il nostro arrivo qui all’Honvéd ha fatto un po’ di clamore. Lo stesso Lanzafame che ha giocato con questa maglia lo scorso anno, facendo molto bene, è ricordato con piacere dalla gente.
Ma quando è nata dentro di lei l’idea di provare un’esperienza all’estero?
La verità è questa: io volevo rimanere a Padova, mia moglie è di li e io mi ero ormai stabilito in quella città. Pensavo di continuare dopo la breve parentesi dello scorso anno, poi è cambiata la società ed hanno fatto le loro scelte. A quel punto, ho deciso che o sarei rimasto a Padova o li vicino, oppure sarei andato all’estero.
Ed è proprio in quest’ottica che rientra la parentesi Marano…
Sicuramente è stata una scelta sbagliata da parte mia, ma anche di chi mi ha portato li. E’ stata una decisione affrettata, non ho avuto nemmeno il tempo per ponderare bene i pro e i contro. Dal professionismo al dilettantismo le realtà è completamente diversa: la gente, solo perché hai giocato in Serie A e B, si aspetta che fai 4-5 gol a partita. Invece non è cosi: bisogna valutare tante componenti, non è semplice come sembra. Una cosa che non mi è piaciuta, è stata che sia stata messa in discussione la mia professionalità, il mio impegno, da parte di qualcuno in società. Questo mi ha fatto arrabbiare molto.
Quali sono i suoi obiettivi futuri? Pensa ancora di tornare a giocare in Italia?
Per adesso, penso solo a dare il massimo nei prossimi tre mesi. Nelle ultime stagioni, per diversi motivi, ho giocato poco, e adesso ho bisogno di ritrovare continuità. Per il futuro si vedrà. L’importante è che stia bene fisicamente, poi magari potrei giocare anche in qualche altro campionato, ma sempre all’estero. La mia carriera in Italia ormai si è conclusa, e devo ammettere che negli ultimi anni il calcio nel nostro paese non sta andando bene, e non solo sotto l’aspetto economico, ma intravedo una mancanza di programmazione da parte dei club: dopo un paio di partite in cui non arrivano risultati, si è subito pronti a cambiare tutto.
Sguardo al passato. Nella sua carriera ha indossato tante maglie, qual è quella alla quale si sente più legato? Quali sono i momenti della sua carriera che ricorda con maggiore piacere?
Sicuramente la Reggina. Ho indossato la maglia amaranto per sei anni e mezzo, ed ho un ottimo rapporto con la gente. Lo spareggio con l’Atalanta, il gol a Roma contro la Lazio la splendida stagione con Atzori in cui siamo arrivati ai playoff: ricordi splendidi che porterò sempre con me. Ma in carriera ho avuto la fortuna di vivere tanti bei momenti, come l’esordio con la Nazionale o la Coppa Italia vinta con la maglia del Parma contro la Juventus.
Una carriera ricca di soddisfazioni, se invece le dico di dirmi un rimpianto?
Il primo anno alla Sampdoria stavo facendo davvero un ottimo campionato, poi purtroppo mi ruppi il crociato. L’anno seguente, la stessa cosa: stavo tornando ai miei livelli, quando anche l’altro crociato fece crack. Questi stop hanno un po’ frenato la mia carriera, e da quel momento ho fatto fatica a riprendermi. Ma il calcio è anche questo, e gli infortuni fanno parte del gioco.
Non so a voi ma a me viene da piangere leggendo i ricordi i Emiliano..
Comu ndi cumbinammu
Italians, Bonazzoli si racconta: dalla Nazionale al Marano con la Reggina nel cuore. E un presente che parla ungherese
20/03/2014 - 10:00
Honvéd, uno spicchio d’Italia in Ungheria. Una vera e propria colonia tricolore: dietro la scrivania il ds Cordella, in panchina Marco Rossi; sul campo Arturo Lupoli, Andrea Mancini, Raffaele Alcibiade ed Emiliano Bonazzoli. Proprio lui. Quell’attaccante con un fisico bestiale e il gol nel sangue. Trentacinque anni e non sentirli, il calcio come ragione di vita. La voglia di respirare i profumi del campo, la stessa di quando ragazzino si avvicinava a quel mondo del pallone di cui sarebbe diventato protagonista per diverse stagioni. Un girovago del calcio, Emiliano Bonazzoli. Undici maglie diverse indossate in carriera, a cui aggiungere quella azzurra della Nazionale. Era il novembre 2006. Oggi, otto anni dopo, Bonazzoli corre ancora dietro un pallone. La fame di gol è sempre la stessa, la voglia di rimettersi in gioco lo ha spinto fino in Ungheria. Nuove emozioni sempre diverse, come lo stesso Emiliano Bonazzoli racconta a GianlucaDiMarzio.com
Che emozioni si provano a ripartire da zero ed affrontare una nuova realtà come quella del calcio ungherese? Cosa l’ha spinta a trasferirsi all’Honvéd?
Sinceramente, è da un paio di anni che avevo voglia di fare un’esperienza all’estero: fosse stato in Ungheria, in America, in Cina per me sarebbe stato uguale. Avevo questo desiderio di cambiare, di giocare in un campionato diverso. Ad inizio gennaio mi è arrivato questa proposta e mi sono subito rimesso in gioco.
Ma che genere di calcio ha trovato in Ungheria? Fuori dal campo, invece, che atmosfera c’è intorno al movimento pallone?
Innanzitutto è un campionato, non dico conosciuto come Italia, Spagna e Inghilterra, ma è pur sempre una Serie A. Si gioca un calcio fisico, ho trovato squadre con molti “picchiatori”. Magari c’è poca tattica rispetto all’Italia, ma c’è davvero molta fisicità. E’ la prima volta che sono all’estero, per me è tutto nuovo. Abito da solo, ed esco soltanto quando c’è mia moglie altrimenti faccio casa e campo. Il calcio è abbastanza seguito, sia quello nazionale che i campionati esteri. La Serie A italiana ha un posto speciale: pensa, che c’è un canale che segue da vicino il Milan, mostrano gli allenamenti a Milanello, interviste ai giocatori.
Com’è stato il primo impatto con la nuova realtà? Ha fatto fatica ad ambientarsi?
Nella squadra dove gioco ci sono tanti italiani, iniziando da mister Rossi e proseguendo con il direttore sportivo , Fabio Cordella, senza dimenticare i numerosi compagni di squadra: Lupoli, Mancini, Alcibiade e Diarra che è malese ma ha giocato per tanti anni in Italia. Ecco, loro mi hanno aiutato molto ad inserirmi. Noi italiani siamo visti molto bene, il nostro arrivo qui all’Honvéd ha fatto un po’ di clamore. Lo stesso Lanzafame che ha giocato con questa maglia lo scorso anno, facendo molto bene, è ricordato con piacere dalla gente.
Ma quando è nata dentro di lei l’idea di provare un’esperienza all’estero?
La verità è questa: io volevo rimanere a Padova, mia moglie è di li e io mi ero ormai stabilito in quella città. Pensavo di continuare dopo la breve parentesi dello scorso anno, poi è cambiata la società ed hanno fatto le loro scelte. A quel punto, ho deciso che o sarei rimasto a Padova o li vicino, oppure sarei andato all’estero.
Ed è proprio in quest’ottica che rientra la parentesi Marano…
Sicuramente è stata una scelta sbagliata da parte mia, ma anche di chi mi ha portato li. E’ stata una decisione affrettata, non ho avuto nemmeno il tempo per ponderare bene i pro e i contro. Dal professionismo al dilettantismo le realtà è completamente diversa: la gente, solo perché hai giocato in Serie A e B, si aspetta che fai 4-5 gol a partita. Invece non è cosi: bisogna valutare tante componenti, non è semplice come sembra. Una cosa che non mi è piaciuta, è stata che sia stata messa in discussione la mia professionalità, il mio impegno, da parte di qualcuno in società. Questo mi ha fatto arrabbiare molto.
Quali sono i suoi obiettivi futuri? Pensa ancora di tornare a giocare in Italia?
Per adesso, penso solo a dare il massimo nei prossimi tre mesi. Nelle ultime stagioni, per diversi motivi, ho giocato poco, e adesso ho bisogno di ritrovare continuità. Per il futuro si vedrà. L’importante è che stia bene fisicamente, poi magari potrei giocare anche in qualche altro campionato, ma sempre all’estero. La mia carriera in Italia ormai si è conclusa, e devo ammettere che negli ultimi anni il calcio nel nostro paese non sta andando bene, e non solo sotto l’aspetto economico, ma intravedo una mancanza di programmazione da parte dei club: dopo un paio di partite in cui non arrivano risultati, si è subito pronti a cambiare tutto.
Sguardo al passato. Nella sua carriera ha indossato tante maglie, qual è quella alla quale si sente più legato? Quali sono i momenti della sua carriera che ricorda con maggiore piacere?
Sicuramente la Reggina. Ho indossato la maglia amaranto per sei anni e mezzo, ed ho un ottimo rapporto con la gente. Lo spareggio con l’Atalanta, il gol a Roma contro la Lazio la splendida stagione con Atzori in cui siamo arrivati ai playoff: ricordi splendidi che porterò sempre con me. Ma in carriera ho avuto la fortuna di vivere tanti bei momenti, come l’esordio con la Nazionale o la Coppa Italia vinta con la maglia del Parma contro la Juventus.
Una carriera ricca di soddisfazioni, se invece le dico di dirmi un rimpianto?
Il primo anno alla Sampdoria stavo facendo davvero un ottimo campionato, poi purtroppo mi ruppi il crociato. L’anno seguente, la stessa cosa: stavo tornando ai miei livelli, quando anche l’altro crociato fece crack. Questi stop hanno un po’ frenato la mia carriera, e da quel momento ho fatto fatica a riprendermi. Ma il calcio è anche questo, e gli infortuni fanno parte del gioco.