Vecchie Glorie Amaranto

Tutto sulla Reggina

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Pietro
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13- MOHAMED KALLON: MIMMO

La prima stagione nella massima Serie per una città non si scorda mai. Non importa se ci si salvi o meno, ma essere già lì tra le big del calcio è per molte realtà un traguardo storico ed indimenticabile. Proprio a Reggio Calabria il nome di Kallon esce finalmente allo scoperto. Giocatore osannato prima e messo da parte successivamente, l’esperienza calcistica in Italia non parte con il piede giusto, gioca poco e la giovanissima punta africana fa inizialmente fatica a mostrare tutte le sue qualità e per questo motivo viene mandato a farsi le ossa in giro per lo stivale: Bologna, Genoa (prestito in Serie B dove realizza 10 gol in 26 presenze) e successivamente Cagliari. In Sardegna non entusiasma… anzi delude, vuoi la squadra, vuoi i suoi errori, Kallon ha bisogno di esprimersi ed a Cagliari spesso e volentieri è vittima di insulti e offese fin troppo pesanti.

Kallon1Mohamed si sposta all’estremo sud dell’Italia… in una piazza già calda di suo e che vive di entusiasmo grazie alla prima storica promozione in Serie A raggiunta all’ultima giornata contro il Torino al delle Alpi. Destino, casualità, fato, proprio ai piedi della Mole Antonelliana ed in quello stesso stadio Mohamed Kallon segna la storia di una città e di un intero popolo. Sembrerebbe apparentemente facile innamorarsi di chi, alla prima partita proibitiva e contro la più blasonata Juventus, realizzi un gol che oltre la rete, gonfi gli occhi di migliaia di reggini che all’incornata di testa esplodono, si abbracciano e piangono per una gioia mai provata prima. Mohamed Kallon pareggia di testa la rete di Pippo Inzaghi e mette a segno la prima storica rete degli amaranto nella massima serie.

Non solo per la prima storica realizzazione, ma soprattutto per le splendide prestazioni, il giocatore della Sierra Leone, diviene l’ idolo della tifoseria amaranto che a suon di gol e assist trascina la Reggina alla miracolosa salvezza 11 le reti nellla stagione 1999-2000. Dotato di un notevole bagaglio tecnico e grande spirito di sacrificio dal destro naturale ma in grado di calciare con entrambi i piedi; difficile considerarlo una prima punta, a Reggio ha avuto carta bianca… è stato capace di ricoprire ottimamente diverse posizioni nel reparto avanzato e ha messo in mostra le sue caratteristiche migliori: visione di gioco e qualità di impostazione….oltre i gol ovviamente.

Kallon vs Juventus. Difficile dimenticarlo!! A Reggio ancora oggi brillano gli occhi a parlar di quella partita e di quella stagione: Andrea Pirlo, Roberto Baronio, Ezio Brevi, Stovini, Possanzini; l’amicizia con Pirlo, definito “un fratello e non un compagno”. Per la Reggina, squadra proiettata a gareggiare nel colosseo della salvezza, la traversata nel misterioso limbo della Serie A si è conclusa con la prima salvezza degli amaranto e l’immagine indelebile del primo storico gol di Mohamed Kallon.


Per approfondire http://www.strettoweb.com/2017/05/reggi ... T4RPhq9.99
mohammed
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Mio fratello, Mohammed :salut :salut :salut
Allah è grande, Gheddafi è il suo profeta!
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14- SIMONE MISSIROLI: MISSILE

Talenti Reggini – Simone Missiroli: ‘La Reggina sarà per sempre casa mia’

di Pasquale Romano – Un missile amaranto. Simone Missiroli è uno degli esempi più eclatanti dei ‘Figli del S.Agata’, ragazzi diventati prima uomini e poi calciatori con la maglia amaranto addosso. Figlio d’arte (il padre Battista ha vestito la casacca amaranto tra gli anni settanta e ottanta) il centrocampista classe ’86 ha esordito in serie A il 24 aprile del 2005, appena diciannovenne, in un Brescia-Reggina terminato 2a0 per le rondinelle.

‘Datemi retta, questo è un talento puro’, la frase che gli appicicò l’allora tecnico amaranto Ulivieri, che ne intuì da subito caratteristiche fuori da comune. Alto ben 191 centimetri, Missiroli deve il suo soprannome ad una velocità che in campo aperto si rivela devastante. Nel corso degli anni, alle qualità fisiche il ‘Missile’ ha abbinato capacità tecniche sempre più consistenti. sino ad arrivare al giocatore ‘universale’ ammirato negli ultimi anni. E pensare che ai primi tempi arrivava qualche fischio ad accompagnarne le giocate…: ‘L’inizio è stato duro, ho incontrato diversi ostacoli che oggi mi rendono ancora più felice e orgoglioso. Affermarsi nella propria città non è semplice, l’ho sperimentato sulla mia pelle’.

Reggino purosangue, per sette stagioni è rimasto in riva allo Stretto (con una parentesi al Treviso) prima dei trasferimenti al Cagliari e al Sassuolo. Una crescita costante e continua quella di Missiroli nel lungo percorso in amaranto, figlia di una maturazione che l’ha portato oggi ad arretrare il raggio d’azione e diventare centrocampista completo.

‘Porto la Reggina nel cuore, sono orgoglioso di avere indossato questa maglia per tutti questi anni. A Reggio sono nato, cresciuto ed è solo grazie alla Reggina che oggi posso giocare ad alti livelli. E’ stato
un privilegio portare la fascia di capitano della squadra della città in cui sono nato e ho sempre fatto il massimo sia in campo che fuori per rappresentare nel migliore dei modi la Reggina. La Reggina sara’ per sempre casa mia’. il commiato affettuoso e sincero di Missiroli nel momento dei saluti. Distacco doloroso ma dovuto, le qualità evidenziate nelle 168 partite giocate in amaranto (condite da 24 reti) meritavano e reclamavano palcoscenici differenti.

Ingaggiato dal Sassuolo, Missiroli nel 2013 ha fatto centro al primo tentativo, guadagnandosi subito il ritorno in serie A. Tornato in massima serie, Missile è definitivamente esploso agli ordini di Di Francesco, affermandosi come uno dei migliori centrocampisti italiani. “Si, non mi sono mai sentito cosi forte. Credo di essere al top della mia carriera, accumulata negli anni un bel pò d’esperienza adesso mi sento solido caratterialmente e nel modo di giocare. La maglia azzurra ? Un pensiero ammetto di avercelo fatto, purtroppo il lungo infortunio mi ha impedito di sperare concretamente nella convocazione agli ultimi Europei’.

A inizio 2016 la Fiorentina di Paulo Sousa lo cerca con insistenza, ma il club emiliano ritenendolo fondamentale non lo ha lasciato partire. ‘Il Sassuolo però mi ha fatto sentire ancora più importante, rinnovandomi il contratto e dichiarandomi incedibile. Sono rimasto ben volentieri in una società seria, che sa lavorare e programmare con lungimiranza”, le parole di Missiroli. Anno sfortunato per il centrocampista reggino, vittima di diversi problemi fisici nel corso degli ultimi mesi. Il lungo calvario iniziato a marzo, dovrebbe finalmente concludersi nelle prossime settimane.

Missiroli e la Reggina, un legame indissolubile. Talmente intenso il rapporto che lega il centrocampista reggino al club amaranto, che ancora oggi la partita che ricorda con maggior piacere è un derby vinto sul Messina, nemico prediletto, e vissuto soltanto dalla panchina. Non sono mancati, nel corso degli anni, i riferimenti diretti a gare vinte dalla Reggina contro i giallorossi. “Ora un’altra carcagnata” e “La storia si ripete. Forza amaranto!” i messaggi pubblicati su Facebook in occasione del doppio spareggio vinto dalla Reggina sul Messina nel maggio del 2015.

Un cuore sempre rimasto amaranto, nei sentimenti come nei gesti concreti. Poco più di un anno fa infatti, Missiroli dava il proprio contributo economico nel tentativo (poi fallito) di salvare in extremis la Reggina di Foti. “Non l’ho fatto da solo, diversi giocatori cresciuti al S.Agata hanno compiuto il medesimo gesto. Era un modo per aiutare la società che ci ha fatto nascere e crescere, purtroppo non è bastato”.

http://www.citynow.it/talentireggini-si ... -casa-mia/
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15- FRANCO CAUSIO: IL BARONE

“Lei sarà l’ala della Nazionale”, così si racconta abbia detto a Franco Causio Armando Segato, allenatore della Reggina, che sarebbe prematuramente scomparso quattro anni dopo, primo ex calciatore professionista vittima della SLA. Era la stagione 1968-69 e Causio alla Reggina era stato mandato in prestito dalla Juve, perché facesse esperienza. Ebbe ragione, Causio divenne l’ala della Nazionale e molto di più. Divenne anzitutto ‘il Barone’ e ‘Brazil’, i suoi nomi di battaglia: sembra amasse più il primo (datogli da Fulvio Cinti de ‘La Stampa’), che ne sottolineava l’eleganza nel vestire (giacca e cravatta) e nelle movenze in campo; Brazil, come lo nomò Vladimiro Caminiti di Tuttosport, era un omaggio doveroso al suo palleggio sopraffino, alla sua bravura nel controllo della palla e nel dribbling a rientrare, ma forse metteva in gioco una sfumatura di scarsa concretezza da giocoliere, in un’epoca in cui, tanto per dirne una, il competitor cui tolse il posto in Nazionale (e la ‘staffetta’ si materializzò il 29 aprile 1972, tra il primo e il secondo tempo di Italia-Belgio 0-0) era quell’Angelo Domenghini, generoso maratoneta che correva correva e tirava, ma il cui palleggio mancava di quello stile innato che il figlio del Sud Franco Causio aveva nel suo Dna.
Sì, perché Causio è un figlio del Sud, nato a Lecce il 1° febbraio 1949 e cresciuto nelle giovanili della sua città: lì debutta in serie C nel 1964-65, poi comincia a girovagare: Sambenedettese, Juve di Heriberto Herrera, su scelta di Moggi, osservatore per la Juve di Allodi (dopo che il Toro lo ha già scartato): qui fa il suo esordio in serie A, ma il suo carattere orgoglioso e un po’ permaloso, e il suo individualismo, che la gioventù ancora non gli consente di integrare al meglio nella manovra collettiva, lo pongono in conflitto col sergente di ferro HH2, e col suo gioco tutto basato proprio sul collettivo; quindi Reggina e Palermo. Poi il ritorno alla Juve, la Juve di Armando Picchi, che non gli regalerà molto spazio, ma che ha il merito di evitargli un’altra stagione in prestito (avrebbe dovuto essere la Lazio), facendolo giocare il 25 ottobre per dieci minuti contro il Milan, cosicché in base alle regole di allora non sarà più possibile cederlo nel mercato di novembre. Perché c’è da dire che Boniperti si diceva gli preferisse Titti Savoldi, caratterialmente meno esuberante e tatticamente diligente, ma senza l’estro e i piedi del Barone; e pur tuttavia anch’egli innamorato del pallone, tanto che Allodi diceva:”Quando li inseriamo tutti e due in squadra, ci vorrebbero tre palloni: uno per Franco, uno per Titti e uno per la Juve”. Scomparso il povero Picchi, arriva Vycpalek, che crede molto in lui e, col contributo determinante dell’intelligenza del ragazzo, ne accelera la maturazione, persuadendolo ad eliminare qualche virtuosismo circense fine a se stesso e a trasformarsi da interno di rifinitura ad ala di raccordo, ala tornante, si diceva.
E Franco Causio brilla sui campi di calcio: professionista serio negli allenamenti, la fantasia al potere in campo: rimangono impressi negli occhi di chi l’ha potuto ammirare i suoi agganci volanti, i suoi pallonetti beffardi, le sue invenzioni da goal, i suoi disarmanti surplace, i suoi assolo, i suoi guizzi in grado di avviare azioni mai banali, i suoi dribbling risolutori, i suoi cross di esterno destro pennellati (spesso destinati alla testa di Bobbygoal), l’irrisoria facilità con cui saltava gli avversari, le sue sgroppate sulla fascia e i suoi affondi.
E certe sue prestazioni, impreziosite da certi suoi goal,, rimangono indimenticabili; una per tutte: 23 aprile 1972, Juventus-Inter 3-0, tripletta di Causio che darà il la allo scudetto bianconero, il primo per il Barone. E arriveranno altri sei scudetti, una coppa Uefa e una coppa Italia.
Poi la Nazionale, con 63 presenze, tre partecipazioni al Mondiale: nel 1974 gioca poco, è protagonista invece nel Mondiale argentino del 1978, in cui, nella finalina col Brasile, realizza uno dei suoi sei goal in azzurro. Dal 1981 Causio non veste più la maglia bianconera: viene ceduto all’Udinese, dove rimane tre anni, per poi vivere un’anonima stagione all’Inter, poi un anno al Lecce, cui non riuscirà ad evitare la retrocessione, per terminare la carriera alla Triestina nel 1988.
Di questi anni senza Juve la sola cosa importante è la partecipazione ai Mondiali del 1982: Bearzot lo porta in Spagna, ma Causio, ormai trentatreenne, non è più titolare, su quella fascia c’è il più giovane Bruno Conti; due le presenze per il Barone, il secondo tempo contro il Perù, e gli ultimi due minuti della vittoriosa finale, un regalo del ct, segno della sua grande stima.
E insieme a Bearzot Causio vince la loro ultima partita insieme, non una partita di calcio stavolta, ma di scopone, sull’aereo che riporta a casa i campioni del mondo: da una parte Bearzot-Causio, dall’altra Pertini- Zoff. E il Barone cala il 7 (guarda caso, il suo numero…), pur avendone uno solo; la furbata disorienta Pertini, che lascia passare, e Bearzot si fa il settebello; così i due soci vincono la partita. Ancora una volta il nostro ha uccellato il suo avversario, che non è un terzino, ma il Presidente della Repubblica!
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16- CICCIO COZZA: IL CAPITANO


Dopo la Top 11 della scorsa settimana dedicata alla Reggina, oggi è un altro giorno di lustro per i tifosi della squadra calabrese che tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 hanno sicuramente vissuto i migliori anni della loro storia. Oggi è il compleanno di Ciccio Cozza, che prima con il n°35 e poi con il n°10 ha espresso la personalità e lo spirito di una squadra, mai doma e con tantissimo talento in rosa.

Il centrocampista di Cariati ha disputato con la Reggina dal 1999 al 2004 151 gare siglando 29 reti, delle quali alcune sono entrate di diritto nella storia della nostalgia. Per omaggiarlo abbiamo deciso di ricordare le cinque gare nelle quali Cozza ha messo la firma su alcune vittorie storiche della squadra dell’allora presidente Foti.

Prima di partire con le 5 partite, riproponiamo il suo video saluto alla nostra pagina.


Ecco le partite ragazzi!

5) Reggina-Milan (2-1) stagione 2003/2004: La Reggina ha bisogno dei tre punti per festeggiare la salvezza con una giornata d’anticipo ed al “Granillo” affronta il Milan, che appena sette giorni prima si è laureato campione d’Italia. A decidere il match un grandissimo eurogoal di David Di Michele ed il rigore di Ciccio Cozza. Inutile la rete di Shevchenko, se non ai fini della classifica dei marcatori che vincerà alla fine della stagione.

https://youtu.be/lVmXq7NnT1g

4) Brescia-Reggina (2-3) 1998/1999: Vittoria importantissima in un match che affonda le sue radici nella nostalgia, vista la presenza tra i 22 in campo di gente come Dario Hubner, il compianto Vittorio Mero e gli storici senatori della Reggina Giacchetta e Poli. In un match dalle mille emozioni gli amaranto dopo essere andati avanti sullo 0-2 grazie alla doppietta di Davide Possanzini subiscono la rimonta delle “rondinelle” che in poco meno di dieci minuti trovano il pari proprio con Mero e con l’ex di turno Marino. A mettere la firma decisiva sul match ci pensa però sempre il fantasista calabrese che sigla il 3-2 con un gran tiro sotto l’incrocio che regala i tre punti alla Reggina.

https://youtu.be/M45M42WZ5Eo

3) Roma-Reggina (0-2) 1999/2000: Vittoria di prestigio all’Olimpico della squadra calabrese alla sua prima stagione in Serie A. Protagonista dell’incontro neanche a dirlo Cozza che apre le marcature in quella che passerà alla storia come una giornata storica. Da vero campione l’intuizione del 10 amaranto che approfitta di un’incomprensione tra Aldair e Mangone prima di battere Antonioli con un perfetto pallonetto. A chiudere i giochi nella ripresa ci pensa Cirillo, che sigla lo 0-2 e regala un autentico pomeriggio di festa a Franco Colomba ed ai suoi giocatori.

https://youtu.be/VIEHtmwOmg0

2) Torino-Reggina (1-2) 1998/1999: Immagini impresse nella memoria di tutti i tifosi Reggini, quelle del 13 giugno del 1999, giorno della storica promozione in Serie A. Al “Delle Alpi” gli uomini guidati da Bruno Bolchi prima si portano in vantaggio grazie a Cozza che dagli undici metri fredda Pastine. Nella ripresa dopo il pareggio di Ferrante, è Tonino Martino l’eroe della promozione amaranto, che fa esplodere la festa a Reggio Calabria.

Attenzione il video contiene le nostalgiche immagini di Carlo Nesti.
https://youtu.be/42Cv0QhQhMg


1) Atalanta-Reggina (1-2) spareggio retrocessione 2002/2003: Ancora una gara storica in cui spicca la griffe di Ciccio Cozza, in una delle gare più importanti della storia del club calabrese. Gli amaranto dopo aver concluso la stagione a 38 punti sono costretti a disputare lo spareggio con l’Atalanta per guadagnarsi la permanenza nella massima serie. Dopo lo 0-0 dell’andata, le cose si mettono subito in salita nella gara di ritorno con i bergamaschi che passano in vantaggio grazie al goal di Cesare Natali. La reazione degli uomini di De Canio non si fa attendere e prima trovano il pareggio proprio grazie a Cozza, abilissimo a sfruttare un’ottima combinazione con Bonazzoli prima di battere Taibi con un tocco sporco quanto efficace. Nella ripresa dopo aver sofferto parecchio la Reggina trova il goal salvezza grazie a Bonazzoli (mamma quanto era forte) che dal limite dell’area batte l’estremo difensore bergamasco con un’autentica rasoiata.


https://youtu.be/Rxz0aH6uxbo


Read more at http://www.machenesanno.it/la-top-5-del ... SqlfDfV.99

bell'articolo di http://www.machenesanno.it/la-top-5-del ... a-reggina/
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17- TONINO MARTINO: L'EROE

“Non mi ricordavo neanche fosse il giorno del mio compleanno, non avevo avuto il tempo per pensarci”.

Se Tonino Martino, il 13 giugno 1999, quattordici anni fa esatti, non fosse stato al ‘Delle Alpi’ avrebbe spento trenta candeline, cifra tonda a cui generalmente si dà discreta importanza, e festeggiato anche l’onomastico. Lui, però, non ne ebbe modo, aveva un appuntamento con la storia a cui non sarebbe voluto mancare per nulla al mondo.

E’ lui ad aver marchiato a fuoco il suo nome sulla storia centenaria della Reggina, con il gol che dopo ottantacinque anni fece sbarcare gli amaranto in Serie A, a sei mesi di distanza da quella simbolica data, il 2000, indicata in maniera sarcastica, per tutto il secolo scorso, come quella giusta per raggiungere i traguardi più impensabili.

Il suo cuore calcistico è totalmente amaranto, diviso a metà tra quello della Reggina e quello del Livorno, anche se con tutto il rispetto per i labronici assicura”il primo amore non si scorda mai”.

50 presenze e 3 gol, un anno e mezzo in riva allo Stretto. Una miriade di ricordi splendidi e pensare che ciò che che è accaduto avrebbe potuto non avvenire mai.

“Ero reduce dall’esperienza di Empoli – rivela l’ex esterno a Strill.it – in Serie A. Non mi trovai molto bene con il gruppo, era quasi fatta per andare a giocare a Pescara, a casa mia. Alla fine ebbero un ripensamento e mi preferirono Traversa. Arrivò la chiamata della Reggina, non ero molto convinto di accettare, anche per una questione di distanze. Il ds Martino ebbe un ruolo decisivo nel convincermi e alla fine, col senno del poi, non avrei potuto avere destino migliore. Vincemmo il duello diretto proprio con i biancazzurri e qui non me l’hanno mai perdonata (ride ndr). Sono orgoglioso di aver vestito la maglia amaranto. Ancora oggi i reggini che vivono qua o gli amici di Reggio che ho mantenuto mi rircordano quei tempi”.

L’inizio non fu dei migliori, poi si fece quadrato. Gli innesti del mercato di riparazione elevarono il tasso tecnico ma come ha recentemente

dichiarato Paolo Ziliani, altro protagonista dell’annata, quella squadra forse valeva le zone di metà classifica, ma palla e avversario non passavano insieme in direzione della vostra porta, segno che quel qualcosa in più che portò alla promozione era relativo all’aspetto umano.

“Inizialmente non riuscivamo a capire i meccanismi del gioco di Gustinetti. C’era un pò di nervosismo.Gli arrivi di uomini come Cozza, Possanzini, Artico semplificarono le cose. Era un gruppo di amici che badava al sodo, o palla o uomo come dice Paolo. Pian piano abbiamo visto l’obiettivo avvicinarsi e non potevamo lasciarlo là. Quell’impresa la dovevamo a Reggio Calabria”.

Quel 13 giugno serviva solo vincere, l’impresa non era titanica visto l’avversario già in vacanza, ma fu comunque un’esplosione di gioia. Qualcuno disse che la corsa di Martino verso i tifosi amaranto, almeno a Reggio, offuscò definitivamente l’urlo di Tardelli a Spagna ’82.

“Mi aspettavo che saremmo andati in Serie A. A Torino trovammo un’autostrada semiaperta, loro erano già promossi ed eravamo così carichi e concentrati che non ci avrebbe spostato neanche la bomba atomica. Mai, però, avrei pensato di riuscire a segnare il gol storico e di correre sotto il settore ospiti. Volevo abbracciare tutti i quindici-diciottomila tifosi che erano venuti a seguirci, mi era scesa la cataratta davanti agli occhi, se così possiamo dire, non capivo più nulla”.

Sei mesi in Serie A e una cessione al Savoia, mai digerita.

“Colomba non credeva in me e Poli. Nè io, nè Maurizio avremmo voluto lasciare la squadra, anche se il nostro ruolo magari sarebbe stato marginale in quanto a minutaggio. Per il bene della Reggina abbiamo preferito cambiare aria e siamo finiti in Campania”.

La cadetteria oggi è un campionato molto diverso da quello quasi tre lustri fa. Che differenze nota un ex calciatore? Hai seguito il campionato ?

“Per capire la differenza tra la B di oggi e quella di ieri basta vedere che giocatori ci fossero all’epoca: Francioso al Genoa e Doni all’Atalanta, solo per citarne due. Con le nuove regole e anche per le contingenze economiche ci sono molti giovani, manca la classe di un tempo. Lo standard è molto calato. Cito come esempio quello del Pescara di quest’anno: è andato in A ed è tornato subito in B, il livello era quello e nonostante avessero risorse per rinforzarsi bene non sono riusciti a colmare il gap tecnico con le altre, senza dimenticare che hanno perso Verratti, Insigne e Immobile. Il Livorno, una squadra a cui sono molto legato, è riuscito ad andare in A solo grazie all’organizzazione tattica e alla forza del gruppo, nel loro parco giocatori solo Paulinho è sopra la media, ma l’anno scorso lo avrebbero voluto mandare via a calci per tutti i gol che sbagliava. Il Verona era una corazzata, il Sassuolo stava lì da anni e aveva un elemento che fa la differenza come Missiroli. La Reggina, invece, nel ’99 andò in A e riuscì a salvarsi, non a caso. Adesso la forbice è molto più ampia tra le due categorie”.

Al Granillo non si respira più l’atmosfera calorosa di un tempo, il campionato è stato tutt’altro che esaltante.

“La Reggina non può stare più là sotto in classifica. La Reggina deve stare in A, ci sono piazze che sono già in massma serie e che la meritano molto meno. Mi dispiace che il pubblico si sia disaffezionato, quando vedo i servizi in televisione e noto lo stadio vuoto mi fa male il cuore. Capisco, però, anche la gente che non vede una squadra che gli dia soddisfazioni e che magari non incarna quei valori valori di attaccamento che avevamo noi. Quando l’ho vista giocare, ed è accaduto spesso, mi è sembrato mancasse la giusta cattiveria agonistica. Una volta non stavamo a pensare al contratto in scadenza, mordevamo gli avversari e davamo tutto per la gente che ci spingeva. Penso comunque che a livello di immagine, di fronte ai tifosi, non contribuiscano perdite come quella del direttore Iacopino dopo quarant’anni nella Reggina o come Amoruso, finito al Palermo, che spesso fungono da collante tra la società e la tifoseria e possono spiegare tante cose ai calciatori più giovani. Nella Reggina deve stare chi la ama. Mi auguro che arrivino tempi migliori, c’è amarezza e bisogna avere pazienza. Solo tremila persone allo stadio le posso vedere ad Empoli, non a Reggio Calabria”.

Quest’anno la Reggina compie cento anni, che prospettive ti auguri che la società possa avere?

“Per il centenario spero possa essere allestita una squadra forte in grado di lottare nelle zone alte della classifica. Sarebbe bello ritrovarci in una serata che celebrerà il centenario, magari allo stadio”.

L’ “uomo della storia” spera di tornare un giorno a offrire il proprio contributo per la Reggina?

“Ci fosse una minima possibilità tornerei volentieri, per qualsiasi mansione. E’ chiaro che questa non deve essere una forzatura, ma solo un’eventualità nel caso io potessi realmente servire a qualcosa. Quattro anni fa pensavo ci fosse la possibilità di tornare a lavorare nell’ambito del settore giovanile, visto che adesso gestisco una scuola calcio a Scafa, vicino Pescara, ma non se ne fece nulla. Il primo sogno di fare il calciatore l’ho realizzato, il prossimo può essere quello di tornare in quella che è la squadra che amo di più, per l’esperienza che ho vissuto e per il rapporto che ho avuto con la gente”.

Pasquale De Marte
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18- ONORATO E LUNERTI: I GEMELLI DEL GOL

Un graditissimo ricordo ed un emozione tutt’ora presente nei cuori amaranto quella di Giorgio Lunerti e Vincenzo Onorato, una delle coppie gol più amate in riva allo stretto. Così la mente torna indietro a 30 anni fa quando in una Reggio in piena crisi tra guerra di ndrangheta ed una classe dirigente sempre più corrotta ed incapace di governare le sorti della città, il popolo reggino vede nello sport l’unica mera forma di evasione, di speranza. Quella Reggina “la nostra Reggina” come ricorda l’ex presidente amaranto Pino Benedetto, ”che proprio in quegli anni è diventata qualcosa di molto più grande di una semplice squadra di calcio: era un simbolo di riscatto sociale e un modello positivo e d’avanguardia venuto dal profondo Sud.


Come dargli torto, la Reggina ha da poco cambiato volto passando da Associazione Sportiva Reggina a Reggina Calcio S.p.A.
(mantiene il numero di matricola originale e titolo sportivo), sono gli anni di Rosin, Armenise, Sasso, Guerra, Raggi, Mariotto, gli anni d’oro della banda Scala, dello spareggio al Curi di Perugia (12 giugno 1988) di fronte ad oltre 20mila tifosi amaranto, e la splendida vittoria della Reggina per 2-0 (gol di Giuseppe Bagnato e Tarcisio Catanese) che spedisce gli amaranto in Serie B. Ricordi ancora vivi proprio come quelli della coppia gol che ha fatto sorridere la reggio calcistica di fine anni 80, i gol, le giocate ed un legame indissolubile tra Vincenzo Onorato e Giorgio Lunerti, amicizia, rispetto ed intesa in campo e fuori. Professionisti e uomini legati dall’mpegno, dalla correttezza e dalla fiducia nei confronti di un popolo, quello amaranto che tanto li ha ammirati. Tempo fa Lunerti affermò: ”difficilmente andrà via dalla mia mente. Ogni volto che rivedo il video mi viene la pelle d’oca. Quel momento? Semplicemente Supendo” Giorgio si riferisce alla promozione in serie B ed al rappporto sincero con l’atro compagno di reparto Onorato. Acquistato dal Messina, Lunerti con Reggina realizza 12 gol in 32 presenze. Nella stagione 1988-89 la Reggina è allenata ancora da Nevio Scala (squadra formata da gruppo compatto) quando anccora le reti della coppia gol e le parate del portiere Mauro Rosin, portano la Reggina arriva allo spareggio disputato a Pescara il 25 giugno 1989, con 25.000 tifosi amaranto al seguito. Il triste finale lo ricordiamo tutti. Una promozione in B e il salto sfiorato in A in due stagioni, 64 presenze e 19 reti per Vincenzo Onorato, prima del discusso “tradimento” ed il successivo passaggio al Messina. Dopo tanti anni Vincenzo Onorato e Giorgio Lunerti si sono riabbracciati a Reggio il 26 giugno scorso in occasione della festa dell’orgoglio amaranto dove, Reggina 88 e Reggina 1999 si sono incontrate per rendere omaggio alle stagioni più entusiasamanti della storia amaranto in un match di beneficenza.

Lunerti

Coppia indimenticabile a Reggio così come a Castellammare di Stabia dove i due vestirono la casacca gialloblù formando
(a distanza di qualche anno) nuovamente la coppia gol . Onorato tra il 1991-1994 con la Juve Stabia in 83 presenze realizzò 19 reti, Lunerti dal 1992 al 1994 in 60 presenze ne realizzò 22. Erano gli anni della serie C, a Castellammare di Stabia giocatori come Lunerti, Musella e Amodio, formarono una corazzata che solo la Salernitana fermò in finale play off. Stagione che ricordiamo benissimo anche in riva allo stretto quando la Reggina perse in semifinale proprio contro le vespe gialloblù (2-0 la gara d’andata, con le reti di Talevi e Lunerti). Destino, casualità? Lunerti segnò all’andata e fornì assit al ritorno proprio contro la sua ex squadra: in quelle due gare feci un gol e l’assist del 2-0 che tagliò le gambe alla Reggina, aver battuto la squadra amaranto non è stata una bella soddisfazione, ma in quel momento giocavo per la Juve Stabia e dovevo onorare la maglia, questo è il calcio.”
Al comunale nessuno dimenticherà quella partita di ritorno del 12/06/1994, Reggina Juve Stabia 2-0 al 90′ e supplementari. Dopo 2′ minuti dall’inizio Rivi accorcia le distanze per le vespe, la Reggina non demorde e si porta sul 3-1 con Cevoli, ma la Juve Stabia con De Simone fissa il risultato sul 3-2 spegnendo ogni sogno reggino. Vincenzo Onorato si ritira nel 1994 proprio disputando l’ultima stagione in campania, Giorgio Lunerti continuerà a giocare e segnare (Savoia, Fermana, Sambenedettese, Forlì, Campobasso, Frattamaggiore) sino al 2001, quando a 40 anni si ritira definitivamente collezionando un totale di 491 partite e 153 gol.

A distanza di tanti anni l’affetto ancora vivo tributato dalla città alla Reggina e agli esponenti di quel magnifico gruppo dimostra cosa quella squadra abbia rappresentato nella storia, non solo sportiva, di Reggio Calabria proprio come quell’abbraccio sincero tra Lunerti ed Onorato a distanza di anni.

Un legame indissolubile che si è creato tra tifosi e giocatori, tra società e gente comune e che ha legato degli uomini e la loro vita ad un luogo, alla gente ed ai colori di una città.

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19- SALVATORE ARONICA: IL PORTATORE D'ACQUA

“Sono un portatore d’acqua arrivato in Champions League grazie al cuore e al carattere”. Il segreto di Salvatore Aronica è tutto qui. Nella sua voglia, nella sua determinazione. “Ho giocato sempre con compagni più bravi di me, ma con malizia e grinta sono arrivato in alto. I giovani calciatori oggi pensano ai tatuaggi, ai soldi. Io ai miei ragazzi insegno a crederci e non mollare mai”. Ieri calciatore di Serie A, oggi allenatore di scuola calcio. Domani chissà. “Dopo essermi ritirato ho preso il patentino di terza categoria – racconta Aronica a GianlucaDiMarzio.com – ora attendo quello di seconda per iniziare a fare l’allenatore. Per il momento, però, mi diverto collaborando con il Calcio Sicilia, una delle società giovanili più importanti di Palermo”.

Una vita dedicata al calcio, con la voglia di arrivare che lo ha sempre contraddistinto. Dai dilettanti alla Champions League, passando per le mille avventura in Serie A. La prima? Alla Juventus. “Anche se pochi sanno che ho anche vinto uno scudetto, con Lippi. Fu lui a farmi esordire in Serie A. Fino al trasferimento in bianconero il calcio era una passione, un modo per impegnare il pomeriggio. Da quel momento capii che ce la potevo fare. E ho avuto un inizio niente male, perché ebbi la fortuna di stare con una Juventus stellare”.

Da lì in poi una lunga carriera. E che emozioni. Una in particolare. “La stagione della penalizzazione con la Reggina non la dimenticherò mai. Togliete 15 punti al Palermo e al Pescara ora, sarebbero ancora a -7 o a -9 quasi a metà campionato. Questo dimostra che quell’anno con Mazzarri facemmo un miracolo, raggiungendo una salvezza che forse non era quotata. Diventammo cittadini onorari di Reggio Calabria, un grandissimo ricordo. Tant’è che lì ho chiuso la mia carriera, ritornando qualche anno dopo la mia cessione al Napoli”.

E in azzurro ritrovò proprio Mazzarri che non rinunciava mai al suo numero 6. Arrivavano nuovi difensori ma, per anni, la linea a 3 del Napoli si recitava a memoria: Campagnaro, Cannavaro, Aronica. La difesa della vittoria della Coppa Italia, delle imprese in Champions League contro Manchester City, Bayern Monaco e Chelsea. E di tante altre emozioni azzurre. “Che anni, non li dimenticherò mai. Nello spogliatoio regnava l’allegria con i sudamericani. La cumbia suonava praticamente a tutte le ore, con il ‘Pocho’ Lavezzi dj”. Il più forte? “Sicuramente Cavani, mi bastò una partita per capirlo. Il suo esordio da titolare fu nella gara di ritorno in Europa League contro l’Elfsborg. Era arrivato da poco, provammo la formazione per quella gara con Quagliarella centravanti fino alla rifinitura. Mazzarri entrò negli spogliatoi e ci comunicò che dovevamo giocare con Cavani titolare. Il motivo? Quagliarella era stato ceduto alla Juventus poco prima della partita. Tra i tifosi c’era un clima di tensione. Ma Cavani non disse una parole, rispose segnando due gol!". Furono anni di grandi imprese e battaglie. Soprattutto con gli attaccanti. Da Drogba (clicca qui per leggere) a… Ibrahimovic. “Ogni volta in campo ci scontravamo. Per fermarlo usavo le maniere forti per ovviare al gap tecnico ed allora lo facevo innervosire. Una volta, in un Milan-Napoli che non si schiodava dallo 0-0, lui perse la calma e mi diede uno schiaffetto (nella foto in basso). Quell’episodio rimase nella storia, in tanti me lo ricordano ancora”.

Gli anni di Reggio e Napoli sono stati i più emozionanti. Quelli più deludenti, invece, li ha riservati proprio la squadra della sua città, il Palermo. “Il ciclo al Napoli ormai era finito, c'era aria di cambiamento. Il Palermo mi propose un contratto importante a 35 anni ed accettai, anche perché ritornavo a casa. Ma Zamparini fa davvero tanta confusione: cambiò in poco tempo quattro allenatori e tre direttori sportivi, iniziò a fare la guerra affinché andassi via. Ma, visto il contratto importante, non riuscii a trovare squadra, anche perché ormai avevo riportato la famiglia a Palermo. Questa diatriba mi costrinse a stare 1 anno e mezzo fermo”.

Una piccola macchia in una carriera straordinaria, ricca di soddisfazioni. Ottenute con impegno, grinta e carattere. Quello che Salvatore Aronica vuole trasmettere ora a tanti giovani calciatori.

http://gianlucadimarzio.com/it/aronica- ... onto-tutto
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20- JULIUS KOROSTELEV: L'ALA MODERNA

Nasce a Pure St.Martin, in Cecoslovacchia, il 19 giugno 1923. Arriva alla Juventus nell’estate del 1946, in compagnia del connazionale Vycpálek, proveniente dall’A.K. Bratislava. Ala di buon talento e in possesso di un tiro tanto forte quanto potente, Korostelev riesce sempre a capire come deve comportarsi, a seconda dello spazio di manovra nell’azione da svolgere. Quando non trova avversari davanti a sé, la sua direzione di corsa è diritta e veloce, quando è circondato da avversari, si esibisce in arresti, guizzi e serpentine. Al momento del tiro, poi, mostra un’efficacia piuttosto rara per quel ruolo. Alto, magro, veloce, furbo e tenace, sa non solo concludere, ma anche sfruttare i lanci dei compagni, con tiri al volo o micidiali colpi di testa.

Debutta in Serie A il 6 ottobre 1946 in Milan-Juventus 3-3: rimane a Torino per una stagione, in cui totalizza trenta presenze e quindici goal, diventando il secondo miglior cannoniere della squadra, contribuendo al secondo posto in classifica finale dei bianconeri. A fine stagione, tuttavia, non viene riconfermato, e insieme al compagno di attacco Mario Astorri passa all’Atalanta.

Dopo una buona stagione con la Dea viene ingaggiato a sorpresa dalla Reggina per la stagione 49/50. A lui i tifosi amaranto devono la prima storica vittoria a Messina nel derby dello stretto giocato l'8 gennaio 1950. Concluse l'ottima stagione segnando 17 in 34 partite. Dopo una sfortunata parentesi in Sicilia al Palermo, il cecoslovacco tornerà a vestire la maglia amaranto nella stagione 50/51.
Giocherà poi per il Parma 5 altre stagioni.

Ritorna alla Juve nelle vesti di allenatore nel luglio 1961, al posto di Carlo Parola, affiancato da Gunnar Gren come direttore tecnico. Siede sulla panchina bianconera nelle prime due partite del campionato e il 7 settembre, a causa dell’improvviso ritorno in patria di Gren per motivi familiari, diventa il “secondo” del rientrante Parola. «Non si tratta di uno di quei cambi della guardia diventati normali nel mondo del calcio – precisa Umberto Agnelli – siamo molto spiacenti della partenza di Gren e non pensiamo per ora di affidare a un’altra persona il ruolo di direttore tecnico; se troveremo l’uomo adatto potremo farlo in futuro, come non è neppure da escludere una ripresa di contatto con lo stesso Gren. Ora ci serve un elemento juventino, un amico pieno di entusiasmo, e abbiamo deciso di affiancare a Korostelev Carlo Parola. Con Parola abbiamo avuto di recente un momento di incomprensione, oramai superato; Parola si è ricreduto e ora è pronto a dare alla squadra il contributo del suo impegno». Alla fine del campionato si trasferisce al Pisa, concludendo la sua breve avventura bianconera.
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21- TARCISIO CATANESE: ALLENATORE IN CAMPO

Tarcisio Catanese (Palermo, 6 settembre 1967 – Altofonte, 2 marzo 2017) è stato un allenatore di calcio e calciatore italiano, di ruolo centrocampista.


Carriera
Giocatore
Cresciuto calcisticamente nel Napoli senza giocarvi in campionato, dal 1986 al 1989 gioca nella Reggina, due stagioni di Serie C1 e una di Serie B, al termine della quale va al Parma, dove rimane sino al 1992, giocando una stagione in Serie B e due in Serie A, totalizzando 40 presenze e 2 gol in massima serie.

La stagione successiva è al Bologna in Serie B e ad ottobre viene ceduto al Cosenza, sempre fra i cadetti, dove è titolare.

Comincia il campionato 1993-1994 alla Reggiana in Serie A e non venendo mai impiegato viene ceduto, ancora ad ottobre, al Ravenna in Serie B.

La stagione seguente è ancora in Serie B all'Ancona, mentre nel 1995-1996 torna al Parma in Serie A, dove totalizza 5 presenze.

Di lì in poi è solo Serie C1 e Serie C2 con Como, Cremonese (dove ottiene una promozione in Serie B venendo ceduto), Montevarchi, Brescello e Reggiana, con cui chiude la carriera da professionista nel 2003 in Serie C2.

In Serie A ha giocato 45 partite siglando 2 reti.

Allenatore
Dopo un'esperienza nelle giovanili del Parma, ha esperienze da giocatore-allenatore con il Chiusi in Serie D e con il Monticelli in Eccellenza emiliana.

Nel 2006 passa ad allenare il Trapani, con cui riesce a centrare alla seconda stagione la promozione in Serie D. Rimanendo anche nella stagione successiva, dopo una sconfitta interna con la Nissa, alla 31ª giornata, viene esonerato il 23 marzo 2009, a cinque giornate dal termine.

Dopo aver ricoperto per conto della Juventus l'incarico di osservatore in Sicilia,[1] il 17 luglio 2011 diventa allenatore degli Allievi Nazionali del Palermo.[2]

Il 18 luglio 2012 torna ad allenare una squadra di Serie D, la Nissa.[3]

Nell'estate del 2013 ha gestito gli allenamenti dell'Équipe Sicilia, progetto che ha lo scopo di tenere in allenamento calciatori svincolati in attesa di futuro tesseramento. Con lui hanno lavorato Ignazio Arcoleo, Roberto Chiappara e Vitrano per la preparazione dei portieri.[4]

Dal dicembre 2013 diventa allenatore del Licata[5] successivamente della Folgore di Castelvetrano.

Muore nel marzo 2017, all'età di 49 anni, stroncato da un infarto[6].
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22- PIERMARIO MOROSINI: PER SEMPRE MORO

La vita gli aveva regalato quasi niente. La morte si è presa tutto. A nemmeno 26 anni - li avrebbe compiuti il 5 luglio - Piermario Morosini aveva imparato a convivere con così tanto dolore che si fa fatica anche a immaginarlo. A quattordici anni un brutto male aveva portato via suo padre Aldo, due anni dopo la madre Camilla. Gli erano rimasti un fratello e una sorella più grandi, entrambi disabili gravi. Il primo si è suicidato pochi anni fa, la sorella è ricoverata da sempre in un istituto. C’era zia Miranda a occuparsi di lui, che oggi se fosse ancora viva avrebbe più di novant’anni. Eppure, con tutto questo dolore che avrebbe schiantato chiunque, Piermario Morosini si era aggrappato all’esistenza come pochi. «Spesso mi sono chiesto perché sia capitato tutto a me, ma non riesco mai a trovare una risposta e questo mi fa ancora più male. Però la vita va avanti», si era confidato sette anni fa con un amico giornalista del «Guerin Sportivo», l’anno in cui era passato dalla giovanile dell’Atalanta all’Udinese, l’anno in cui aveva iniziato a mettere le ali ai piedi.

I primi calci li aveva tirati sul campetto del Monterosso, a Bergamo dove ogni tanto tornava. Ma erano più le volte in cui Anna, Anna Vavassori, la sua fidanzata, volava a Livorno da lui con il cagnolino Whisky. Anna che su «Twitter» mette le foto dell’ultima gita all’Elba e un messaggio da ragazzina: «Magia complicità occhi luce felicità incontri futuro meraviglia splendido amore». Anna senza più futuro, che gioca a volley nel Valpala in serie C e che invece di essere a Paladina per la partita con il Bodio Lomnago corre in macchina fino a Pescara in ospedale. Dove finisce la carriera e la vita di quel mediano che galoppava come un matto e che aveva fatto accendere una lampadina ai talent scout dell’Atalanta. «Era un ragazzo intelligente, uno che aveva stoffa anche se sul suo volto c’era sempre un velo di tristezza», lo ricorda Mino Favini, il preparatore dei giovanissimi nerazzurri che lo ha seguito per anni.

Ma Piermario Morosini poteva permettersi di sbagliare niente. «Ci tengo a prendere il diploma di ragioniere, è tutto sulle mie spalle...», si era confidato con i pochissimi amici. Daniele Martinelli, che ha giocato con lui due anni nel Vicenza fino al 2009, al telefonino fa fatica a non piangere: «Sembra retorico ma era davvero un ragazzo d’oro. Sapevamo tutti delle tragedie della sua vita, ma non ne parlava mai». C’è chi si ricorda che dall’Atalanta se ne era andato presto, con tutto quello che gli era capitato nella vita non poteva permettersi di perdere troppo tempo. Eppure non c’è squadra dove abbia giocato anche per poco - dall’Udinese al Bologna, dal Vicenza alla Reggina, dal Padova al Livorno, la sua ultima maglia - dove Piermario Morosini non abbia lasciato un ricordo solare malgrado tutto. Giancarlo Finardi, il suo allenatore negli ultimi due anni della Primavera dell’Atalanta, lo raccontava sempre: «Prima di una finale con la Roma avevo chiesto ai tre giocatori, che avevano portato la fascia da capitano durante tutta la stagione, chi volesse indossarla anche in quella partita così importante. E tutti e tre avevano fatto il nome di Piermario».

Al massimo Piermario Morosini si faceva prendere in giro per la sua passione mai nascosta per la Sampdoria: «Sono cresciuto con il mito di Roberto Mancini...». Ma nel suo palmarès personale aveva in mente due giocatori dell’Argentina, Fernando Redondo, conosciuto mentre stava al Milan, e Matias Almeyda, passato per la Lazio, il Parma, l’Inter e il Brescia: «Vorrei avere la classe di Redondo e la cattiveria agonistica di Almeyda». Ma non ce n’è uno che ricordi un episodio «da cattivo» di Piermario Morosini, né dentro né figuriamoci fuori dal campo. Lui era fatto così, sembrava sempre contento, e pare un paradosso con tutto quello che gli era capitato nella vita. Perché nella sua giovane esistenza lui immaginava che il meglio sarebbe dovuto ancora arrivare. E in quella intervista al «Guerin Sportivo» lo aveva pure detto, e si capisce che era una speranza di vita più che un sogno da calciatore: «All’Udinese vado senza troppe pretese, non posso pretendere di giocare subito, ma so che il tempo è dalla mia parte e che dando il massimo mi potrò togliere delle soddisfazioni».
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23- BRUNO JACOBONI: L'imabattibile

Nel momento in cui la stampa nazionale, sportiva e non, enfatizza giustamente il record d’imbattibilità per 974 minuti del portiere della Nazionale e della Juventus Gianluigi Buffon – ma, va aggiunto, solo per le squadre di serie A – ritengo doveroso da parte dell’Amministrazione Comunale attribuire a Bruno Jacoboni, mitico portiere della Reggina dal 1967 al 1974 e vero detentore del record assoluto di imbattibilità per tutto il calcio professionistico con 1088 minuti, il SANGIORGINO D’ORO, in occasione della imminente cerimonia di aprile”. E’ quanto propone Pasquale Imbalzano, capogruppo di “Area Popolare – Nuovo Centrodestra ” nel Consiglio Comunale di Reggio Calabria. “Si tratta di un doveroso omaggio alla sua bravura e alla sua non comune dote di saper essere sul campo e fuori un raro esempio di virtù sportive e umane, che ha scelto, a fine carriera calcistica, di vivere – ormai dal 1975 – nella nostra città, diventando a tutti gli effetti un reggino. Ma attraverso Jacoboni, questo riconoscimento andrebbe simbolicamente a tutti quei calciatori che in questi decenni hanno onorato la maglia della Reggina e che hanno deciso di stabilirsi a Reggio, gratificati dal calore della nostra gente, e che le Istituzioni locali – a partire del Comune di Reggio – hanno il dovere di ricordare ai giovani d’oggi, quali protagonisti di una epoca sportiva gratificante per l’intera città”, continua Pasquale Imbalzano. “Ritengo altresì che l’attribuzione del Sangiorgino d’Oro a Bruno Jacoboni, sarebbe un gesto assai apprezzato dalle migliaia di tifosi e dai tanti sportivi che da sempre hanno sostenuto la Reggina, dimostrando con un atto di particolare significato civile che questa città conserva intatta la sua memoria, la sua fede sportiva ed il suo attaccamento ai colori amaranto”, conclude Pasquale Imbalzano.


Per approfondire http://www.strettoweb.com/2016/03/reggi ... gAWee1o.99
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