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PADOVA. Adesso sì che ci siamo: la Biancoscudati Padova può chiamarsi Associazione Calcio Padova 1910, appropriandosi, oltrechè del titolo sportivo, anche del logo e delle memorabilia (le coppe, i trofei e, di fatto, la storia della società, dal 1910 appunto sino al luglio 2014). La svolta, perché tale dev’essere definita, è maturata, con inatteso anticipo rispetto alle previsioni più ottimistiche, pochi giorni prima della fine di marzo: il vecchio Padova, affiliato alla Figc ma di fatto inattivo, ha visto accolta la domanda di cambio di denominazione, per cui oggi è iscritto alla Camera di Commercio come Football Padova Spa, “società in liquidazione”. Per capire l’importanza della scelta compiuta da Diego Penocchio (e dal suo ex socio Marcello Cestaro), bastano un paio di considerazioni: l’Ac Padova 1910 esiste ancora, ma solo sulla carta, non essendo più legata come nome a nulla, sostituita dalla nuova denominazione. Dunque, l’attuale proprietà della Biancoscudati Padova, società sportiva dilettantistica fondata nel luglio scorso, ha tutte le carte in regola per chiedere, indipendentemente dalla promozione in Lega Pro, di tornare a chiamarsi come una volta. Un po’ com’è successo a Firenze, quando si ripartì con la Florentia Viola e, dopo il salto dalla C/2 alla C/1 (che poi fu serie B, saltando dunque una categoria), i gigliati recuperarono la storica denominazione di Fiorentina.
Nelle mani del sindaco. I tifosi possono (finalmente) esultare: il peggio è passato. Adesso la festa sarà doppia: per il ritorno tra i professionisti e perché il Biancoscudo sarà quello di prima, con annessi e connessi. La precisazione, a questo punto, è necessaria: è lo storico marchio a tornare “libero”, mentre tutto ciò che riguarda il Padova sino all’estate scorsa non si cancella, dalla partita Iva ai debiti accumulati, sino alla lunga fila di creditori che aspettano di conoscere, se mai verrà presentato, il piano di ristrutturazione del debito annunciato a più riprese, ma di cui non c’è traccia (e poi vedremo il motivo). Ma il fatto che il tifo padovano si riidentifichi con l’amato simbolo è un passaggio fondamentale per ridare slancio alla nuova proprietà, impegnata in queste settimane a tessere la tela di contatti e incontri con imprenditori che avrebbero manifestato concreto interesse per entrare nella compagine azionaria.
E di questo bisogna dare atto al sindaco Massimo Bitonci, che, nel momento in cui ha alzato la voce per pretendere il pagamento dei 320 mila euro che il Comune avanza dal Padova, ha messo i suoi interlocutori di fronte ad un bivio: o titolo, logo e cimeli tornavano subito all’amministrazione municipale, dunque ai padovani, e il resto, circa 150 mila euro, avrebbe potuto essere rateizzato con scadenza settembre 2015, oppure sarebbe partita un’istanza di fallimento al Tribunale. Incontrando l’avvocato Simone Perazzolo, rappresentante dell’Ac Padova 1910, il primo cittadino ha così dato il via libera all’accordo che già da qualche mese il capo di gabinetto Andrea Recaldin e l’assessore allo Sport Cinzia Rampazzo avevano raggiunto con lo stesso legale. Una scelta obbligata per Penocchio (e Cestaro), che se non altro ammorbidirà la rabbia e la disistima del pubblico dell’Euganeo, ma anche della piazza intera, nei confronti di coloro che hanno cancellato la città dalla geografia del calcio professionistico in Italia.
Le procedure. Con il titolo, il logo e le memorabilia che vanno al Comune, il quale di anno in anno li concederà gratuitamente, in comodato d’uso, alla proprietà della società calcistica, si apre un iter preciso da seguire per Bergamin e Tosetto: a fine aprile la Figc farà conoscere, con un comunicato, le modalità per il cambio di denominazione che i singoli club vorrebbero effettuare al termine della stagione. I due soci della Biancoscudati Padova a quel punto inoltreranno richiesta specifica di tornare a chiamarsi Ac Padova 1910 e a giugno la stessa Federcalcio esprimerà il suo parere, che, salvo sorprese, sarà positivo. Per arrivare a questo, ovviamente, Bitonci e i suoi collaboratori hanno rinunciato a metà del credito vantato, ma l’effetto ottenuto, sul piano affettivo e del recupero del patrimonio storico-sportivo, varrà il sacrificio messo in atto.
Credito Sportivo, non c’è il sì. Per l’imprenditore bresciano e il cavaliere di Schio questo è solo un primo passo sulla strada del risanamento di una società che, come recita la nuova registrazione in Camera di Commercio, è in via di liquidazione. Il deficit di 13,8 milioni di euro, registrato al momento di cessazione dell’attività agonistica, può essere colmato se effettivamente si troverà un accordo con almeno il 60% dei creditori, per poi depositare in Tribunale il piano di rientro dei debiti. E questa intesa non c’è ancora per i problemi sollevati dal Credito Sportivo, con il quale era stato acceso un mutuo di oltre 1,5 milioni di euro. I soldi non sono mai stati restituiti e l’immobile che Penocchio ha indicato a garanzia non è stato ritenuto adeguato dal commissario che gestisce l’Ente. La firma non c’è ancora, nonostante le “soffiate” diffuse ad arte che la davano per sicura, ed aleggia una palpabile preoccupazione, insieme ad un comprensibile nervosismo, alla Unicomm, sulla quale ricade - sembra di capire - l’onere di pagare giocatori, tecnici e soprattutto fornitori che avanzano soldi. Il piano avrebbe dovuto essere presentato a fine febbraio: siamo all’8 aprile e il ritardo accumulato aggrava, invece di migliorarlo, il
quadro generale della vecchia Spa biancoscudata. Secondo alcuni ci vorranno dai 6 ai 7 milioni di euro per risolvere le pendenze del passato. Ma il debito con lo Stato, che ammonta a più di 4 milioni, come verrà estinto? La domanda, per ora, non ha risposta.