Benedetto: "VOGLIO IL SANT'AGATA"
Inviato: 25/09/2017, 12:17
http://sport.strill.it/citta/pianeta-am ... o-livello/
di Giusva Branca – “Cosa hai fatto tutto questo tempo?” chiede Fat Moe a Noodles in “C’era una volta in America” e qui un maestoso De Niro, riapparso dopo quasi 30 anni di oblio, risponde, tagliente come un laser: “Sono andato a letto presto”.
Pino Benedetto è “andato a letto presto” per oltre 26 anni da quando, nel 1991, lasciò la Presidenza della Reggina chiudendo ogni rapporto con la stampa.
Basterebbe questo per consegnare agli archivi la cifra relativa allo spessore del personaggio, mai banale, mai limitato nell’ottica, mai scontato nella chiave di lettura.
Ritrovarlo, taccuino alla mano, dopo 26 anni, è esercizio professionalmente stimolante quanto emotivamente complicato, ma basta un attimo per capire che se, dopo oltre un quarto di secolo, si concede alla stampa qualcosa sta cambiando o è già cambiata.
In fondo all’elegante e mai ridondante grande salone della sua abitazione, con la luce che rimbalza dolce sulle assi del parquet, seduto su una poltroncina, circondato da giornali di ogni tipo, Pino Benedetto ti accoglie col suo marchio di fabbrica: il sorriso beffardo di chi sa di avere sempre qualche carta in più degli altri, o, comunque, di conoscere esattamente le carte che hanno in mano gli altri.
“Voglio il S. Agata”
D. Presidente, posso chiamarla così? In fondo Presidenti lo si è per sempre…
R. Non cominciamo con la filosofia…
D. Bene, torna a concedersi alla stampa dopo decenni in cui, sportivamente parlando, “è andato a letto presto” e lei non mi pare tipo da indugiare in sterili amarcord nostalgici dal sapore dell’amaro di fine pasto
R. No no, altro che, sono pronto a dire la mia, altro che…
D. In che senso?
R. Dal 2018 si cambia: non sono più disponibile a fare passi indietro rispetto alla Reggina, come ho fatto fino ad ora. Parteciperò alla gara per il bando di utilizzo del “Centro Sportivo S. Agata” per potere mettere in piedi una mia idea di calcio, di sport
D. Questa si che è una notizia, ma come mai ora, dopo così tanti anni, intende tornare in pista (parlando si sport, si intende)?
R. Sono certo che la mia città, come già successo in passato, possa ripartire proprio dallo sport, per la sua forza aggregatrice ed evocatrice. Sono stato abituato così. Tutti noi, se ci pensate, siamo stati abituati così, lo dice la nostra storia
D. Ma questo dato come va letto? E’ un primo passo verso la Reggina?
R. Mi perdoni, ho detto altro io: non mi interessa essere il Presidente della Reggina. Sono interessato a realizzare una polisportiva che si occupi di sport professionistico. Voglio far crescere giovani imprenditori, giovani atleti e giovani dirigenti nel mondo dello sport
D. Capisce bene che il suo intervento sulla scena non è esattamente una cosa che passi inosservata né che sia priva di conseguenze…
R. Sono fermamente convinto che, tra l’altro, in questa città ci sia bisogno di una competizione feroce e leale, serve anche un gruppo urlante, un gruppo pensante, che metta fine a questa squallida contrapposizione tra nani e ballerine. Serve un gruppo che guardi avanti e che unisca, aggreghi, nell’interesse della crescita della nostra comunità. Serve farlo guardando avanti, guardando alla vita dei nostri ragazzi, prima che anche loro vadano via; non voglio lasciare questa città nella ignavia, in mano a persone che si accontentano di vivacchiare pur di apparire
La Reggina Calcio 1986
D. Facciamo un passo indietro: cosa è rimasto alla città di quella fantastica esperienza, ma io direi esperimento sociale, che si chiamava Reggina Calcio 1986?
R. Di quella Reggina non è rimasto nulla, i valori, il rispetto delle regole, tutto svanito. Reggio non dice più la sua, nemmeno sul suo territorio, si vola rasoterra invece di volare alto. Nel 1986 avevamo gli stessi problemi economici ma per ovviare a questo gap mi inventai il “S.Agata”. Oggi il “S.Agata” è visto come un peso, come una spesa insostenibile. Vedere il “S.Agata” come un costo è ridicolo, da ignoranti. Da quella esperienza, però, uscirono calciatori, dirigenti sportivi e figure professionali del tutto sconosciute al territorio. Forse solo allenatori non ne producemmo in maniera adeguata
D. Ma come dirigente sportivo chi è Pino Benedetto?
R. Nella mia formazione sono stato influenzato dai due più grandi dirigenti sportivi che la città abbia mai avuto, Mimmo Travia e Peppino Viola. D’altra parte la Reggina 86 in qualche modo nasceva sulla scia di quella Viola basket che stava già scrivendo la storia. Qualche tempo prima il nucleo di quel gruppo dirigenziale, che poi diede vita alla Reggina Calcio, era stato contattato da Gianni Scambia per veicolare la nostra voglia di fare verso la Viola basket
D. E mentre “andava a letto presto” da cosa è stato deluso?
R. Dalle persone e dalla loro invidia che si è sempre manifestata contro la mia immagine personale e mai contro il mio operato
La Reggina attuale
D. E della Reggina di oggi cosa pensa?
R. Pensare che la Reggina debba accontentarsi di campionati di attesa in serie C è contro la storia dei Reggini stessi, da sempre pronti a sfidare tutto e tutti per andare oltre l’ostacolo e pensare in grande, quando nessuno fuori da Reggio li accredita
D. Beh, però, alla fine non si può chiedere l’impossibile a chi dirige, non si può chiedere di andare oltre le proprie possibilità…
R. Sia ben chiaro: la Reggina si lascia per amore, senza contropartita. Io me ne andai senza chiedere una lira e, nonostante tutto, ho continuato a rispondere “presente” a tutte le richieste di aiuto, anche lustri dopo.
Guardi, lasciare a un certo punto non è un disonore, ma un passaggio obbligato. La Reggina non è un bene di proprietà ed il rapporto con essa deve essere caratterizzato dal medesimo spirito che anima i portatori del Quadro della Vergine: “Lo porto fino a un certo punto e poi lascio il passo. Col sorriso e da privilegiato per averlo fatto”. E le dico anche che nessuno pensi o si illuda di poter creare strutture che portino vantaggio alla comunità utilizzando lanzechenecchi o mercenari. Reggio è progredita con i Reggini, sempre, nello sport ci hanno portato avanti figure come Tito Messineo e Nuccio Raineri nel basket o Franco Iacopino e Gabriele Martino nel calcio
D. Quest’anno è stato al “Granillo”?
R. In occasione della prima in casa provai a tornare allo stadio ma mi toccò una fila infinita in un punto vendita vicino al “Granillo” a meno di un’ora della partita, tra imprecazioni della gente e stampanti che non funzionavano, ma poi…quando vidi chi c’era alla fine della fila che staccava i biglietti a mano, non bastò la forza per arrivarci…e tornai a casa…
D. E, mi scusi, chi c’era in fondo alla fila?
R. Sono un signore…
Gli impianti
D. La sua “fissazione” sull’impiantistica è ben nota…
R. Si faccia un giro: i ragazzini non giocano più per le strade, fare sport per una famiglia reggina è un’impresa, anche sul piano dei costi, non ci sono spazi e, nel tempo, è andata via anche la mentalità. A piazza del popolo, però, ti riconcili con il calcio. Ci vada, un pomeriggio qualunque, e vedrà tanti ragazzi giocare sull’asfalto con due pietre come pali delle porte. Tutti extracomunitari…
D. Beh, il momento storico della città, sotto mille aspetti è quello che è…
R. Negli anni ’80, quando mi inventai il “S.Agata”, quando la spinta della Viola consentiva l’edificazione di due palazzetti, in città contavamo oltre 600 morti ammazzati e le ricordo che l’epopea del ‘far west’ poi diventata icona del terrore e dei fuorilegge cominciò “solo” per una trentina di cadaveri…
D. E questo che c’entra?
R. C’entra, certo che c’entra, se lei mi sottolinea il difficile momento socio-economico attuale il paragone nasce spontaneamente…
D. Quindi, quale è la sua idea?
R. Il Comune di Reggio ha il dovere di far gestire gli impianti sportivi in maniera da coniugare il doppio interesse della comunità: quello della corretta, piena e funzionale fruibilità e, soprattutto, quello della economicità al fine di potere incassare somme congrue e che poi siano riutilizzate per migliorare o creare impianti. Ci pensi a quanto, ad esempio, la zona Nord della città sia completamente priva di strutture. Ma servono anche gare di appalto fatte con una logica, con un senso e quello che è accaduto rispetto agli impianti di viale Messina è emblematico; qua sembra che si faccia di tutto per non fare le gare, per precostituire titoli a futura memoria e utilizzo. Quanto sia possibile far quadrare tutto e anche la sostenibilità della operazione per chi investe lo dimostrerò nella offerta che andrò a formulare per la gara del “S.Agata”
D. In chiusura, da esperto e appassionato di calcio, cosa manca a questa Reggina per tornare almeno in serie B?
R. Cosa manca per la B? E’ facile, facilissimo, manca qualcuno che sia in grado di pensarla la B…
La risata che accompagna la risposta è la medesima che ti segue verso l’uscita e poi nelle scalette fin giù alla porta d’ingresso. Perché chi conosce Pino Benedetto lo sa bene: il controllo su tutto deve esercitarlo in prima persona…
Mi sa di trattativa andata male per acquistare la reggina.
di Giusva Branca – “Cosa hai fatto tutto questo tempo?” chiede Fat Moe a Noodles in “C’era una volta in America” e qui un maestoso De Niro, riapparso dopo quasi 30 anni di oblio, risponde, tagliente come un laser: “Sono andato a letto presto”.
Pino Benedetto è “andato a letto presto” per oltre 26 anni da quando, nel 1991, lasciò la Presidenza della Reggina chiudendo ogni rapporto con la stampa.
Basterebbe questo per consegnare agli archivi la cifra relativa allo spessore del personaggio, mai banale, mai limitato nell’ottica, mai scontato nella chiave di lettura.
Ritrovarlo, taccuino alla mano, dopo 26 anni, è esercizio professionalmente stimolante quanto emotivamente complicato, ma basta un attimo per capire che se, dopo oltre un quarto di secolo, si concede alla stampa qualcosa sta cambiando o è già cambiata.
In fondo all’elegante e mai ridondante grande salone della sua abitazione, con la luce che rimbalza dolce sulle assi del parquet, seduto su una poltroncina, circondato da giornali di ogni tipo, Pino Benedetto ti accoglie col suo marchio di fabbrica: il sorriso beffardo di chi sa di avere sempre qualche carta in più degli altri, o, comunque, di conoscere esattamente le carte che hanno in mano gli altri.
“Voglio il S. Agata”
D. Presidente, posso chiamarla così? In fondo Presidenti lo si è per sempre…
R. Non cominciamo con la filosofia…
D. Bene, torna a concedersi alla stampa dopo decenni in cui, sportivamente parlando, “è andato a letto presto” e lei non mi pare tipo da indugiare in sterili amarcord nostalgici dal sapore dell’amaro di fine pasto
R. No no, altro che, sono pronto a dire la mia, altro che…
D. In che senso?
R. Dal 2018 si cambia: non sono più disponibile a fare passi indietro rispetto alla Reggina, come ho fatto fino ad ora. Parteciperò alla gara per il bando di utilizzo del “Centro Sportivo S. Agata” per potere mettere in piedi una mia idea di calcio, di sport
D. Questa si che è una notizia, ma come mai ora, dopo così tanti anni, intende tornare in pista (parlando si sport, si intende)?
R. Sono certo che la mia città, come già successo in passato, possa ripartire proprio dallo sport, per la sua forza aggregatrice ed evocatrice. Sono stato abituato così. Tutti noi, se ci pensate, siamo stati abituati così, lo dice la nostra storia
D. Ma questo dato come va letto? E’ un primo passo verso la Reggina?
R. Mi perdoni, ho detto altro io: non mi interessa essere il Presidente della Reggina. Sono interessato a realizzare una polisportiva che si occupi di sport professionistico. Voglio far crescere giovani imprenditori, giovani atleti e giovani dirigenti nel mondo dello sport
D. Capisce bene che il suo intervento sulla scena non è esattamente una cosa che passi inosservata né che sia priva di conseguenze…
R. Sono fermamente convinto che, tra l’altro, in questa città ci sia bisogno di una competizione feroce e leale, serve anche un gruppo urlante, un gruppo pensante, che metta fine a questa squallida contrapposizione tra nani e ballerine. Serve un gruppo che guardi avanti e che unisca, aggreghi, nell’interesse della crescita della nostra comunità. Serve farlo guardando avanti, guardando alla vita dei nostri ragazzi, prima che anche loro vadano via; non voglio lasciare questa città nella ignavia, in mano a persone che si accontentano di vivacchiare pur di apparire
La Reggina Calcio 1986
D. Facciamo un passo indietro: cosa è rimasto alla città di quella fantastica esperienza, ma io direi esperimento sociale, che si chiamava Reggina Calcio 1986?
R. Di quella Reggina non è rimasto nulla, i valori, il rispetto delle regole, tutto svanito. Reggio non dice più la sua, nemmeno sul suo territorio, si vola rasoterra invece di volare alto. Nel 1986 avevamo gli stessi problemi economici ma per ovviare a questo gap mi inventai il “S.Agata”. Oggi il “S.Agata” è visto come un peso, come una spesa insostenibile. Vedere il “S.Agata” come un costo è ridicolo, da ignoranti. Da quella esperienza, però, uscirono calciatori, dirigenti sportivi e figure professionali del tutto sconosciute al territorio. Forse solo allenatori non ne producemmo in maniera adeguata
D. Ma come dirigente sportivo chi è Pino Benedetto?
R. Nella mia formazione sono stato influenzato dai due più grandi dirigenti sportivi che la città abbia mai avuto, Mimmo Travia e Peppino Viola. D’altra parte la Reggina 86 in qualche modo nasceva sulla scia di quella Viola basket che stava già scrivendo la storia. Qualche tempo prima il nucleo di quel gruppo dirigenziale, che poi diede vita alla Reggina Calcio, era stato contattato da Gianni Scambia per veicolare la nostra voglia di fare verso la Viola basket
D. E mentre “andava a letto presto” da cosa è stato deluso?
R. Dalle persone e dalla loro invidia che si è sempre manifestata contro la mia immagine personale e mai contro il mio operato
La Reggina attuale
D. E della Reggina di oggi cosa pensa?
R. Pensare che la Reggina debba accontentarsi di campionati di attesa in serie C è contro la storia dei Reggini stessi, da sempre pronti a sfidare tutto e tutti per andare oltre l’ostacolo e pensare in grande, quando nessuno fuori da Reggio li accredita
D. Beh, però, alla fine non si può chiedere l’impossibile a chi dirige, non si può chiedere di andare oltre le proprie possibilità…
R. Sia ben chiaro: la Reggina si lascia per amore, senza contropartita. Io me ne andai senza chiedere una lira e, nonostante tutto, ho continuato a rispondere “presente” a tutte le richieste di aiuto, anche lustri dopo.
Guardi, lasciare a un certo punto non è un disonore, ma un passaggio obbligato. La Reggina non è un bene di proprietà ed il rapporto con essa deve essere caratterizzato dal medesimo spirito che anima i portatori del Quadro della Vergine: “Lo porto fino a un certo punto e poi lascio il passo. Col sorriso e da privilegiato per averlo fatto”. E le dico anche che nessuno pensi o si illuda di poter creare strutture che portino vantaggio alla comunità utilizzando lanzechenecchi o mercenari. Reggio è progredita con i Reggini, sempre, nello sport ci hanno portato avanti figure come Tito Messineo e Nuccio Raineri nel basket o Franco Iacopino e Gabriele Martino nel calcio
D. Quest’anno è stato al “Granillo”?
R. In occasione della prima in casa provai a tornare allo stadio ma mi toccò una fila infinita in un punto vendita vicino al “Granillo” a meno di un’ora della partita, tra imprecazioni della gente e stampanti che non funzionavano, ma poi…quando vidi chi c’era alla fine della fila che staccava i biglietti a mano, non bastò la forza per arrivarci…e tornai a casa…
D. E, mi scusi, chi c’era in fondo alla fila?
R. Sono un signore…
Gli impianti
D. La sua “fissazione” sull’impiantistica è ben nota…
R. Si faccia un giro: i ragazzini non giocano più per le strade, fare sport per una famiglia reggina è un’impresa, anche sul piano dei costi, non ci sono spazi e, nel tempo, è andata via anche la mentalità. A piazza del popolo, però, ti riconcili con il calcio. Ci vada, un pomeriggio qualunque, e vedrà tanti ragazzi giocare sull’asfalto con due pietre come pali delle porte. Tutti extracomunitari…
D. Beh, il momento storico della città, sotto mille aspetti è quello che è…
R. Negli anni ’80, quando mi inventai il “S.Agata”, quando la spinta della Viola consentiva l’edificazione di due palazzetti, in città contavamo oltre 600 morti ammazzati e le ricordo che l’epopea del ‘far west’ poi diventata icona del terrore e dei fuorilegge cominciò “solo” per una trentina di cadaveri…
D. E questo che c’entra?
R. C’entra, certo che c’entra, se lei mi sottolinea il difficile momento socio-economico attuale il paragone nasce spontaneamente…
D. Quindi, quale è la sua idea?
R. Il Comune di Reggio ha il dovere di far gestire gli impianti sportivi in maniera da coniugare il doppio interesse della comunità: quello della corretta, piena e funzionale fruibilità e, soprattutto, quello della economicità al fine di potere incassare somme congrue e che poi siano riutilizzate per migliorare o creare impianti. Ci pensi a quanto, ad esempio, la zona Nord della città sia completamente priva di strutture. Ma servono anche gare di appalto fatte con una logica, con un senso e quello che è accaduto rispetto agli impianti di viale Messina è emblematico; qua sembra che si faccia di tutto per non fare le gare, per precostituire titoli a futura memoria e utilizzo. Quanto sia possibile far quadrare tutto e anche la sostenibilità della operazione per chi investe lo dimostrerò nella offerta che andrò a formulare per la gara del “S.Agata”
D. In chiusura, da esperto e appassionato di calcio, cosa manca a questa Reggina per tornare almeno in serie B?
R. Cosa manca per la B? E’ facile, facilissimo, manca qualcuno che sia in grado di pensarla la B…
La risata che accompagna la risposta è la medesima che ti segue verso l’uscita e poi nelle scalette fin giù alla porta d’ingresso. Perché chi conosce Pino Benedetto lo sa bene: il controllo su tutto deve esercitarlo in prima persona…
Mi sa di trattativa andata male per acquistare la reggina.